Oggi (terzo anniversario)
È arrivato il momento di uscire da
questo lutto che ha segnato la mia vita.
È arrivato il momento di smetterla di
essere arrabbiato con Lei perché se n’è andata e con chi, in qualche modo, ha
deciso che doveva andarsene.
È arrivato il momento di smetterla di contare. [L'ho fatto e sono impazzito di dolore]
Ho letto in un bellissimo libro di
Massimo Gramellini (Fai bei sogni)
che probabilmente siamo qui, su questa terra, con lo scopo di addestrarci, come
in un corso di sopravvivenza, per la vita vera.È arrivato il momento di smetterla di contare. [L'ho fatto e sono impazzito di dolore]
Che arriva dopo.
Forse.
C’è chi, questo addestramento, lo
finisce prima, chi lo finisce dopo, chi non ce la fa, chi nasce imparato.
Ah quanti ce ne sono di imparati…
Ah quanti ce ne sono di imparati…
Io, non lo so. Di certo non lo sono...
Non so se l’esperienza della sua
perdita mi abbia forgiato o addestrato per quello che arriva dopo. Non so
nemmeno se Dio, ammesso che esista, possa definirsi buono. Mi viene da pensare
che non lo sia, perché non ho scelto di vivere, di iscrivermi al corso di
sopravvivenza per la missione del dopo.
Se lo fosse, allora il paradosso
teologico sarebbe ancor più profondo: è buono ma non è onnisciente. O non è
onnipotente.
Perché i bambini si ammalano e
muoiono?
Perché la mamma si è ammalata? Passi
il morire, ma così?
Questo interrogativo mi ha letteralmente
devastato la testa, così tanto che ora preferisco essere agnostico.
Ma…
Ricordo, sì mi ricordo, di un
pomeriggio sul lago Taupo, in Nuova Zelanda.
Ero seduto su una panchina e mi misi
a fissare le acque azzurre di quel posto bellissimo.
Le onde, placide, mi riportarono
indietro di qualche anno, un paio per la precisione, quando mi trovai in una
posizione più o meno analoga, anche mentalmente, sulla banchina fluviale di Oporto,
che i portoghesi chiamano più semplicemente Porto. Ero seduto su una bitta, nei pressi di
una di quelle Barcos Rabelos tirate in secca.
Osservavo le ondine del fiume
infrangersi sullo scivolo per l’alaggio delle imbarcazioni e improvvisamente scoppiai
in un pianto dirotto pensando alla Nonna Norina, che mi aveva lasciato qualche
mese prima.
Oggi credo che quei due momenti siano
stati un aperitivo di dolore trovato pagato sul bancone di un merdosissimo bar, ma non era una cosa nuova.
A me la morte è sempre rimasta lì.
Ricordo ancora oggi i calzini di
Tullio, un pescatore di Quercianella, che dicono mi portasse spesso in barca.
Erano calze rosso amaranto.
Uscivano da un paio di pantaloni
grigio scuri, indossati da un immobile e pallido Tullio, sdraiato sul letto
della sua casa.
Non so perché, piccolo com’ero, io mi
trovassi lì.
Ma c’ero.
E ricordo un immagine sfumata del
Nonno Paolo, riflessa sullo scaffale specchiato del negozio della zia, mentre
mi dava un grappolo d’uva e io fissavo quella scena con l’immobilità
traballante di cui solo i bambini sono capaci.
Vedevo lui e me: io avevo due anni
poco più.
Ho sempre saputo che era morto, ma lo avevo visto vivo.
Volato in cielo? Credo di non averlo mai pensato. Credo di non averci mai creduto...
Ho sempre saputo che era morto, ma lo avevo visto vivo.
Volato in cielo? Credo di non averlo mai pensato. Credo di non averci mai creduto...
Ricordo la Zia Lara, la Zia Loretta, ricordo la Nonna
Amabile.
La Zia Luisa.
Ricordo Paolo e Patrizio, due
compagni di scuola in moto. Marco, un compagno di scuola in motorino.
Flavio. Maurizio, la Silvia.
Federico.
Federico.
Ricordo l’odore della sala mortuaria,
con Adriano lì davanti a me.
Ricordo la penombra e la rigidità
delle membra di un altro Marco, mentre io e Mauro gli mettevamo indosso gli
abiti tirati fuori da una busta dataci dalla mamma. Giovani, vecchi, uomini,
donne, parenti e amici.
Nell’età in cui pochi possono dire di
aver visto una sola salma, a meno che non popolino zone di guerra, io avevo
una moltitudine di nomi e cognomi da esibire nei racconti del sabato sera.
Ma certe cose non riesci a
raccontarle per come le vivi veramente: come avrei potuto trovare una parola onomatopeica che riproducesse il rumore del rasoio sulla pelle del Nonno Renzo, mentre gli
facevo la barba?
Come avrei potuto mimare il movimento assurdo della testa di un uomo estratto dalle lamiere di un camion, descrivere lo sguardo del mio collega Gianfranco perdutosi per sempre nel vuoto di una corsia di emergenza dell’autostrada? O il calore della mamma di Silvia, che si disperdeva piano nell’atmosfera carica dell’opprimente dolore dei suoi quattro figli?
Come avrei potuto mimare il movimento assurdo della testa di un uomo estratto dalle lamiere di un camion, descrivere lo sguardo del mio collega Gianfranco perdutosi per sempre nel vuoto di una corsia di emergenza dell’autostrada? O il calore della mamma di Silvia, che si disperdeva piano nell’atmosfera carica dell’opprimente dolore dei suoi quattro figli?
Lo so.
È un racconto doloroso, ma spero che
farlo ora serva a non doverlo ripetere mai più.
I nomi che ho fatto, mi hanno fatto
assaggiare il sapore della perdita.
I corpi su cui mi sono chinato mi
hanno abituato all’odore del lutto.
Prove generali di un gioco che non
capisco e che probabilmente non capirò mai, ma che mi hanno velato gli occhi di
tristezza.
Lo sai che è vero.
La Mamma è sempre stata lì. A leggere
quello che scrivevo, a collezionare i miei articoli, a registrare la mia voce
nelle trasmissioni radio, a raccontare agli altri quello che ero capace di
fare. Anche il brutto degli studi
abbandonati, della morte evitata sotto la valanga, degli incidenti in macchina,di quelli in moto o sugli sci.
Degli amori che ho avuto. Delle
sigarette.
Era una mamma come si deve, spesso
anche troppo, ma niente è mai troppo, specialmente dopo.
Ho passato una vita, 14.008 giorni
per la precisione, a doverle raccontare a che ora ero uscito e a che ora ero
rientrato. Ho litigato furiosamente con lei anche quando era in ospedale,
correndo a perdifiato nei corridoi di quel padiglione della morte per saltare in
sella verso Boccadirio, alla ricerca di un pentimento frettoloso con Lui
(sperando nella Sua bontà), cercando il conforto della solitudine per non
urlarle in faccia che ero incazzato per l’adenocarcinoma ovarico che nessuno
riusciva a fermare.
Né i dottori stronzi, né quelli
buoni.
Né la cinica indifferenza degli
infermieri, né la loro incondizionata dedizione.
Non il mio amore. Non il nostro
impegno.
Andava avanti e la consumava, ma
questa è la fine.
A me piace, oggi, ricordare il principio della mia vita con Lei.
Un principio che si è allungato fino al momento in cui mi ha guardato negli occhi e se n’è andata.
A me piace, oggi, ricordare il principio della mia vita con Lei.
Un principio che si è allungato fino al momento in cui mi ha guardato negli occhi e se n’è andata.
Perché io credo, oggi, che la fine
duri poco, giusto un momento, mentre il principio si prolunga.
Ho sempre pensato che avere una Mamma
così, significasse avere una fortuna sfacciata e ora ne ho le prove.
I primi tempi, da Solo, cercavo il
rumore della velocità in moto. Aprivo la visiera e gridavo Mamma a perdifiato, ma non tanto perché nutrissi l’assurda speranza
che mi sentisse. Lo facevo per non perdere l’abitudine a chiamarla, a sentire
la voce uscirmi dalla bocca per rivolgermi a Lei.
