AmiSci

Me ne stavo imbambolato ore davanti alla finestra, a vedere quali e quante nuvole si stessero addensando sopra la Calvana, la montagna che separava idealmente me dalla vista del mio amato Corno. Aspettavo con ansia l'alba per vedere se le macchine parcheggiate sotto casa avessero la brina sul tetto. Se c'era, la giornata cominciava bene. Altrimenti... beh...
Comunque, la storia comincia nel febbraio 1974 quando, a Folgarida, feci la mia prima bizza: inarrestabile. E mi vennero comprati un paio di scarponcini rossi Sangiorgio, un paio di Spalding e relativi bastoncini. 
Dio quanto erano morbidi. Mi sembra di sentirne ancora la consistenza, il rumore dei ganci, l'odore della plastica nuova... Li immaginate?
Se proprio torno indietro, però, devo cominciare da chi non c'è più...

La discesa breve del Fede

Il Fede
Staccava i suoi sci verso l'alto, li allargava come i campioni di freestyle, curvava lungo, curvava stretto. Si, aveva qualche impercettibile difetto, come la spalla che cadeva verso l'interno o la rotazione delle avambraccia a inizio curva. Sento ancora la sua risata, quando simulavo la crisi epilettica sullo skilift delle Rocce. Lui si girava e infilava il piattello da dietro, così poteva guardarmi mentre mi dibattevo tra la gente terrorizzata che cercava di aiutarmi e che io schivavo con malcelato scherno, fino a quando non mi rialzavo d'un tratto e sussurravo che era passata.
Non veniva su ogni domenica, ma mi sono sempre chiesto perché non facesse le gare.
Andava fortissimo... 
Aveva una luce malinconica negli occhi e oggi, dieci anni dopo, mi viene da pensare che lui conoscesse perfettamente il suo destino e che gli sia andato incontro come solo i giovani destinati a rimanere tali possono fare. La sua è stata una discesa breve, da un cancelletto immaginario piazzato da un cronometrista che non c'è, proprio accanto alla croce del Corno. Giù a uovo fino nel bosco della rossa e poi, oltre la curva, la sua voce che si perde nell'eco della Valle del Silenzio. Dopo la curva la neve è ancora in aria, polverizzata.
Senti, annusa... Sembra una Marlboro rossa... guarda la cicca, sta ancora rotolando, è accesa... 
Il Fede ha fatto un salto lunghissimo e non è più atterrato... 
Mauri e Silvia
La Silvia e Mauri
Sono passati così tanti anni che perfino il ricordo si è sbiadito. Mauri da Minerbio e Silvia da Vergato. Lo sci era così forte, in loro, che non si perdevano nemmeno una domenica e appena la Stae apriva le iscrizioni, a luglio, lui correva a fare lo stagionale. E anche lei. Dormiva nel letto accanto al mio, oltre la parete che separava l'appartamento dei miei da quello dei suoi. Era un monolocale, in realtà. Faceva un casino infernale, la notte, e il babbo si incazzava come una iena. Ma a me faceva sognare, la sua voce: volevo diventare grande per essere come lui, fare come voleva, sciare sempre, ridere sempre, divertirsi, vivere. 
Vivere
Poi conobbe la Silvia e se mi capita di incontrarlo, in qualche sogno, è sempre con lei. 
Si amavano così tanto che quando lui morì, per la puntura di una zanzara, lei lo seguì poco dopo.
Suo babbo mi spiegò che i medici le avevano trovato un brutto male, ma il  brutto male che l'aveva uccisa era la mancanza del suo Mauri. E lo raggiunse. 
Sciando, ne sono convinto.
Gas: quello sono io
In azione a Champorcher
Sognavo di diventare un campione. Ma no, non lo sono mai stato, nemmeno lontanamente. Un personaggio sì, però. Con gli sci mi sono rotto quasi tutte le ossa degli arti inferiori e di quelli superiori; mi sono rotto la calotta cranica e il naso, scheggiato denti e prese cignate sul ghiaccio. E i soccorritori sono riusciti a farmi cadere dal toboga, finendo di scorticarmi la faccia, e ad intossicarmi col monossido di carbonio della motoslitta. Un disastro. Però ho sciato tanto, mi sono divertito tanto e ho conosciuto tutti voi. Qualcuno non c'è, il perché non riesco a dirlo. Ma nel mio cuore è tutta un'altra cosa...

