CAPO NORD 1979

Un viaggio in moto verso le lontane terre di Odino 


I
“Cronaca di un viaggio in motocicletta compiuto da due giovani Calenzanesi appassionati delle due ruote attraverso il Centro e Nord Europa in una estate del 1979 e scritto con l’intento di rammentare in qualche modo non soltanto il trentesimo anniversario di un’avventura che all’epoca poteva considerarsi veramente tale, ma anche per ricordare gli anni verdi della gioventù, con le sue speranze, il suo coraggio, la sua incoscienza nonché un’amicizia intramontabile che dura ancora oggi nonostante i  vari avvenimenti personali della vita  ci abbiano,  in seguito,portato a percorrere strade diverse”
II
I protagonisti
Giampaolo Taiti - autore del manoscritto, nasce a Calenzano il 06/09/1954, oggi residente a Sesto Fiorentino, ha acquisito e coltivato dagli anni dell’adolescenza in poi, due grandi passioni, la caccia ed i viaggi. Diplomatosi in Ragioneria nel 1973, già l’anno precedente  aveva effettuato i suoi primi viaggi in Italia ed all’estero. A viaggiare oltre i confini nazionali continua anche durante il servizio militare, sebbene non proprio autorizzato, recandosi in Olanda, con tre compagni d’armi (fra i quali l’editore di questo testo), in automobile. Nel 1976 acquista la sua prima motocicletta ed iniziano così le avventure anche sulle due ruote, tra le quali, nell’estate 1977 un raid in Ungheria, quando viaggiare nell’est Europeo era ancora abbastanza difficile,  sempre con Mario Magli. Non un turista qualunque quindi ma un “viaggiatore” che ha raggiunto oltre che Capo Nord nel 1979, molte altre parti del mondo e con ogni mezzo possibile. Da ricordare, per la follia, Amsterdam – Calenzano, via Brennero (1400 km) in una sola tappa per ben tre volte in motocicletta, di cui una con Mario Magli con la sua sola moto.

Mario Magli -  compagno dell’autore in vari pellegrinaggi Europei, nasce a Calenzano il 06/08/1952 dove risiede ancora oggi. Grande appassionato di motociclette fin da ragazzino, inizia con il motocross dove anche tenta la via delle gare sportive. Più tardi abbandonerà questa categoria per passare alle moto sportive e da turismo. Con l’arrivo in Europa delle moto Giapponesi, la sua Kawasaki 750 blu, sarà una delle prime di quel genere a sfrecciare per le strade della provincia. Dopo il primo raid del 1979 ritorna a Capo Nord da solo, sempre in moto, dieci anni dopo, nel 1989 e ci ritornerà ancora, questa volta, in auto nel  1991 con la moglie Giovanna. Ovunque ci sia stata una gara internazionale di motociclismo (GP) in Europa, lui c’è andato in moto, spesso da solo. Oggi è un fan di Valentino Rossi e i GP li guarda in Tv.


III

Il mondo è un libro aperto, chi sta a casa legge sempre la stessa pagina

                                                                                                                          Sant’Agostino


IV

Introduzione

La passione per la moto l’ho sempre avuta, fin da ragazzo. Purtroppo non ho potuto averne una prima dei ventidue  anni,  per motivi soprattutto economici. Fino ad allora mi ero accontentato di guidare quelle degli altri, dai quarantotto (uno di questi, prestatomi da un  compagno di scuola lo distrussi pure contro un’auto in sosta)  alle vespine ed infine le moto Giapponesi di grossa cilindrata. Più spesso mi ero dovuto accontentare di sedermi sul sellino posteriore di quelle dei miei amici per le solite scorrazzate alle Croci di Calenzano o a Firenze.

Fu il mio vecchio e caro amico Mario Magli, allora detto “becchino” sì perché gestiva con la famiglia la locale impresa funebre, a convincermi a fare finalmente l’acquisto delle mia prima motocicletta. Ormai lavoravo e potevo permettermi quel debituccio, così andai in banca, feci la pratica e mi ritrovai un bell’assegno circolare in mano con il quale  comprai una Honda 500 four, un bijou  per quei tempi. La presi ad Ancona da un concessionario della ex Roller, che era anche concessionario di quella marca di moto giapponesi e con il quale mio fratello, allora responsabile delle consegne alla suddetta ditta, aveva ottimi rapporti.

Poiché tanto per cambiare ero con amici in giro per l’Europa, quando la moto arrivò, la dovette ritirare proprio Nicola, mio fratello, che poi la portò a casa sua e le fece fare anche un po’ di rodaggio. Non  immaginate con che entusiasmo andai a prenderla una volta tornato dal viaggio estivo; era il 1976. La moto per noi non è mai stata un mezzo alla moda da tenere parcheggiato in bella vista davanti al bar del paese. Ci piaceva usarla il più possibile, per andare al lavoro e per divertirsi a fare dei bei giri sulle colline qui intorno quando il tempo lo permetteva. Spesso il sabato pomeriggio era banda: alle 14:00 ritrovo al bar del Biagiotti in piazza a Calenzano, caffè e per Mario anche sigaretta, poi via, ora a Volterra, ora alla Raticosa, oppure a Viareggio o in altri posti come minimo a settanta/ottanta  chilometri di distanza, ma non ci spaventavano certo distanze anche maggiori, tant’è vero che un fine settimana andammo addirittura a Monaco di Baviera, portando anche due altri amici, Franco e Roberto, a farci una birra (1978)!