Prendevo il telefono e simulavo
l’attacco di una telefonata: pronto
mamma?
Era solo per far finta che fosse
ancora viva. Un gioco, come fanno i bambini.
Ogni volta che finisco un articolo,
che scrivo un post sul blog, ogni volta che faccio un viaggetto o che succede
qualcosa, la prima cosa che mi viene da fare, è prendere il telefono e
dirglielo.
Scoprire, ogni volta, che non può
rispondermi sarebbe terribile se non mi accorgessi che Lei sa già tutto, come
quando ero piccolo e mi sbucciavo le ginocchia sugli scogli di Quercianella.
Lei non c’era, perché la domenica
sera tornava a Calenzano col babbo: io piangevo, perché quelle croste mi
facevano male, o perché non volevo mangiare il fegato, e allora correvo in
camera sua a rifugiarmi tra i suoi vestiti.
L’odore era lì e dunque anche Lei e il giorno dopo arrivava la telefonata...
Ti sei sbucciato il ginocchio?
Ti sei sbucciato il ginocchio?
Se era possibile quel miracolo a quei
tempi, forse è possibile che si ripeta anche oggi no?
Anche se non sento il suo
odore, perché a forza di non esserci, poi svanisce…
Il suo odore mi arriva di notte,
quando la solitudine del sogno mi porta nelle compagnie più strane.
Poco influisce quello che ho mangiato
o bevuto: conta il fatto che io ho bisogno di Lei, ma nello stesso tempo,
oggi, sento di potercela fare da solo.
Fino al 5 febbraio, mi è venuto
spontaneo scrivere la sua mancanza ma oggi, fregandomene altamente della
ragione della sua morte, scrivo che per me è ancora viva.
Non m’interessa più sapere dov’è
quando io sto male, ma starò in attesa di un bellissimo sole o di un tramonto
dietro i crinali per rivolgerle un saluto.
Che ci sia o non ci sia, che torni o
non torni, l’importante è che ci sia stata e che la sua forza continui a
spingermi avanti anche oggi, 1.096 giorni dopo il suo ultimo respiro.
Mi ci sono applicato
Martedì 7 aprile 2009, ore 01:15 - 4 giorni dopo
8 marzo 2009. Careggi |
Mi ci sono applicato, credetemi, ma non trovo le parole.
Non riesco a metterle insieme, non ho la colla giusta.
È come se a così poche ore da tutti quei vorticosi pensieri che mi infondeva il respiro sempre più flebile di mia mamma fossero spariti, azzerati da quegli ultimi, terribili venti minuti.
Avrei voluto descriverla, raccontarvela, ma non ci riesco. Non ce la faccio. Non riesco più nemmeno a ricordare la sua voce, sono impaurito.
Sono stati giorni duri, per me. Ho tagliato i ponti con tutto e con tutti, pur di passare gli ultimi giorni con Lei.
Almeno in questo ce l’ho fatta.
Io e la mia famiglia l’abbiamo presa per mano e l’abbiamo tenuta stretta, fino a quando non è stata lei a dirci di lasciarla andare, con un ultimo respiro che mi si è appiccicato addosso, come tutti gli altri di questi lunghissimi giorni.
La solitudine di una stanza d’ospedale, la crudeltà che l’indifferenza di tanti dottori e infermieri ci hanno riservato, la gioia ed il conforto di quelli che invece ci hanno fatto sentire curati, degni di una parola più dolce. Di una carezza.
Gli occhi azzurri di mia madre sono rimasti splendenti fino all’ultima sera, quando si è fatta mettere a letto come si usa fare ad un bambino che l’indomani sa di correre incontro alla vita. La vita che le è sfuggita per quel male coccolato per 41 mesi. Che l’ha angosciata, terrorizzata, devastata e, alla fine, uccisa.
Era insieme a noi. Al babbo, alla zia, a Paolo ed alla Raffaella. C’era anche l’Arianna, anche la sua voce l’ha raggiunta, ne sono sicuro, e l’ha fatta sentire meno sola in quei momenti così oscuri.
Si legge, nella Bibbia, che la Passione di Cristo termina con la sua resurrezione. Io prego che sia così, lo spero. Perché oggi ho bruciato la mia mamma, che era morta. E mi manca così tanto.
Grazie di avermi concesso un ultimo abbraccio tra Lei e me, con voi in mezzo. Grazie.
Non riesco a metterle insieme, non ho la colla giusta.
È come se a così poche ore da tutti quei vorticosi pensieri che mi infondeva il respiro sempre più flebile di mia mamma fossero spariti, azzerati da quegli ultimi, terribili venti minuti.
Avrei voluto descriverla, raccontarvela, ma non ci riesco. Non ce la faccio. Non riesco più nemmeno a ricordare la sua voce, sono impaurito.
Sono stati giorni duri, per me. Ho tagliato i ponti con tutto e con tutti, pur di passare gli ultimi giorni con Lei.
Almeno in questo ce l’ho fatta.
Io e la mia famiglia l’abbiamo presa per mano e l’abbiamo tenuta stretta, fino a quando non è stata lei a dirci di lasciarla andare, con un ultimo respiro che mi si è appiccicato addosso, come tutti gli altri di questi lunghissimi giorni.
La solitudine di una stanza d’ospedale, la crudeltà che l’indifferenza di tanti dottori e infermieri ci hanno riservato, la gioia ed il conforto di quelli che invece ci hanno fatto sentire curati, degni di una parola più dolce. Di una carezza.
Gli occhi azzurri di mia madre sono rimasti splendenti fino all’ultima sera, quando si è fatta mettere a letto come si usa fare ad un bambino che l’indomani sa di correre incontro alla vita. La vita che le è sfuggita per quel male coccolato per 41 mesi. Che l’ha angosciata, terrorizzata, devastata e, alla fine, uccisa.
Era insieme a noi. Al babbo, alla zia, a Paolo ed alla Raffaella. C’era anche l’Arianna, anche la sua voce l’ha raggiunta, ne sono sicuro, e l’ha fatta sentire meno sola in quei momenti così oscuri.
Si legge, nella Bibbia, che la Passione di Cristo termina con la sua resurrezione. Io prego che sia così, lo spero. Perché oggi ho bruciato la mia mamma, che era morta. E mi manca così tanto.
Grazie di avermi concesso un ultimo abbraccio tra Lei e me, con voi in mezzo. Grazie.
Non ci sei più
1977. Statua del Cristo Redentore monte Ortobene. Nuoro |
Non t’immagino su una nuvola, sospesa a guardare questo mondo.
Non ti ci vedo.
Ti vedo sfinita, preoccupata di questo tuo figlio che non si
rassegna,
Che corre e piange, con le scarpe grosse, su quei sentieri di
colla d’asfalto che avrai percorso centinaia di volte.
Più piano, senz’altro, ma con la stessa passione.
Con lo stesso amore per i luoghi, per il suono familiare che il
vento sussurra…
Che lui adesso ricerca per trovare te.
Ti vedo protesa verso di me in una carezza,
Che non sento, però.
Dunque, solo spero vederti in quell’atto
estremo d’amore.
Buon Viaggio…
Giovedì 2 luglio 2009, ore 23:40 - 90 giorni dopo
2009. Verso Caponord. |
Mamma, sono tre mesi.
Io non sono mai stato così tanto
senza sentire la tua voce.
Non dico vederti, che a qualche mese
c’ero arrivato.
Due scarsi, quando andai in
Australia.
Ora però comincio a sentire davvero
mancanza.
Ogni volta che mi levo il casco, ogni
volta che scendo di moto, mi viene da prendere il telefono e chiamare per non
farti stare in pensiero.
E invece no.
Non mi tocca più.
E dire che mi incazzavo così tanto,
quando vedevo che m’avevi cercato venti volte di fila.