Rappa (semplicemente)

Rappa sulla rampa: dietro di lui il  Rifugio del Sasseto
I primi tempi lo guardavo con un po' di compassione, lo confesso: immaginavo la Robbi come una specie di frullatore che, da un momento all'altro, lo avrebbe fatto a pezzi. E invece no. Rappa ha retto, ha tenuto la corda, si è inerpicato sulla parete più dura dal mondo, praticamente inviolata, e ha piantato una bandiera sulla inconquistata vetta. Devo dire che, per quanto possa valere la mia parola, è migliorato anche a sciare, anche se, ogni tanto, tira fuori dei cappelli orribili... Se mi viene in mente qualcos'altro lo aggiungo, state tranquilli...
Sopra la rampa Rappa arranca...
Claudio  (il) Mora

Io e il Mora, nel 2002
Introdottosi alla corte del sottoscritto sul finire degli anni '80, il Mora ha fin da subito messo in luce una spiccata attitudine alla discesa. Libera, devo dire. Come la sua mente, sospesa/appesa alla vela del parapendio con cui si librava in aria. La foto ci ritrae, credo, nel 2002, quando Claudio attraversava una delle sue fasi sperimentali. L'attrezzo è una delle insane invenzioni di Filippo, che seguirà di qui a poco. Vedere il Mora sciare con quella specie di monosci fu come vedere un lemure del Madagascar fare a pugni con un orango. Fu una lotta senza quartiere e dopo un paio di discese un gutturale fanculo si librò nell'aria, accompagnato dallo yodel delle nostre risate. Welcome Claudio...

Filippo "Fily" Carpani

Filippo Carpani coi suoi gioielli
Lo vidi fare i pali da slalom, lungo la pista della seggiovia del Cavone, a una velocità così alta da non farlo sembrare vero. Io mi allenavo con lui e con i ragazzini dello sci club Valcarlina, ma ero proprio lontano anni luce da quella posa atletica che sembrava genetica, più che ottenuta o conquistata a forza delle cazziate che Maurizio Marcacci o Claudio Gatto ci facevano ad ogni discesa. Era un pomeriggio di nebbia intensa e la neve era tutt’uno col cielo. Si vedeva solo il gialloblu della divisa dello sci club e il colore dei pali, i primi snodabili. Io uscivo sempre dopo una tripla e lui, invece, avrebbe potuto dribblare pettini infiniti. Che cazzo…
In fondo perfino Daniele Betti ammise che come facevi te quelle curve non ci riusciva nessuno. Avevamo sì e no 12 o 13 anni… Da allora, caro il mio Fily, ne abbiamo pestata di neve eh?

Gabriele Ghignola

Ghigno in action, somewhere...
Il problema di Gabriele è che è troppo intelligente. Quindi qualsiasi battuta o artifizio letterario che possa inventarmi, lui la smonterebbe e mi farebbe fare una figura di merda. Non resta che raccontare qualcosa di lui, no? È sordo, come una campana, ma la cosa non lo limita e, anzi, credo abbia affinato (misteri della scienza) tutti gli altri suoi sensi. Ha iniziato a sciare in tarda età, pare vicino alla pubertà, ma in un paio d’anni è diventato subito uno sciatore fantastico. È maestro di sci, di snowboard, di telemark, allenatore di sci club e, udite udite (questa è una battuta, sic…), tecnico della nazionale italiana di sci alpino per i cosiddetti diversamente abili. Con lui ho fatto il Rondinaio e mi ha surclassato anche in salita. A pochi metri dalla vetta una delle pelli che avevo agli sci si staccò e precipitai nel canalone, riuscendo miracolosamente a non farmi nulla. Non si accorse di ciò che mi era capitato e le mie grida di terrore spaventarono tutta la natura ad eccezione di Gabriele: quando si voltò e vide che non c’ero io mi ero già rialzato e mi mandò a fare in culo perché non l’avevo aspettato… Grande Gabri…

Barbara Milani, la "Babi"