C’erano molti motociclisti fra i giovani in quegli anni e si era costituito anche un club, il M.C.Pegaso, che riuniva appassionati di tutte le età e ceti sociali in un unico simpatico sodalizio. Ma era con Mario che ci trovavamo più spesso anche per escursioni piuttosto lunghe e con il quale organizzai, da amante del vagabondaggio quale ero, i  primi viaggetti su due ruote.
Praticamente mi aveva insegnato lui a guidare con una certa disinvoltura e dato che era anche un discreto meccanico, mi sentivo sempre tranquillo a viaggiare in sua compagnia. Dopo i primi viaggi, che oserei definire quasi pazzeschi, tipo Amsterdam in quattro giorni con una moto in due, Budapest-Vienna in una settimana con le due moto (lui aveva nel 1977 una formidabile Kawasaki 900),  e quello  già citato a  Monaco, ed altri, decidemmo di affrontare qualcosa di più impegnativo.
Così all’inizio del 1979, ancora d’inverno, cominciammo a pensare e progettare un viaggio a Capo Nord! Sembrava di pensare di andare sulla luna: 4.450 chilometri di distanza da percorrere e dei quali gli ultimi 150 erano di strada sterrata. Non saremmo stati certo i primi ma l’idea ci entusiasmava e non potevamo fare a meno di parlarne in continuazione entrando fin da subito nei dettagli, io per i percorsi, le tappe da fare e la parte diciamo economica, Mario per quello che avrebbe riguardato la preparazione delle moto e le scorte eventuali di materiale.

Serate estive in moto e le corse al “Santuario”

Calenzano non aveva mai offerto nulla di più che lo squallore della Casa del Popolo o dell’altro circolo, quello della “concorrenza”, detto “la Concordia”, che non brillava certo come un locale di Las Vegas.  Per noi ventenni o poco più, avere un mezzo proprio per scappare verso la città o anche più lontano era veramente importante, quasi vitale.

D’inverno bisognava ricorrere all’automobile. Allora più che altro avevamo “Fiat 500” e qualche volta ci si ritrovava dentro in quattro, pigiati come sardine sott’olio. Mario aveva una “Giulia” arancio e nera prima e più tardi un’altra, però bianca. Non che fosse lo sceicco del paese, se la passava un po’ meglio e basta. A maggio però si tiravano fuori le motociclette. A Firenze ci andavamo spesso, il sabato pomeriggio, la domenica, ma quando arrivava il caldo insopportabile di giugno e luglio, la sera, via al Piazzale Michelangelo a godersi non il panorama della città ma il fresco e il passeggio di sventole bionde che parlavano lingue nordiche poco comprensibili ma che ci facevano lavorare di fantasia e impazzire dall’eccitazione. Mario lo chiamava “il Santuario” perché era diventato per noi quasi un luogo di culto, un rito ripetitivo.Verso le 22:00 o giù di lì, accesa l’ennesima sigaretta lui e finito il mio gelato io, saltavamo in sella alle moto e via al Piazzale.

Una volta arrivati, non prima di aver fatto una pacifica incursione in centro, si parcheggiava davanti al bar sull’angolo delle rampe che scendono a Porta San Nicolò e entravamo a prenderci un buon caffè circondati da turisti e, soprattutto, da turiste, che ci guardavano con aria curiosa ma che non eravamo, poveri campagnoli, capaci di abbordare. Alla fin fine la sella delle nostre motociclette sembrava ci piacesse più del fondoschiena di qualche bella svedese.

Seduti sulle moto o sulla balaustra che circonda due terzi del Piazzale Michelangelo  quell’estate si  parlava quasi esclusivamente del viaggio che avremmo intrapreso a metà luglio, questa volta per davvero. Molti erano i particolari da studiare, verificare e definire e da come ci eravamo messi di impegno pareva si progettasse addirittura il giro del mondo.

Io pensavo alla strada da fare, ai paesi da attraversare, per vedere se occorrevano assicurazioni particolari, documenti insoliti, tipi di valuta e roba del genere, cercando anche di pianificare le tappe in considerazione della grande differenza di strade che avremmo trovato specie oltre la Germania. Mario si preoccupava invece di come equipaggiare le moto e quali materiali di scorta era bene portarsi dietro. Solitamente verso mezzanotte si ripartiva per passare nuovamente dal centro e rientrare a Calenzano ma qualche volta facevamo anche più tardi. Dove ci eravamo fermati più a lungo a discutere lo si poteva arguire dal mucchio di cicche di “Marlboro” che Mario aveva lasciato in terra.