Tutto cambiò una notte di qualche
anno fa. Io non c’ero, ma tu eri vicino a me, mentre una macchinetta mi faceva
respirare.
Che sonno tranquillo è stato quello.
Un po’ come quando dovevo ancora
venire al mondo, e tu respiravi per me, mangiavi per me.
Vivevi per me.
"Cosa mi succederà?"
La tua domanda ora ha una risposta,
ma solo tu la conosci.
Io so solo che te ne sei dovuta
andare.
Oggi sono quassù, lontano da casa.
Ci sono venuto insieme alla
Raffaella, per vedere se dove il sole non tramonta ti potevo vedere.
Ed ho scoperto che quando è il cuore
che vede, non serve fare tanta strada.
Però, guarda che splendore!
Affido queste parole anche ad un
vento diverso, quello degli amici.
A leggerle, forse, prenderanno più
vigore.
Vorrei urlartele, ma la Raffa dorme.
Non voglio svegliarla.
Comunque mi piace pensare che
potresti ascoltarle anche se le sussurrassi appena. Buon viaggio Mamma.
Dove sei?
Lunedì 3 agosto 2009, ore 14:52 - 122 giorni dopo
Prima del 2005. |
È il quarto mese, il centoventiduesimo giorno.
Cerco, frugo, rovisto nelle anse più recondite del mio cuore, di
quella che la cabala definirebbe la mia anima.
Sorrido con chi avresti sorriso, parlo con chi avresti parlato,
ascolto chi avresti ascoltato.
Ma non è in una circostanza che ti trovo, non è questo il modo.
Ho messo le scarpe ed ho corso, ho scarpinato sulla mulattiera, ho
aspirato nei polmoni l’aria fresca di quella cima, tutta quella che potevo.
L'hai sentito?
Ho spaziato con lo sguardo verso l’orizzonte, ti ho cercato nel
sole e poi nella luna.
Ma non ti trovo.
Dove sei?
Ciao Stefania
Giovedì 8 settembre 2009, ore 22:43 - 158 giorni dopo
2007. La bellissima Stefania |
Stringevo la sua mano mentre la voce
di una dottoressa scandiva parole che avrei voluto incendiare.
Le mie gambe tremavano, il mio cuore
impazziva, la mia testa scoppiava.
Dietro agli zigomi rifatti, dietro
alle labbra siliconate, dietro ai capelli curati e tinti, sotto un camice
bianco che sembrava voler imporre la silhouette di donna sana, dietro a tutta
quella salute mi sembrava di vedere un nazista.
Era la tua dottoressa, Mamma.
Sembrava che fosse la kapò di un
lager, che sfoggiava la divisa ben curata, il trucco impeccabile davanti alle
donne rasate, vestite con una tunica a righe. Il braccio della morte.
Cercai di trovare un punto sul muro,
volevo concentrarmi sul nulla per ritrovare la forza di cui avevo bisogno per
sostenerla.
E dietro la testa di quella donna col
camice, ricca di scienza ma povera di umanità, vidi una busta gialla appesa
allo scaffale con un pezzo di scotch.
C’era scritto “PET Stefania Maisto”.
Appena usciti fuori il suo viso era
rassegnato, impaurito.
Guardava il cielo come se fosse
l’ultima volta, assaporava il vento ancora freddo dell’inverno, poi mi guardava
come per cominciare a dire una frase d’addio.
Fu a quel punto che la interruppi.
Eccola la forza che volevo, ecco che arrivava.
Per cambiare discorso, per evitarle
strazio.
Dentro quella PET, Stefania, c’era
scritta anche la tua condanna.
C’era scritto che le tue preghiere,
quelle delle tue figlie, di tua madre e degli amici, erano tornate al mittente,
un attimo dopo quelle di mia Mamma, di mio babbo, di mio fratello e delle mie.
Oggi te ne sei andata, dopo aver
insegnato a tutti che lottare è possibile, che sperare è un diritto.
Ciao Stefania, oggi un altro
pezzettino del mondo che conoscevo se ne va.
5 febbraio (2010)
Venerdì 5 febbraio 2010, ore 08:08 - 308 giorni dopo
29 settembre 2005 |
Mentre stringevi i bottoni del cappotto non togliesti gli occhi dai miei nemmeno per un attimo. Salisti in macchina e facesti il viaggio verso Careggi, ripetendo dentro di te la stessa domanda, un milione di volte.
La risposta era scontata, ma che
differenza pensarlo e sentirtelo dire!
È come vivere e morire… c’è proprio
questa differenza, sì.
Parcheggiare, camminare, salire le
scale e sedersi nel corridoio.
Fu così faticoso da sembrarmi
l’impresa di un astronauta, impacciato con la sua tuta a volteggiare sul mondo
che gira, che si muove, ma del quale non sente nulla, perché il suo corpo si
trova sospeso in uno spazio vuoto, che non è il suo.
Vedi, cerchi, allunghi la mano.
Ma ogni tuo movimento o gesto è
diverso dalla normalità.
Non c’è peso, non c’è rumore.
Solo la solitudine tua e
dell’astronauta vicino a te.
Sarebbe stata una giornata bella, se
il tuo male non ci fosse stato. Il 5 febbraio 2009 doveva essere solo il tuo
compleanno e non quello che poi è stato.
Mi chiedo perché, mi domando che
razza di scherzo sia stato, dirti che te ne saresti andata così, senza nemmeno
più la forza di soffiare sulle candeline della tua vita.
Stringerti la mano nel momento più
brutto, farti sentire che la mia forza ti avrebbe sostenuto, è stato il mio
unico regalo per il tuo ultimo compleanno con noi, con me.
E oggi, un anno dopo, posso solo
dirti quello che ti ho sempre detto.
Buon compleanno, Mammina, mi manchi
tanto e ogni momento, ogni momento davvero, non faccio che ripeterlo.
Ti voglio così tanto bene che mi
viene difficile pensare che non ci sei più.
“Mamma” di Manuela Verbase
Sabato 20 marzo 2010, ore 11:26 - 351 giorni dopo
Stavo in disparte contando silenzi
a destra del letto il vuoto riempiva
d'un senso di nausea che ti nascondevo
piegando il mio capo a guardarti le mani.
Infossavo il disastro, lo deglutivo
evitavo lo sguardo mentre ti spegnevi
nel dolore forte che mi lacerava
disperdevo d'amore e di cenere il cielo.
Accarezzami
Venerdì 2 aprile 2010, ore 20:32 - 364 giorni dopo
1948. "Se ti tagliassero a pezzetti, il vento li raccoglierebbe... il regno del ragni, cucirebbe la pelle..." |
Io lascio "che il tempo mi scorra
un po’ addosso", ma un anno è tanto.
Trecentosessantacinque giorni,
ottomilasettecentosessanta ore, cinquecentoventicinquemila e seicento minuti,
trentunomilioni e cinquecentotrentaseimila secondi.
È come prendere un respiro per
soffiare sulla candelina il giorno del tuo compleanno.
Le prime volte i grandi cercano di
farti capire come si soffia, poi, una volta che hai imparato, non riesci a
trovare la coordinazione giusta e fai un casino, perché quando il fiato arriva
alla fiammella non ne hai più e la candelina resta beffardamente accesa.
Quando ce la fai, i nonni ti battono
le mani, la Mamma ti accarezza mentre il babbo, è un compito suo, fa la foto o
ti riprende con la telecamera.
Al momento che impari, cominci a
soffiare sulle torte al ristorante, con gli amici, e quando torni a festeggiare
in casa non hai più nessuno che ti applaude, non c’è più Lei che ti accarezza e
la macchina fotografica del babbo resta chiusa nel cassetto, sola, come è
rimasto solo lui.
La zia socchiude la porta di camera e
tenta un sorriso, ma il sorriso è spento, come la candelina che quest’anno
abbiamo tutti lasciato stare.
Perfino Paolo è solo.
Sente la chiave che s’infila nella
toppa e si guarda spaesato tutto intorno.
È così che mi vedi perché è così che
mi sento.