Dico: ma come fa?
Cominciamo con le donne? Anche se è un’amica di riflesso, che ho conosciuto quando si è fidanzata con il Topone, il suo nome rimbalza nell’ambiente fin da quando ero bambino. Era una promessa dello sci. E se la guardi negli occhi, capisci che lei le promesse le mantiene. Ha corso in coppa del mondo, ha vinto un sacco di Fis, ha vestito i colori azzurri per molto, moltissimo tempo. Oggi è una delle sciatrici più brave al mondo e lo dico non perché l’ho letto o l’ho sentito dire. È che l’ho vista…
Che culo, Max!
Che culo, nel senso che sei un uomo fortunato e non nel senso che… uff, accidenti…

Livio Godi, quando scia Gode

Livino sul Cupolino
Di lui so poco o niente. Non ho nemmeno il suo numero di telefono. È come un fantasma, anzi lo è. È il fantasma della neve, o della bici, a seconda delle stagioni. Lui se ne frega del tempo: c’è il sole? Scia. C’è la nebbia? Scia. C’è la pioggia? Scia. Nevica? Scia. Scia sempre, senza soluzione di continuità. E non invecchia, manco per il cazzo. Non ho altro da dire di lui, a parte che non vedo l’ora che riaprano gli impianti per vederlo scendere giù per il Cupolino. Non so perché… forse perché mi dà sicurezza…
Non è che Livigno si chiama così perché c'è nato lui?

Enrico "Strofinante" Bargi

Strofinante sullo Strofinatoio...
Il mio trombaio preferito ride a crepapelle, mentre scende affondando i suoi freeride nella neve fresca, freschissima della vecchia Val di Gorgo. Sembra un cow boy che sta per domare la mucca (leggasi mucca, non mukka) e che capisce di aver quasi completato il suo lavoro. Il dorso dell’animale si muove, le gambe scalciano, ma l’equilibrio non è più quello precario di quella volta sullo Spigolino e ormai si può godere i momenti come questo. Quella volta sullo Spigolino… Eravamo io, lui e Filippo e spingemmo i nostri 2 metri e rotti di sci tutti dritti verso il modenese, risalendo un crinale ghiacciato e crestato. Aveva fatto una galaverna pazzesca… Il primo a scendere fu Filippo… facciamo a chi fa più curve? Cristo Santo. Ne fece almeno un milione. Poi toccò a me e mi fermai a un migliaio. E poi arrivò Enrico, che sbagliò un appoggio e iniziò a scivolare. Il suo corpo sembrava quello di un fantoccio. Anzi, una cometa che entra nell’atmosfera. A ogni  sussulto perdeva un pezzo e quando arrivò in fondo aveva perso la stoffa dei pantaloni e gli si vedeva il culo, rossissimo! La cosa bella di quel giorno che da allora ogni volta che vedo una toppa penso a lui.
E il suo soprannome sarà per sempre "strofinante"...

Nicola "Niko" Badalassi

La macchina da brigidini...
Ci fu un giorno in cui mi svegliai dal torpore di una freddissima giornata di gennaio, sulla verde, in cui credevo che sarei morto. Rivolgevo lo sguardo a monte, forse per aspettare qualcuno o forse per farmi scaldare un po’ la faccia dal sole, quando la mia trance fu scossa dal rumore di un gatto delle nevi ormai prossimo a schiacciarmi. Pensai che il conducente non mi avesse visto per via della pendenza o per via del controsole… Mi girai di scatto e vidi il faccione di Niko, tutto rosso per lo sforzo che fa uno che soffia, con la bocca a pesciolino ormai violacea per l’immane impresa del suo diaframma. Compresi che con lui ogni sforzo per cercare di competere sarebbe stato vano e infatti, dopo aver ottenuto scroscianti applausi per la mia performance da suonatore di cornamusa, al pranzo nel rifugio, venni travolto dall’imitazione di un Beta M4. Una follia.

