venerdì 16 settembre 2011

La sordomuta


"Ma, dicevo io, che cosa vale che impari a parlare lei se io i segni non li so fare?" 
Edmondo De Amicis - Cuore (1888)
Maggio - La sordomuta


Il profumo delle pastarelle mi è entrato di colpo nel naso. Sono i vantaggi del girovagare in moto, di mattina presto, nel centro di Firenze. Cerco un bar buono e pattuglio la zona stadio alla ricerca di un'insegna o di un venditore ambulante in posa statica alla porta di qualche locale attraente : ho una vista eccezionale ma la memoria fa piuttosto schifo.
La testa un po' beccheggia, un po' rolla e se fossi un uccello sarei un piccione. Poi, all'improvviso, le molecole odoranti sprigionatesi da una pasticceria formano un muro invalicabile. Per fortuna stavo andando piano, altrimenti la decelerazione istantanea mi avrebbe ucciso.
Spengo il motore ancora in movimento; apro il cavalletto laterale ancora in movimento ed è quando sono ancora in movimento che inizio a slacciare il casco.
Avreste dovuto vedermi: la discesa dalla moto è stata come l'ingresso di James Bond nell'anticamera di "M", quando lancia la bombetta verso l'attaccapanni e fa centro. 
Faccio arrossire miss Moneypenny... 
La quantità di persone là dentro è stata subito l'indicatore che il vostro emulo del personaggio di Ian Fleming stavolta ha fatto centro: ... pieno zeppo di gente, il rumore dei piattini che la ragazza dietro il banco (non quella che mescolava birra chiara e Seven Up) ammassa rapida nel cestello della lavastoviglie, il frastuono del macina caffè e il bip aritmico ma orecchiabile del registratore di cassa.
Famelico, mi sono avvicinato alla vetrina delle paste e ho subito adocchiato la mia preda. Un letto di cremini, giganteschi. La signora impugna una bella forbice per dolci con la destra, mentre la sinistra è pronta ad afferrare un tovagliolino di carta.
"Un cremino", faccio io, aggiungendo un "buongiorno" tardivo ma pienamente giustificato dall'ardore con cui le ho chiesto il cibo.
"Ne abbiamo di tre tipi..." e ammicca con mestiere la parte sinistra della vetrina, dove i cremini che avevo puntato erano in effetti al centro di un'esibizione che comprendeva altre due specie. Quelli a sinistra più cotti avevano un oblò sul lato da cui colava un invitante canapo che comprendeva anche cioccolato, mentre quelli a destra erano classici, ma mignon.
Mi esprimo a gesti: strizzo gli occhi al centro della vetrina, gonfio le guance come per simulare improvvisa obesità e avvicino le mani proprio davanti alla faccia, mimando una palla.
"Il più grosso signora". E parlo facendo teatro.
In meno di un secondo mi trovo la pasta nella mano destra e più o meno come quando abbiamo appena ricevuto l'ostia dal prete, durante la comunione, mi giro per tornare a posto, sforzandomi di simulare un momento di raccoglimento. Al dietrofront mi trovo trafitto dallo sguardo profondo di una donnona un po' in carne, parecchio a dire il vero, con due guance che ricordavano la rotondità della mia brioche ancora calda in mano. Mi ride e poi mi dice "bravo", complimentandosi, lo capisco quasi subito, del modo in cui avevo ottenuto la pastarella.
Ma, la domanda sul momento è stata: "capire da chi? Dalla barista? O da lei?"
Il modo in cui si era rivolta a me, il fatto che fissasse la mia bocca durante la mia risposta (le ho detto solo "grazie", non avendo ancora chiaro cose stesse accadendo), quel modo delicato di coordinare la lingua e le labbra, lo scarso controllo della voce, hanno tradito la robusta educazione ortofonica della mia nuova amica. 
Sordomuta, non c'era altra spiegazione.
"Bravo", ripete lei, "parli bene..."
Inchino la testa, per omaggiare il suo saluto, e poi mi ficco in bocca i tre quarti del cremino. La sostanza esce dai crateri che la pressione del morso apre ai lati della preda e un fiotto di crema calda prende improvvisa velocità fino a spiaccicarsi sulla punta del mio nuovissimo stivale dainese.
Stivale destro.
Splàt...  
Che fare? 
"Signora, non sono sordomuto, sono solo un cretino che voleva fare il simpatico", oppure "Grazie, ho studiato molto per superare il mio handicap, e ora ce l'ho fatta"...
Cristo.
Non me la sento di demolirla, perché con la coda dell'occhio vedo che mi osserva, non mi perde di vista nemmeno un attimo e, anzi, ho il terrore che si avvicini per proseguire la conversazione.
Ho pratica, molta pratica con i sordomuti. Ho anch'io una piccola protesi che non porto mai, per via di una lesione all'orecchio sinistro.
Con Gabriele, una forza della natura. 
O con Ciro. Quante risate che ci siamo fatti, comunicando solo col labiale...
Ho ordinato il caffè, con la bocca ancora piena ma con le mani nuovamente libere, e un'acqua gassata. D'istinto mi scappa di mimare la grandezza del bicchiere.
"Bravo, sei bravissimo! Ha visto - e si rivolge alla cassiera - come parla bene?"
Tiro giù l'acqua in un fiato e poi tocca al caffè, buonissimo.
Gli occhi della sordomuta mi fissano sorridenti e io ricambio quell'improvviso affetto che sa tanto di solidarietà. 
Il barista mi sgama ma capisce e sta al gioco. Si avvicina la ragazza, quella che faceva casino coi piattini.
"Quant'è?" chiesi, e la pagai, le lasciai un nichel di mancia, presi il resto e me ne andai...


Copyright © Lorenzo Borselli tutti i diritti riservati


8 commenti:

  1. ..........!! ...............................................? ..............................................; ..................................................OOOOOO!!
    Carotone

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  2. @ Paolo: la pastarella era deliziosa... la mia nuova amica, ahimé, no...

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  3. immaginazione... o piazza antonelli o via g.dannunzio? o dove!!??

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  4. Fare colazione a casa risolve tutti i priblemi.... ahauhua !!! Roberto!

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