Ci vedi così perché siamo tutti
rimasti soli.
Anche te, Mammina, che te ne sei
andata.
Come fai a non essere sola se io,
noi, non siamo con te?
Come fai a non accarezzarmi più, come
faccio io a soffiare sulla candela?
Piango, perché se non si piange la
Mamma, di cosa ci si deve disperare?
Io mi sforzo di vederti con me, di
cercarti in un paesaggio, in un raggio di sole, in una nuvola che cambia col
vento.
In una sciata.
In una corsa, nel volo di un uccello
o nello sguardo della gatta, che è più strana del solito.
Sembra che pianga pure lei.
Tipregotipregoriprego, Mamma. Fammi
sentire che ci sei.
Accarezzami, anche se dormo e non
diventare solo un ricordo.
Buon compleanno…
Sabato 5 febbraio 2011, ore 00:08 - 673 giorni dopo
Fabiola Rosi, 1944-2007 |
Il tempo non è una cosa normale. Se
avessi dovuto contare i giorni che mi separano da te, se avessi dovuto annotare
le ore, i minuti, se avessi dovuto dare un senso alla corsa insensata delle
lancette sul quadrante dell’orologio, sarei impazzito. [In realtà l'ho fatto e sono impazzito di dolore]
Averti perduto per sempre è un
concetto che non riesco a capire.
Non poterti parlare, raccontare,
spiegare.
Salutarti, mostrarti, farti vedere,
accompagnarti.
All’improvviso non esserci, quando ci
sei sempre stata.
Come si fa?
Come posso fare, senza di te?
Ho visto uno scampolo di cielo
stellato, ieri sera.
Ed è stato vedendo le stelle che ho
capito che domani sarebbe stato oggi.
Il tuo compleanno è oggi, Mammina, e
tu non lo festeggi con me.
Io non sarò attorno al tavolo a
raccontarti la mia giornata, a farti scartare un regalo per poi alzarmi per
prendere le bignè o un millefoglie.
Non ci sarò perché non ci sei più tu.
L’ultima volta che l’ho fatto
piangevi, perché anche il Signore, che fino a quel momento sembrava esserti
venuto incontro, ti aveva lasciata sola.
Così, tutte quelle preghiere, le
levatacce per le analisi, i viaggi a Careggi e le lunghe chiacchierate sulle
panche dell’ospedale, a cosa sono servite?
A farti stare un momento in più con
me, con noi?
Mi rimbomba in testa la tua domanda.
Cosa mi succederà?
Cosa mi succederà?
Non sento alcuna risposta...
Il mio cuore è spezzato, Mamma,
perché il soffio che lo aveva animato era il tuo e si è perso, svanito.
Hai dato un senso alla mia vita
perché l’hai creata e la mia gioia di aver fatto qualcosa di buono è
soprattutto quella di averti resa fiera di me.
Oggi cercherò un negozietto, ti
comprerò un regalino e lo scarterò, da solo, davanti al camino di casa, in
montagna. Cercherò il momento giusto per guardare il cielo e ascoltare la tua
voce, rivedere il tuo sorriso, sentire una carezza e cercare il tuo odore che
ormai s’è perso anche nel tuo armadio, tra le tue cose. È rimasto solo nel mio
cuore spezzato di figlio con testa e scarpe grosse, su e giù per quei monti che
ancora, ne sono sicuro, si chiedono perché non ti fai più vedere da quelle
parti.
Buon compleanno Mamma, spero che il
regalo ti sia piaciuto.
Oltre la neve, il cielo…
Domenica 3 aprile 2011, ore 00:13 - 730 giorni dopo
2 aprile 2011. Monte Cupolino. |
Ecco Mamma, sono salito in alto.
Sono stato tutto il giorno lassù, a sciare
come un pazzo, senza fermarmi nemmeno un secondo.
Volevo sfinirmi e distrarmi. Volevo
tenere il viso vicino al cielo, con la speranza di sentire la tua carezza.
Chissà se fra tutte quelle ventate,
se tra quei raggi di sole che mi hanno cotto la testona che mi hai fatto, c’era
anche la tua mano.
Non lo so, Mamma, ma vorrei proprio
che fosse stato così, oggi.
La neve di aprile è bella.
Perché è fredda, ma si scalda al sole
che picchia già forte e il cielo, il cielo è così turchese che se ti metti a fissarlo
rischi di svenire, da quanto è bello.
Quando ti butti, senti che risponde
come l’onda di un fiume che scorre solo al tuo passaggio, abbarbicato al pendio
contro ogni legge di gravità.
E le stelle?
Miliardi di puntini, sul cielo
limpido della notte che ho appena lasciato, sciando nel buio verso casa.
Sì, oggi è stata una giornata
bellissima.
Era la giornata che meritavi, era la
giornata che volevo passare con te e forse, chissà, il cielo turchese era solo
un riflesso dei tuoi occhi.
Mi manchi sempre, non temere. Non mi
scordo di te.
Se fossi qui...
Sabato 26 novembre 2011, ore 00:00 - 967 giorni dopo
A trip to Wonderland, Patrick Ahmann |
Se tu fossi qui con me,
oggi, vorrei portarti in moto.
Facciamo finta?
Bisognerebbe che tu fossi
un pochino più giovane di quando te ne sei andata, come ad esempio ai tempi
della Corsica, quando ti mettevi ancora i pantaloni.
E io... beh, io vado bene
anche così, ma non più vecchio di così, perché... Insomma, non sarebbe
naturale, proprio no.
Partiremmo di buon
mattino, verso il mare.
Andrei piano, per non
rovinare tutto con la velocità e per far durare più a lungo il mio piccolo
sogno.
Così ci sarebbe tempo per
tutto...
Del tuo sorriso, dei tuoi
capelli, dei tuoi occhi e delle tue mani. Di una passeggiata sul lungomare, di
un caffè a tavolino, di una candela a Montenero.
Vorrei attraversarlo, il
mare, e staremmo seduti a prua, in silenzio, mentre la costa si avvicina.
Oppure piegherei
dolcemente verso la montagna.
Terrei il viso di
traverso, con la calata aperta. Parlerei senza timore, ti svelerei i miei
segreti. Cercherei di stare comodo sul muretto davanti al prato, mentre accendi
una candela all'Acero.
Mi viene in mente una
risata, in seggiovia. Una risata che non c'è mai stata ma che il vento
porterebbe lontano, verso la moto parcheggiata laggiù.
Nei sogni si può far
tutto, anche volare, no?
E allora vorrei volare,
vedere con te i posti che non ho ancora visto e che non hai visto mai.
Sorseggiare l'acqua di una fonte, respirare il vento della pianura che sale sui
colli o sui crinali alti ingialliti, inalare il salmastro delle onde che si infrangono
sulla chiglia.
Invece no.
Mi tocca stare qua, solo,
e aspettare un sogno che non arriva mai.
Se tu fossi qui con me,
oggi, diresti "buon compleanno, Lorenzo" e che bello sarebbe,
sentirselo dire.
The longest (birth)day. And fastest...
Domenica 27 novembre 2011, ore 17:45 - 968 giorni dopo
Tuscany, near Volterra, november 26, 2011. My shadow on the right |
Se il cielo è d'un azzurro sconvolgente, 41 anni dopo essere venuto al mondo, una ragione ci deve essere. Se poi hai un garage, da qualche parte, in cui la tua migliore amika scalpita per farti compagnia in un giorno che ti è sempre rimasto sul cazzo, per l'avversione genetica agli auguri che ti contraddistingue, il gioco è fatto. La metto fuori con dolcezza, anche se è sporca da morire: una principessa può anche rotolarsi nel fango con te, ma una cosa è il fango, altra è il rango.
Girare la chiave nel quadro e vedere che le spie si accendono con quella rapidità, è come un preliminare d'amore: solo che mentre lei si scalda sbuffando ansiosa sul cavalletto centrale, io mi vesto, piuttosto che sporgliarmi come invece dovrei fare al cospetto della mia innamorata.