Francesco "Franz" Cacciari

Non c'è niente da fare: è più bello di me...
L’uomo anziano più giovane del mondo è qui, al Corno, e scia con me. È bellissimo, atletico e non invecchia. Un po’ come il Topone, ma qui siamo più avanti con l'anagrafe. È opinione diffusa che dietro il suo ghost  job alle ferrovie dello Stato lui si sottoponga a continue sedute in un qualche liquido amniotico o in  qualche miracolosa camera iperbarica. Ex pallavolista, almeno così induce a pensare la sua altezza e la sua fisionomia, scia al Corno da quando inventarono la neve e pedala da quando un ominide vide rotolare un sasso e pensò di costruire una ruota. Le giornate in seggiovia hanno cementato il nostro legame e in montagna, essere assicurati a qualcuno fa sempre comodo. Un giorno terribile lo vidi là fuori a porgermi il capo della nostra cima. Insieme a lui c’era anche Fily e questo non lo dimenticherò.  Mai.
Roberta "Robbi" Tosi

La Robbi nel 2006, sotto il Cupolino...
Avrei milioni di cose da dire, senza paura di far ingelosire Rappa o la Raffa. Il primo ricordo che ho di lei è di un’estate di una trentina di anni fa, o giù di lì. Faceva la salita del bar per la mano a suo babbo. Poi finimmo nella stessa compagnia, che si allargò ai ragazzi più grandi grazie a Matteo e Nicola e a quelli più giovani con l'intermediazione del Fede. Il cemento lo avevamo dentro, tutti, e l’acqua arrivò con le gavettonate di ferragosto. Ma è la neve che ci lega. Anzi no: è la montagna. I suoi sentieri hanno solcato le nostre vite al pari dei crinali e delle valli e i fiumi limacciosi che scorrono negli angusti passaggi sotto la riva, palpitano rimbombanti all’unisono col nostro cuore. È solo un legame, tranquilli: come tra appartenenti a una tribù, o a una famiglia.  E ora che alleva il piccolo Davide (che ha già un soprannome, lo Smilzo) come la migliore delle mamme, direi che è stato un privilegio crescerci insieme.

Massimo "Max" o "il Topone" Gherardi


Ma quanto è bello il Topone?
Il Topone... Avrebbero dovuto chiamarlo il Talpone, semmai, soprattutto alla luce di quello che accadde un giorno del 1995, quando, insieme al sottoscritto e a un maestro di tennis ormai scioltosi al sole riminese, si avventurò in un rischioso fuoripista al Corno e rimase sepolto da una valanga che provocammo noi stessi... E dire che avevamo appena messo i cartelli del pericolo... Rimasi senza fiato e il cuore mi si ficcò in gola mentre vedevo il mio amico morire. Non dimenticherò mai il grido di gioia di Ricky, il maestro di tennis, che lo trovò per caso piantando uno sci nella neve smossa in un punto dove eravamo già passati con le nostre improvvisate sonde. Il dottore rianimò quel faccione cianotico e io, finalmente, piansi. Quel giorno avevo visto un amico andare e tornare. Forse è per quello che non invecchia: è un fantasma... Azzzzzzz...



Alessandra Montanari

Alessandra
Questo gran pezzo di gnocca è la mia amica Alessandra, neo mamma di una splendida bimba di nome Emma, concepita assieme all'uomo che, appena letta la frase d'esordio di questo post, mi scorticherà vivo. La Montanari ha un cognome azzeccatissimo e: scia, cammina, arrampica, va in bici e pratica uno strano sport acquatico che consiste nel farsi spingere da una specie di aquilone con ai piedi il simulacro di uno snowboard. Duro tenerla in casa ma ora? Ora che dovrà crescere la piccola Emma, come farà a sfogare i suoi istinti invernali. Io non lo so ma siccome la conosco da più di vent'anni, sono convinto che ce la farà. Eccome se ce la farà...

Gianni "Giannone" Gherardi

A sinistra, il Mora e, finalmente, Giannone!!!
Gianni è tutto in questa foto. E' un po' burbero, ma solo quando la neve smolla o quando non vai dove vuole lui. Sono anni che lo vedo sempre pronto a salire con le pelli, a sciare con roba tipo K2 Silencer (che io gli ho poi comprato) e parlare di sciate in Slovenia, di materiali, e poi scarponi, bastoncini, zaini... fino a quando, a tavola, non arriva un bel cosciotto arrosto con una bottiglia di Brunello. Ora si che si ragiona.  Volete che dica la verità? Non vedo l'ora di arrivare a ottobre per andare sul ghiacciaio ad aprire la stagione. L'ultima volta a Hintertux, anno domini 2010, è stata una delle più belle trasferte di sempre.
E se vuoi scoprire come è fatto dentro, aspetta una di quelle giornate in cui porta a sciare i bambini meno fortunati degli altri. Allora il suo occhio burbero si addolcisce e diventa da libro Cuore... bello assomigliare a lui, ma anche su questo posso essere tranquillo... Pedalando davanti a casa del Mora, uno dei suoi figli quando mi ha visto passare è corso verso il cancello urlando ciao Giannone!!!

Andrea Alberici, il "Bero"
Sembra il K2. E' solo il Corno, è solo il Bero: mitico!
Il Bero è l'istituzione. Ricordo anche per lui la prima volta che l'ho visto. Ero un bocia e stavo uscendo dalla piccola chiesa di La Cà. Da parecchio tempo mia mamma si intratteneva con la sua e io ero incredibilmente affascinato dall'educazione di quella signora, che tuttora parla e prega con una naturalezza disarmante e con eleganza per niente snob, nonostante un'erre moscia da salotto buono del romanticismo italiano. Il Bero venne subito dopo, quando - fuori della chiesetta - incontrò la mamma. Poi, per anni, niente di che, fino a quando, sulle pieghe dello Strofinatoio, un Bero impantanato tra un crostone di ghiaccio ventato e un metro di neve pappa disse a tutti noi di non preoccuparci e di lasciarlo lì a morire. Credo che le risate ci siano ancora e che, ogni tanto, ritornino per effetto di una stranissima eco. Ciao Bero! Che erre...

Pino Arrighi, "Mister Wolf"

Ecco mr. Winston Wolf sul bianco della sua neve. Perché è sua...
Il primo giorno da Bormio 01 me l'hanno presentato subito. Pino Arrighi, grande atleta della corsa a piedi, instancabile sciatore, sopraffino soccorritore, è il signor Wolf della Magnifica Terra. Come il miglior Harvey Keitel in Pulp Fiction, Pino è in grado di assumere una personalità fredda e cinica, se si tratta di arrivare in soccorso di sfortunati turisti o di noi della Madama. Non mangia, si nutre. Non beve, si disseta. Non dorme, riposa. Non scia, pattuglia. E non si ferma mai, è instancabile. Stacanovista, è peggio della Digos, visto che ha sempre una provvidenziale macchinetta fotografica in mano con cui pinza ogni istante della vita bormina e noi con essa. Credo che ogni montagna sciata abbia bisogno di un Pino così... Si dice in giro che per ovviare al fatto che con l'età il corpo rallenta, abbia in garage una CBR1000. Ti aspetto.

 Sergio "Sergej" Zanichelli

Ha sempre le lamine finite, ma...
Collegato in forma permanente al ponte radio della SIB, Sergio è la spalla immancabile di Pino. Come lui è sempre dove serve: spalla rotta in Conca Valbella? Ci sono io, ti faccio sapere! Distorsione di ginocchio a Capanna Gatto? Sto passando da quelle parti, ti faccio sapere! Trauma cranico sulla Bimbi al Sole? Sono in funivia, ti faccio sapere! Mah... Dico io: ma come cazzo fanno questi due? Siccome sono un detective, ho provato a investigare, cercando di capire se facessero uso di droga o si dopassero, ma non ho avuto alcun successo. Ne consegue che devono essere per forza sempre in giro, spartendosi il territorio come fanno le migliori pattuglie di esploratori Apache. Questo spiegherebbe il perché abbiano sempre lamine finite e sci letteralmente asciutti...

Paolo Borin: I want to be like him...

Paolo Borin, alias "Pac Man"
E' un saggio della montagna. Ha un'età non più verdissima, ma, cazzo, è la versione accessibile di Walter Bonatti. Magro, alto, energico. Mi ricorda incredibilmente l'idea dell'uomo che avrei sempre voluto essere  da bambino: esperienza a non finire, attaccato alle pareti dell'Eiger, immerso nei fondali dei Caraibi, a letto con passere stratosferiche. Lo guardi mentre cammina con gli scarponi e ti accorgi subito che non ha nulla da nascondere: al primo sole ha spedito in lavanderia la salopette da ciuccianebbia e l'ha sostituita con un paio di pantacalze da alpinista/ballerino, che esaltano la sua magrezza e, al contempo, un sesso da far invidia a John Holmes. Però, se ci parli cinque minuti, capisci che il John Holmes non è quello dei film porno, ma il fondatore della Beat Generation, John Clellon Holmes, l'autore di "Go". Salvezza ascetica e spiritualismo Zen? Beat come ribellione? Beat come battito? Beat come ritmo? No! Paolo è sempre in cima e basta... Ah! Lui non invecchia. Al massimo, diventa vintage...