Amore strano eh? Vorrei vedere voi, cavalcare a pelo un bovide di acciaio e plastiche...
Metto l'antivento, poi serro il foulard, indosso la giacca e chiudo ogni singolo bottone: infilo il casco, stringo bene il cinturino e poi tocca ai guanti.
Sgassatina, lieve, per far girare l'albero motore e far sparire il ticchettio secco delle valvole ancora fredde e il piede sinistro innesta la prima, senza fare praticamente rumore.
Sarà una splendida giornata, questo lo so. Ma quale senso darle?
Parto, sperando di decidermi prima di arrivare al semaforo, esattamente quindici metri dopo il garage. Destra: montagne; sinistra: Chianti.
Potrei anche cominciare da una parte per arrivare dall'altra e dare così un senso al 26 novembre 2011, così come mi ero ficcato in testa poco dopo la mezzanotte...
Chianti.
San Gimignano, da Castel San Gimignano |
Il pensiero di oggi era nato così. Mare e montagna: rifare un po' la strada di Mamma, coprire la distanza tra una casa e l'altra, rivedere per lei i panorami di una vita, sentire di nuovo gli odori di questi piccoli viaggi che un tempo mi sembravano avventurosissimi. Per arrivarci, al mare, passo attraverso la provincia di Siena, lasciandomi dietro San Gimignano e le sue torri medievali per sfiorare Volterra. Il bello della mia Toscana è che quando ci sono giornate così, puoi vederla tutta da un capo all'altro. Credo che la visuale, la prospettiva, la diversità degli orizzonti che cambiano curva dopo curva, siano gli ingredienti più importanti per uno che ama i viaggi. E poi mi manca decisamente, in questo momento, l'idea di una valigia pronta. Da Volterra, poco prima di arrivare al bivio della Roncolla tra la SR68 e la SR439Dir, c'è una specie di terrazzino dal quale ti si apre la vista fino alla Lunigiana. Non scendo nemmeno dalla moto, ma la riconosco subito: è Pania della Croce, la Regina delle Apuane.
Il gruppo apuano delle Panie, oltre le Crete e il Monte Quiesa: che cazzo di foto stupenda! |
Metto la macchina fotografica in tasca, riavvio il boxer e mi metto in marcia, tirando su la mukkona in seconda proprio mentre passa un drappello di mukke in fila indiana. I miei fari guardano il cielo e allora penso: ciao! Nemmeno alla Nadia Comaneci sarebbe venuta così bene, la verticale...
A Volterra, intanto, comincio a sentire l'odore del mare. Non so come mi sia arrivato nelle narici. Forse perché ho visto un cartello che indica Cecina, forse perché sono entrato nella provincia di Pisa, forse perché da piccolo ho fatto quella strada un milione di volte, seduto dietro sull'Alfa Sud verde, che poi diventò color crema. Ricordo un viaggio: stavo in piedi, scalzo, in mutande o pantaloni corti. Potevo tenere aperto solo uno spiraglio di finestrino e Paolo, se c'era, era in braccio alla Mamma, che stava davanti. Ricordo un benzinaio e una bottiglia d'acqua fresca, in vetro. Mi fermo appena un attimo e guardo verso il mare. L'odore c'è. Che vista...
Volterra e la Val di Cecina |
Via, riparto.
Se non fosse per l'asfalto screpolato e mezzo smottato delle colline fino a Saline, la discesa sarebbe degna di una corsa su strada e anche dopo, nel lungo rettifilo della SR68, dove una pattuglia di Carabinieri mi fa quasi venire un infarto, la tentazione di tirare la sesta a martello è decisamente forte. La strada, fino a Cecina, la si fa in un attimo e sarebbe anche un po' noiosa se non ci fossero tutte quelle assurde scritte su muri e cartelli che perpetuano l'eterna contesa tra pisani e livornesi. Non vorrei citare l'assioma di Euclide, secondo cui se due cose sono uguali a una terza, allora sono uguali tra loro, ma... Mi sembran delle belle fave... A Castiglioncello, finalmente, il mare... La voglia di mettere i piedi a mollo è tanta: non mi tuffo in mare dal 2008, da quando inaugurai la bestia traghettandola in Corsica, e la giornata qui è calda al punto giusto. Sulla litoranea, fino a Quercianella, è pieno di auto parcheggiate e quando arrivo sul porticciolo c'è perfino gente che fa il bagno. Ecco: la prima tappa del viaggio è qui. Lego il casco e parcheggio la mukka vicino ai sassi dove mi sono arrostito la schiena a caccia di favoli e bavose, dove ho fatto i primi tuffi e dove sognavo di esplorare i fondali con un paio di pinne e un boccaglio ossidato.
Il porticciolo di Quercianella. Desolato come sempre... Ma che acqua... |
Camminare sui sassi è un po' come tornare bambino. Quando lo ero ci saltavo sopra volando. Pesavo una cinquantina di chili e avevo i piedi prensili come le scimmie. Mi tuffavo in acqua senza curarmi della temperatura e agguantavo i polpi infilzati con la fiocina con le mani nude. Correvo sui sassi marroni della ferrovia e con una bicicletta senza freni rimediata al cassonetto, correvo senza sosta da Chioma fino al Rogiolo. Oggi toccare un cefalopode mi farebbe senso, mi sfracellerei sulle rocce come se precipitassi da un baratro e cadrei, in bici, alla curva di Villa Verde, ammazzandomi sul colpo...
Non mi resta che partire per la montagna e chiudere il cerchio magico di questa lunghissima giornata.
Ricordate il Kawasaki GPZ 900 che usò Tom Cruise in Top Gun, nella famosa scena in cui corre sulla strada lungo la pista mentre un F14 decolla? Beh... Io ho fatto più o meno la stessa cosa: dopo essere entrato alla barriera di Livorno, in A12, ho visto sopra di me un 737 della Ryanair in finale su Pisa. Ho chiesto al Sic di ispirarmi e dopo aver scalato un paio di marce mi sono sdraiato sul serbatoio e ho puntato dritto sul Boeing. Un 737 atterra a circa 127 nodi, più o meno 235 chilometri orari. Mi è scappato per un soffio... Forse è perché non c'era in sottofondo Take my breath away dei Berlin...
La sosta all'area di servizio di Migliarino, invece, sa di vintage...
Cotoletta, caldissima, coca alla spina, freddissima, tavolino tondo, piccolissimo...
"la ragazza dietro il banco mescolava, birra chiara e sevenup, e il sorriso da fossette e denti era da pubblicità..."
E poi la forma insolita, lunghissima, del bar, completamente deserto... Guardo la moto, là fuori. Oltre il vetro, Abbey Road...
Là fuori, il poster del Motor Show... |
Verrebbe quasi da pensare di essere tra Omaha e Tucson e invece, come direbbe Francesco ad Augusto, siamo solo tra Piumazzo e Sant'Anna Pelago...
Ecco, ci sono!
Passo da lassù. Riprendo velocità e attraverso Lucca in un attimo, fino a quando non imbocco la SS12 dell'Abetone e del Brennero. La strada, all'inizio, è bruttina, ma appena comincia a infilarsi nell'orrido di Botri, la musica cambia. Sembra che da un momento all'altro qualche folletto venga fuori dalle rocce scavate della Lima per rapirmi e portarmi nel paese che non c'è.
Che io vorrei visitare, sia bene inteso, a patto che possa seminare un po' di panico con un bel burn-out o con una di quelle impennate che farebbero in genere incazzare qualche guardia e costarti la confisca...
Faccio una curva e il fantasma di un albero in cenere veglia la quiete della statale insolitamente deserta...
Il fumo dei camini veglia la strada... |
E a proposito di guardie... Dalla Lima fino a Pieve Pelago non incontro proprio nessuno, fatta eccezione per qualche sparuta macchina. Vedere le pendici del Cupolino, del Cimone o del Gomito così desolatamente marroni, senza nemmeno una pennellata di bianco, ad eccezione della brina che si ostina a sopravvivere all'ombra di un sole ormai troppo basso per scaldare, aumenta la malinconia di un giorno lunghissimo che si avvia al tramonto.