La tessera del Fans Club... Mitoooooo!!!
Dario "Giallo" Confortola

Il Giallo e la sua fascia per la crapa...


Il ciuffo di peli biondi che vanno a spasso per il suo teschio, un giorno lontano era una folta criniera bionda che gli valse il soprannome che oggi lo perseguita: Giallo. Azzoppato alcuni anni fa da un grumo di neve ghiacciata che gli sbriciolò la tibia dentro uno scarpone da gara, Davio Confovtola è un bormino d.o.c. Ha la sua umile magione lungo la pista Stelvio e la divide con il maresciallo di casa, la moglie, e con due figli. Alle sette di ogni mattino invernale, l'amorevole genitore indossa un paio di scarponcini da alpinismo ed esce di casa per raggiungere il posto di lavoro, scivolando - come fanno tutti i pendolari che usano i mezzi pubblici - verso i tornelli della cabinovia per Bormio 2000. Fa così da sempre e farà così fino all'età della pensione, a meno che i cannoni da neve della SIB, per una volta tutti puntati sulla casetta dei sogni di ogni sciatore, non facciano fuoco (in realtà neve) tutti insieme consegnandolo ai posteri come un uomo di Similaun... Non è detto che non accada: quando bevono, da queste parti, fanno scherzi del cazzo…

Rino Pierangeli

Er piotta, a lui, jé fa na pippa...
Ci siamo conosciuti dal parrucchiere e lui, sebbene arrivato prima, mi ha ceduto il posto perché il suo lavoro sarebbe stato più lungo: i riccioli neri che cascano sulle spalle sono per lui motivo di grande vanto e li cura con enorme attenzione. Ho diviso con lui l'alloggio di servizio e - se si eccettua il fatto che si ostina a farla all'impiedi - è un uomo pulito e ordinato. La sua specialità sono le battute: da perfetto romano qual'è, ha dimostrato sempre molta attenzione per tutti, anche per i padani che quassù imperversano e che inizialmente si sono mostrati diffidenti per la sua provenienza (Roma Ladrona!!!). La sensibilità e il tatto sono una delle sue doti principali e grazie ad esse ha puntualmente trovato la parola più adatta per uscire dagli abbocchi della popolazione che vive in Valtellina. Si tratta di un gergo dialettale che gli permette di cavarsela in ogni situazione.
Si pronuncia così: Esticazzi!

Pasquale Canclini, "El Direttur"

El Direttur si prepara alla salva: nel mirino, Il Giallo
Non sembra, ma pare sia stato bambino anche lui. Quando è stato assemblato, al posto del ciuccio, gli hanno mezzo in bocca la prima cosa che hanno trovato. Mi correggo: che pensavano di aver trovato. In una notte del rigido inverno valtellinese, mentre fuori imperversava la tormenta, ciò che nella tenue luce delle candele sembrava un rametto di liquirizia, si rivelò presto un sigaro Toscano doc. Fu impossibile, da quel 28 dicembre 1971, separarlo dalla bramosia di aspirare il  tabacco non trinciato di tipo Kentucky. Ma i problemi, per la famiglia Canclini, non erano finiti. Appena riuscì a pronunciare le primissime parole, Pasquale chiese un gatto. Che carino, un gattino...
Il piccolo felino scampò per un pelo all'annegamento: El Direttur voleva un gatto vero, di quelli con fresa e benna, con lampeggiante e fischio di retromarcia. Di una cazzo di bestia pelosa che fa miao, lui, non sapeva che farsene.
Ottenne la laurea in ingegneria discutendo una tesi sull'ecologia della fabbricazione della neve in Valtellina, portando in aula magna al Politecnico un M28, corrispondente in campo bellico a una bombarda da 88mm, che il Rettore è riuscito a non far accendere. Dottore sulla parola, ha voluto portare a termine il suo esperimento, puntando il vivo di volata dell'arma sulla casa del Giallo e ricreando, a fine settembre, un clima da base artica attorno alla magione dello sbirro.
Ha ottenuto una diffida dalla protezione animali per aver sparato Pepe verso il vallone (ovviamente con un cannone da neve), ottenendo l'assoluzione in tribunale grazie al brevetto di cane da soccorso di cui lo Yorkshire razza padana è munito.
Una sua foto campeggia sul bollettino delle ricerche della Polizia Stradale di mezza italia...