Però, ancora no...
Così abbasso l'altimetria e al bivio che c'è tra Pieve e la tangenzialina, una bella paletta dei caramba interrompe il ciclo termico del mio scoppiettante boxer...
Favorisca patente e libretto...
Riparto lento, lentissimo, dopo la cazziata del cullé (*) e navigo a vista nella ghiacciaia di Montecreto fino a quando, passata Sestola, il profilo del Corno baciato dal sole diventa il faro verso acque più calde.
Le acque calde, le strade assolate, rendono meglio e infatti, dalla Valle del Leo mi diverto ancora un po' e, finalmente, parcheggio accanto al gigante plurisecolare di Madonna dell'Acero, seconda tappa della mia corsa verso Neverland.
Mukka in religiosa attesa. Ma di che? |
È qui che ho pensato di tornare, 41 anni dopo essere venuto al mondo, sperando di trovare un segno nelle mura semplici di una chiesa eretta per venerare la Beata Vergine apparsa a due pastorali che, fino a quel lontanissimo giorno del mille e quattrocento, erano sordomuti. Cammino un po' nelle foglie ingiallite più dalla noia di una stagione che si ostina ad esser bella che dal freddo che, a questo punto dell'anno, avrebbe dovuto interrompere il loro ciclo vitale, lasciando i germogli delle nuove fronde sotto la corteccia morbida dei rami. Mi siedo sul muretto, cercando di ricordare il punto esatto in cui, quando ero bambino, la Mamma, che oggi cerco in ogni passo che faccio, si mise a sedere aspettando l'ora della messa.
Ricordo che aveva un cardigan rosso, una gonna scozzese e delle scarpe marroni.
Ricordo che aveva un cardigan rosso, una gonna scozzese e delle scarpe marroni.
La piazza è deserta e il muro è freddissimo, nonostante il sole.
No, non c'è.
Non c'è cosa peggiore che partire in un giorno così e non trovare quel che cerchi.
(*) Cullé: diminutivo poliziesco che indica, scherzosamente, il collega.
No, non c'è.
Autumn in Acero's Holy Mary |
Lo so. Si dirà: è arrivato lui... sale in moto e cerca il paese che non c'è, la Mamma che non c'è...
Ci speravo, okay?
Speravo che qualcosa sarebbe accaduto...
Pensavo che dietro una delle mille curve fatte in un giorno così avrei trovato l'accordo giusto per intonare un canto celtico, una di quelle musiche strane, nemmeno troppo melodiose all'orecchio mediterraneo e fischiante che mi ritrovo, che permettono - dicono - di sintonizzarsi con il cielo.
Ho sperato fino all'ultimo momento.
Speravo che qualcosa sarebbe accaduto...
Pensavo che dietro una delle mille curve fatte in un giorno così avrei trovato l'accordo giusto per intonare un canto celtico, una di quelle musiche strane, nemmeno troppo melodiose all'orecchio mediterraneo e fischiante che mi ritrovo, che permettono - dicono - di sintonizzarsi con il cielo.
Ho sperato fino all'ultimo momento.
Quando ho girato la chiave nel quadro e ho sentito interrompersi la quiete millenaria di questo luogo, ho provato il desiderio forte di scappare, di andarmene via.
Mi sono sentito anche un po' sciocco per tutta la fiducia che avevo riposto nel giorno numero 14.975 della mia vita...
Mi sono sentito anche un po' sciocco per tutta la fiducia che avevo riposto nel giorno numero 14.975 della mia vita...
Ma che volete farci? Sono una fava...
Cielo
Giovedì 15 dicembre 2011, ore 19:50 - 986 giorni dopo
2011. Cima Piazzi, o giù di lì... |
Il cielo è ostile, oggi.
È lo specchio del mio cuore.
Luce accecante, in mezzo, ma tutto
attorno è scuro.
Così torno a pensare a Te.
Ho voglia di parlarti, di sentirti e di
abbracciarti.
Ma non ci sei più, cazzo.
Le rocce affiorano dalla neve
ventata.
Fa un freddo cane e mi si gela la
moccola, mentre seguo, ipnotizzato, un omino nero che scende in quella che
normalmente sarebbe una pista e che, ora, è solo un sentierino scosceso e
gelato.
Sparisce dopo due curve e riappare
molto più giù, al sicuro.
Una folata di ghiaccio mi
schiaffeggia e scopro che attorno a me ci sono solo montagne.
Rocce e vento.
Forte, ma non così tanto da portarmi
da te.
Mi manchi.
Ogni istante sempre di più…
A questo, non c'è rimedio.
Buon Natale
Venerdì 23 dicembre 2011, ore 19:35 - 994 giorni dopo
1997. Pont Saint Martin (Aosta) |
Odori invitanti, dalle casseruole di una cucina.
Aria frizzante, dalla finestra di casa.
Rosso della tovaglia, argento delle posate, filigrana dei cristalli.
Pance svuotate apposta per essere riempite di nuovo.
Facce soddisfatte e poi chiacchiere. Divano.
E poi il profumo, il Tuo, nell'abbraccio del ciao.
Ho rotto tutto, ora. Ho rotto tutto quello che sembrava importarti.
Forse è un dispetto per costringerti a tornare.
Ma non torni... Non torna nessuno, da dove sei Tu.
Buon Natale...
“Buon Natale”, di Oscar Pitzolu
Sabato 24 dicembre 2011, ore 15:06 - 995 giorni dopo
Gennaio 2011, Spagna. Oscar |
Hola
Hermano,
ho
solo pochi minuti, purtroppo; e per pensare e riflettere ce ne vogliono di più.
Questa
è la vigilia di natale più strana della mia vita, sinora: però la solitudine è
un sentimento che ho sempre apprezzato perché ci aiuta a capire, o almeno
tentare di farlo, tante cose.
La
solitudine e la mancanza, quasi sempre, vanno sempre insieme!
I
flashback sono sempre più frequenti, i "se" (avessi-detto-fatto)...
aumentano in maniera esponenziale in proporzione ai ricordi.
Però
tutto questo ci fa sentire vivi e, allo stesso tempo, ci ricorda di essere
umani e vivi, con i nostri errori e le nostre debolezze.
È
questo essere vivi, sbagliare: solo chi non vive non lo può sapere.
Personalmente,
penso a mio padre dal lontano luglio del 1994 tutti i giorni e la cosa che mi
consola, mi dà serenità e speranza, è che sicuramente sta meglio ovunque sia
ora che quaggiù negli ultimi anni della sua vita terrena.
Il
distacco fa parte della vita, ne soffriamo è vero, ma questa è la realtà.
Scriverti
da quaggiù, in questo pre-Natale surreale, mi sembra molto strano: pranzo in
solitudine in una sala ristorante vuota, senza nemmeno il cameriere!
Però,
sono consapevole di non essere solo, che nei cuori di tante persone sono
presente nonostante la lontananza (come i messaggi di mia nipote di otto anni
che dice "Zio mi manchi").
Ed
è questa consapevolezza che ci deve fare vivere felici, sapere che da qualche
parte, nel Mondo e non solo, qualcuno pensa a te.
Sempre.
Buon
Natale Lorenzo
5 febbraio
Domenica 5 febbraio 2012, ore 00:16 - 1.038 giorni dopo
Domenica 5 febbraio 2012, ore 00:16 - 1.038 giorni dopo
2012. Tempesta di freddo. |
Ti racconto la mia
giornata di ieri, ok?
Faceva un freddo cane e
nonostante i chili di vicks che continuo a spruzzarmi nel naso, avevo una
moccola incessante, che appena fuori dalle narici gelava, costringendomi a
continue e dolorose soffiate nel kleenex.
Avevo messo gli scarponi
durissimi e avevo ai piedi gli sci più veloci.
Ti ho pensato fin dal
risveglio e speravo di sciare un poco anche per Te.
Di solito ti piace, lo so.