Dario "Zombie" Vitalini

Zombie in una rara immagine degli anni '90. Guarda il crepaccio con inusitato amore...
La sua passione sono i crepacci. Li esplora, li cataloga, li scala, li discende. La sua vita è stata bianca e nera a lungo, avendo lavorato in inverno sulle piste da sci di Bormio e in estate su quelle dello Stelvio. Ora è un uomo della Cima Bianca e passa le sue giornate a trapanare le piste della Contea. Nella scala evolutiva dello sciatore ha da tempo perso l'uso dei bastoncini...
Perché, direte voi? Semplice: da pratico naturista qual'è, si è ricordato che l'uomo nasce quadrupede, perché ciascuno di noi ha gattonato da bimbo, ma velocemente si è alzato in piedi per assumere la posizione eretta. Da qui il suo interrogativo: perché mai dovrei dotarmi di bastoncini per tornare ad essere un quadrupede?
Abbiamo provato a spiegargli che nel camminare in salita, oltre che ad aiutarti nell'equilibrio, spostando il bastoncino in avanti allarghi e chiudi la cassa toracica e imprimi un ritmo migliore nella respirazione, ma lui non ci crede... Gli abbiamo detto che nella deambulazione il bastoncino sgrava il nostro peso del 30%, aiutando così le ginocchia, ma lui se ne frega.
E poi, la discesa è discesa. Non provate a prenderlo col toboga: non ce la fareste...
Perché si chiama Zombie? Semplice: non esce mai di casa senza un bel sacco salma...

Daniele Martinelli, il "Giaguaro"

Cucù, cucù, la patacca non c'è più...
Ascolta, stai sciando bene. Devi fare poche cose fatte bene, per imparare il resto hai tutto il corso. Le ancheeeeeeeee!!!
Si Daniele, le anche. Le metto male, verticalizzo troppo e poi...
Senti che neve sotto gli sci, senti l'aria frizzante che ti entra nelle narici e raffredda la pleura, solo come l'aria dei tremila metri può fare.
Perché la vita, a tremila metri, è certamente dura, ma ti fa stare benissimo, vero?
Daniele è un maestro col tocco. E' un allenatore ispirato dallo scricchiolio che la neve fa sotto il peso del corpo, nella soletta. E' ispirato dal sole terso del mattino, dall'azzurro cobalto del cielo che sovrasta Bormio, ogni giorno che Dio mette in terra.
Ti aspetta lì, con la giacca senza patacca, perché non vuole mescolarsi alla specie più stupida che popola il parco nazionale dello Stelvio.
E lui non ne fa parte, se ne distingue così.
A volte fai tanta strada perché pensi che tutti gli amici che hai si siano scordati di te, anche solo per un attimo. Ed è qui che arriva gente come lui.
Grazie Dani.
Vado via da Bormio molto meno storto di come ero arrivato...


[...continua sai?... ]

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5 commenti:

  1. gasse f.....o te pensa che il soprannome è una mia invenzione .....SARO' GRULLO

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  2. Si, un po' grullo tu sei... altrimenti come tu facevi a essere amico mio...

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  3. ti ho mai fatto la macchina dei brigidini?

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  4. Avevo rimosso dalla mente quell'attrezzo !! ahhhh FILIPPO ... mi devi dare in dietro il menisco che mi sono consumato quel giorno !!!

    claudio Mora

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  5. @Niko: Si. Resta una chimera...
    @Claudio: che risate quel giorno... c'era anche una gara...

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Dì pure quello che vuoi. Pensa, quello che vuoi. Solo, non essere offensivo...