Mi avvicino a questi giorni come se potessi arrivarti, a un tratto, così vicino
da poterti fare una carezza.
Perché in fondo è solo
questo che vorrei. Mi basterebbe.
Una carezza.
Serro i ganci, stringo i
guanti e parto. La prima curva viene sempre un po’ così, ma la seconda è
perfetta. Riesco a tirare indietro lo sci interno e mi ci appoggio sopra
accelerando.
Più vado veloce, penso, e
più ti diverti anche te. Perché, penso, magari siamo tutt’uno solo in quei
pochi attimi in cui la massima velocità coincide con la quiete dei miei
pensieri, quando il fischio del vento placa quello che strazia il diritto al
mio silenzio interiore.
Che non ho.
La corsa si interrompe,
perché una signora sta male in un posto a valle. È seduta, con una frattura.
Siamo tutti lì e la sistemiamo in una barella piena di cinghie, per
trasportarla giù. Io mi ci metto vicino vedo i tuoi occhi, il tuo naso, le tue
mani.
Oddìo, è così che ti vedo,
ancora oggi? Sei lì che soffri e io, vicino, non posso fare altro che
consolarti. Niente di più.
Niente di più, nemmeno
oggi, Mamma.
Le faccio una carezza, le
scaldo i piedi con le mie mani, caldissime.
La velocità non serve a
zittirmi il vento che ho in testa. E non serve far passare il tempo. Ti vedo
sempre lì, che te ne vai dove io non posso seguirti.
Riprovo con le curve,
riprovo con la velocità. Ma non funziona...
Ho perso l'attimo ancora
una volta.
Buon compleanno mamma. Mi
manchi così tanto...
Epilogo
(1.096 giorni dopo)
(1.096 giorni dopo)
Vi sembrerà una storia triste. Ma non è così.
E' solo l'unico modo che ho di dirvi chi era.
Lei era mia Mamma. Lo è ancora...
Copyright © Lorenzo Borselli tutti i diritti riservati
sei sempre unico...un po' triste ma unico
RispondiEliminaSono rimasta senza parole....veramente emozionante!
RispondiEliminaElisa
Il tuo racconto mi riporta a 25 anni fa...la mia mamma se ne andò una mattina di Gennaio, senza preavviso, senza prepararci a vivere soli... Mio padre morì con lei, anche se visse altri 20 anni. La sera prima di morire, allegra come sempre
RispondiEliminami disse: "Paolo, sei la solita troia...". Un giorno chiesi ad una cara amica se secondo lei Dio era cattivo... mi rispose: "se esiste è uno stronzo !"... io sono d'accordo con lei... se non lo è, il giorno del giudizio, non saremo noi ma lui a doverci delle spiegazioni !?!
Ho un sacco di domande, per lui, se c'è. Se non c'è... Allora siamo proprio dei disperati. Naufraghi disperati su una nave alla deriva. Però è una nave bellissima e scalare una montagna, piegare in moto, veleggiare o fare l'amore, sono un biglietto che pago volentieri...
RispondiEliminaIeri sera ho partecipato a un incontro sulla Sindone. Il relatore era il professor Mallegni. Nella Passione,nella Morte e Ressurrezione di quell'Uomo, ho trovato le risposte al mio dolore. Un abbraccio Lorenzo...
RispondiEliminaSono felice per te, Franca. Io continuo a non capire, perché è lui che ha deciso come cominciare...
RispondiEliminaIo tutte quelle domande le ho messe in un cassetto...
RispondiEliminaStamani mi hai fatto venire un bel nodo in gola.oggi a pranzo darò un bacio a mia mamma..dovrei farlo più spesso. Grazie di avere condivisole tue emozini con noi.
RispondiElimina....Un giorno un bambino chiese al padre:" papà, perchè è morta la mamma? Ed il padre rispose:" la mamma è come un fiore. Se sei in un giardino pieno di fiori, scegli quelli brutti o quelli belli????
RispondiEliminaAddio Fabiola R.
Bellissimo, questo pensiero. Il migliore, per un bambino... Poi il bambino cresce...
RispondiEliminaIo sono già morto e tu vivi ancora.
RispondiEliminaE il vento, con gemiti e pianto,
fa oscillare il bosco e la dacia.
E non per proprio conto ogni pino,
ma tutti insieme gli alberi
nella loro distesa sconfinata,
come armature di velieri
sulla superficie d'una baia.
E non per tracotanza
o per vano furore,
ma per trovare nell'angoscia le parole,
d'un canto di culla per te.
Борис Леонидович Пастернак
(un bambino resta sempre un bambino agli occhi della sua bellissima Mamma)
Il buon vecchio Pasternak...
RispondiElimina......non so che dire , già non sono un grande scrittore; ho una serie di emozioni che non riesco ad esprimere... so soltanto che sei arrivato al cuore di tutti noi! bimbi di una mamma che portiamo sempre dietro. .. e rimane solo un lacrimone che non sa se scendere e solcare una guancia o riesce a rimanere lì in bilico sulle ciglia.
RispondiEliminaGuardo te e vedo lei, guardo me e vedo lui. Ti voglio bene.
RispondiEliminaAnch'io Sara. E sono stanco.
EliminaCiao Lorenzo, mi sono preso due minuti e forse anche qualcosina in più ed ho capito che cosa ti rende così speciale: le emozioni. Sì, proprio quelle... Di qualsiasi natura siano resta il fatto che riesci sempre a provocarle e a non lasciare indifferenti le persone che hanno la fortuna di conoscerti o semplicemente di incontrarti.
RispondiEliminaUn abbraccio Lorenzo!
In natura è raro che un figlio assista alla morte del genitore.
RispondiEliminaIl cucciolo quando è pronto va..
L'aquilotto maturo spicca il volo e non torna.
A noi esseri umani certi genitori, andandosene, ci chiedono di spiccare il volo, Lorenzo.
Lo sai che ti capisco, tu sai che non parlo per aforismi e per sentito dire; so cosa significa "restare" quando tutti se ne vanno, lo so che a volte è chi resta che deve imparar a risorgere.
ma..
pensa al "vuoto" che hai davanti e colmalo di Vita e non indugiare nel "pieno" dietro di te, che credi perso.
quel VUOTO contiene un miliardo di potenzialità di esser riempito..
è una legge fisica.
ti abbraccio molto forte.
Che dire.. ho letto il post sul tuo blog... Sono stata travolta da mille emozioni, mi sono commossa.. Ti devo ringraziare perchè ho capito che diamo troppo per scontata la presenza dei nostri genitori, il tempo che ci è concesso con loro è davvero prezioso!...
RispondiEliminaciao Lorenzo,
RispondiEliminaci siamo conosciuti in una strana situazione, ma non posso dire di conoscerti veramente.
sono arrivato a questo tuo blog, in maniera casuale, passando da FB ....
ne avevo avuto la sensazione ..... e adesso ne ho la prova:
SEI VERAMENTE UNA GRANDE PERSONA
un abbraccio
Paolo
Grazie Paolo... Non ho capito chi sei. Magari, se mi mandi un messaggio su FB o una mail, mi aiuti a capire meglio... Grazie ancora...
RispondiEliminala tua storia, raccontata così, mi ha commosso profondamente e mi offre una seria opportunità: quella di rivalutare e ricostruire i rapporti della mia vita: genitori, figli ....
RispondiEliminaPaolo
Bisogna volerlo. Non credo che ne valga sempre la pena... cioè, dipende anche dalle altre persone, oltre che da te... Dipende da quanto le persone siano disponibili ad ascoltarti e aspettarti. Però il tempo passa... Stiamo così poco, insieme, se ci pensi...
RispondiEliminaDalle cose brutte negative bisogna sempre estrapolare un qualcosa di positivo : ricomincia a vivere! I ricordi nessuno te li porterà via sono tutti tuoi ma la vita deve continuare , devi vivere.
RispondiEliminaMi spieghi cosa c'è di positivo nell'aver perso la mamma?
RispondiEliminaNessuna vena polemica eh! Volevo solo un tuo parere... È chiaro che ricomincio a vivere, anzi... Probabilmente non ho mai smesso... Magari uno potesse sottrarsi alla vita, in certi momenti...
EliminaEvidentemente non mi sono spiegata. Perdere un genitore e' uno choc totale dalla quale pero' bisogna farci forza e continuare a vivere, Penso che' tua madre non ti avrebbe voluto vedere distrutto e distruggere la tua vita. "le lettere che scrivi a tua madre" sono belle e piene di emozioni . Sara' sicuramente fiera di avere un figlio come te .
EliminaLo spero davvero...
Elimina"Storie di strade, di persone, di cilindri, di passione. Semplicemente, Storie di moto..."e di vita aggiungerei, la tua Vita e di semplice non c'è nulla. Non so quante volte ho scritto e cancellato questo commento. Lo sai che per me non è stato affatto facile leggere questo racconto. Dopotutto non lo è mai quando leggi, con quelle parole, la descrizione della sofferenza di un amico. E' inutile che io ti stia a scrivere quanti e quali emozioni hai suscitato dentro di me. Ormai ci conosciamo da tanto tempo noi due, e di parole tue ne ho sempre lette, e cercato di capire, tante. Sin dai tempi delle tue prime cronache a La Nazione. E da allora sei cresciuto Lorenzo. Sei diventato un Uomo, con tutte le fragilità di una persona estremamente sensibile e così incredibilmente coraggiosa. Te l'ho già detto, questo è il più bel racconto che tu abbia mai scritto. Dettato dal cuore e scritto con l'anima, per Te stesso e per la Tua Mamma.
RispondiEliminaFai bei sogni Lorenzo, sempre...
3.4.2009/29.7.1994
RispondiEliminaHi brother,
come se fosse ieri, ricordo il tuo messaggio di tre anni fa. ero appena arrivato in sardegna, forse il giorno prima, e stavo per iniziare una nuova avventura. la mia moto parcheggiata sotto il nostro appartamento in affitto e tante cose da fare. La mattina, al risveglio, la triste notizia accentuata dalla lontananza. inevitabile, maledettamente inevitabile. Non poter essere vicino ad un amico in questo momento, mi ha fatto soffrire più di qualsiasi altra cosa... ma la vicinanza è un'altra cosa: non è necessario stare insieme. sentirsi ed essere vicini è qualcosa che travalica e supera tutte le distanze.
E quel giorno, ahinoi, mi ha riportato indietro sino a quella bollente estate del 1994, quando un ragazzo, pronto a partire per la scuola di polizia ricevette la fatidica telefonata dall'ospedale....Riccardo, mio Padre, non c'era più.
Ed ecco che in me, in noi, scatta la molla: si cresce, si affronta la vita in maniera diversa, ci si rapporta con la gente diversamente. Non siamo e mai saremo soli.
Ciao Lore,
RispondiEliminabentornato!!!
cecco
Io ho pianto poco. Io ho pianto poco per la perdita di mia mamma avvenuta due anni fa, il 3 agosto di due anni fa. Non era mai il momento opportuno. Prima, per nascondere la verità di un destino incomprensibile quanto implacabile, celato (forse?) dietro i miei occhi terrorizzati e sgomenti. Poi per sostenere e dare forza a una famiglia che nel panico perdeva l'orientamento, come una bussola rotta. Una famiglia bella e unita che perdeva la solidità di una donna che ha dedicato tutta la sua vita ad essa. Una mamma che ci ha cullato, cresciuto, sgridato, sfamato( una delle sue più grandi soddisfazioni vederci sazi!), curato con la massima dedizione. Una mamma...mamma, di quelle che tutto va prima di lei e questo mi faceva anche arrabbiare, ma che le dava il massimo del piacere. Una mamma che ci ha nutrito di tanto amore, un amore grande, che io riesco a percepire perfino in un autoscatto fatto l'anno prima che ci lasciasse, il giorno del compleanno di mio fratello alessio. In quella foto, che ci immortala, uniti ancora una volta a tavola, lei col suo fisico stanco e consumato, ma negli occhi serenità e appagamento, sembra volerci dire, ancora una volta, VI VOGLIO BENE! Oggi Lorenzo il mio viso si è rigato di lacrime...ma non so dirti se mi sento più sollevata o più pesante. Il dolore rimane.
RispondiEliminaPenso a lei ogni giorno,. La vedo in tutto quello che faccio, nei miei errori, nelle mie mancanze, nei miei successi (pochissimi). Tutto è frutto suo. Non so chi sei, non ti riconosco in quello che scrivi. La mia mail è in fondo...
RispondiEliminaCiao Lorenzo. Mi permetto di darti del tu, anche se non ci conosciamo, perchè ti sento vicino nel dolore che hai provato e immagino provi tutt'ora. Ho iniziato a leggere i tuoi ricordi per caso, come avviene sempre. Per caso del resto ogni cosa della vita ci sorprende e ci porta con sè sulla sua onda, che a volte accarezza, a volte stende. Ho sempre evitato di pensare a mia Madre, a Lei malata, da quando non c'è più. Se n'è andata quasi un anno fa. Chissà perchè ho deciso di leggerti, malgrado sapessi che avrei riaperto tutte le ferite. A leggere dei tuoi giorni all'inferno. Dell'ospedale, dei silenzi assordanti, delle mani così care e conosciute, fino all'ultima macchia sulla pelle, che si cercano perchè insieme la paura è meno forte. Aggiungo le notti passate al Suo fianco, i mille ti amo, i mille mi ami? che Le rivolgevo, perchè sapevo che ognuno poteva essere l'ultimo e volevo riempirmene il cuore per il dopo. A volte pensavo che servissero, altre volte che non servissero a niente. Ora mi fa bene il ricordo di tutto quell'Amore. E quindi dicevo che ho deciso di leggerti, e leggendo arrivo ad un punto dove l'onda del caso si frange un'altra volta, e ogni volta che capita ti porta sotto, ti squassa, ti centrifuga, ma se riemergi, se ce la fai, respiri più forte tutta l'aria che c'è, perchè la vita è così. Dura, bella, misteriosa. E' tutto e il contrario di tutto. E io voglio viverla finchè ho vita, Lorenzo. Non ho più niente da perdere, perchè ho già perso tutto. Non ho più paura di niente. Di niente. E quando sarà il momento saprò. O non saprò, ma allora non avrà più importanza. So che capisci cosa voglio dire. Dimenticavo di dirti quale punto dei tuoi ricordi mi ha colpito tanto. Siamo parte della stessa trama; a volte i fili si intrecciano, ed emerge uno schema. O forse no. Ma anche qui so che capisci cosa voglio dire... Mia madre era del '44, come la tua. Un abbraccio, Roberto
RispondiEliminaSi Roberto.
RispondiEliminaIl dolore lo provo ancora. Come il primo giorno, come il secondo, il terzo... Ne sono passati 1.982 da allora, il che significa 5 anni e 57 giorni e 283 settimane quasi tonde. Ho letto il tuo commento subito, perché il sistema mi comunica quando qualcuno lascia la sua firma sul blog e ti confesso che ho provato un fortissimo senso di calore. Perché anche se sono passati 1.982 giorni, continuo ad aver bisogno di condoglianze. Continuo ad aver bisogno di qualcuno che mi chieda "come stai" in relazione a mia mamma. Invece capita di rado... Comunque grazie. Grazie davvero di aver letto e aver condiviso con me il tuo pensiero. Non so chi tu sia, non so dove tu sia e non so se potremo conoscerci mai. Se vuoi scrivermi, la mail è la sotto... leggerei con piacere. Non ho consigli da dare, ma servirebbe un bel gruppo in cui parlare, spiegare che cosa è un lutto per te stesso (soprattutto a te stesso) e ascoltare gli altri. Tutti hanno una mamma, un babbo, un fratello o un amico che non c'è più... condividere aiuta.
Ciao Roberto...
Sono già passati 10 anni...Ti stringo in un forte abbraccio
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