Col senno di poi devo dire che con l’accuratezza con cui preparammo quel viaggio saremmo potuti andare tranquillamente anche a Vladivostock e tornare sani e salvi e con le moto tutte intere. Il caldo non era poi la caratteristica di quell’estate, anzi dopo giugno ricominciò a piovere e la calura afosa e tipica del periodo era lontana. Le previsioni generali erano incerte ma eravamo ormai sicuri che saremmo andati incontro alla pioggia durante buona parte del viaggio, infatti nei paesi verso i quali eravamo diretti l’estate non è caratterizzata dalle cicale che cantano sugli ulivi!

Mi ricordo sempre, a proposito di pioggia,  le prime righe di un articolo di un collega motociclista che scriveva su una nota rivista del settore e che era stato nel Nord Europa attraverso la Germania: “….tra Monaco e Kassel non soltanto piove, ma c’è un vero e proprio muro di acqua”! Per questo comprammo due tute impermeabili con il tessuto telato e gommato, una gialla e una arancione, una sciccheria che ti dava anche il vantaggio di essere molto ben visibili anche da lontano.

14 Luglio 1979

Ecco, ci siamo. Dopo tanto parlare, pensare, scherzare, tra caffè, gelati, birre e sigarette, siamo dal nostro amico Biagiotti a gustarci l’ultimo buon caffè delle prossime tre settimane, sono le 08:00. Le motociclette sono stracariche; quella di Mario sembra addirittura una “Ape” con il carrozzino tanta è la roba che ci ha messo su. Nella maniaca ipotesi di non trovare il nostro olio motore preferito, il “Castrol”, il mio socio ne aveva comprati ben sedici chili, prevedendo almeno due cambi ciascuno! E poi cavafascioni, chiavi, camere d’aria, fil di ferro e nastro adesivo, nemmeno fossimo andati inAfrica. Io avevo un bello zaino fissato sul serbatoio tipo sella per cavalli, una borsa gialla e la tendina canadese piazzati sul retro della sella e fissati con le corde elastiche, una grande invenzione, utilissime in ogni viaggio con bagagli al seguito.

Giancarlo ci guardava con il solito sorriso da buontempone e certamente anche con ammirazione per quel tour che stavamo per intraprendere. Ci fece notare che andavamo incontro a tempo brutto e ci salutò cordialmente come sempre mentre ci si piazzava il casco in capo e si montava in sella. I caffè, inutile dirlo, gli offrì lui. Alla prima sosta in autostrada per rifornimento carburante, facciamo subito la cassa comune, e
naturalmente da buon ragioniere, i conti li tengo io. Costituiamo la cassa con 50.000 lire, 1.950 marchi tedeschi e 450 scellini austriaci, tanto per cominciare. A quei tempi  mi divertivo un sacco con le valute estere. Verso il confine con l’Austria  il cielo si fa sempre più scuro. Alle 14:30 passiamo il Brennero con un tempo da lupi. Fatti pochi chilometri in Austria ci fermiamo ad infilarci le nuovissime e vistosissime tute impermeabili che ci rendevano forse ridicoli ma sicuri di non ammollarci fin dentro le mutande. Intanto la corda del contachilometri della mia moto si è, non so perché, sfilata dall’attacco del cruscotto e durante la sosta l’abbiamo risistemata.

Per il pranzo ci siamo accontentati di un piatto di pollo e patate fritte al “Wiener Wald”, poco dopo il mitico Europa Bruck, il  ponte Europa, che ancora oggi segna uno dei passaggi più importanti nelle vie di comunicazione dell’Europa centrale con la sua imponenza. Posto economico quell’ autogrill dove si mangiava quasi esclusivamente pollo e tacchino, oggi non si chiama più così e mi sembra di ricordare che è diventato un ristorante autostradale standard abbastanza caro. Siamo entrati nella grande Germania che erano circa le 16:20 e il brutto tempo continuava a venirci incontro, o noi andavamo incontro a lui, chissà!  Non ci siamo fermati sul confine oltre il tempo di mostrare i passaporti ai poliziotti tedeschi, dopo di che abbiamo fatto una sosta un po’ prima di Norimberga per rifornimento carburante e per la fumatina di Mario.

Poiché si stava avvicinando l’ora in cui i tedeschi escono dall’autostrada e vanno a piazzarsi in qualche albergo per la cena e la notte, anche noi abbiamo fatto lo stesso. In Baviera ci sono dei paesini molto carini anche nei pressi dell’autostrada, che allora non aveva ancora sconvolto del tutto il territorio:  per andare in direzione Norimberga – Amburgo si passava ancora intorno alla periferia di Monaco se non addirittura attraverso certi sobborghi della città.

Usciti dall’autobahn ci siamo diretti in un paese di cui non ricordo più il nome ma non si riusciva a  trovare una camera nei pochi alberghetti del centro, poi in un ultimo tentativo presso quello che sembrava una pensione ristorante come ce ne sono molte, le caratteristiche Gasthaus, situata quasi alla fine del paese dalla parte opposta all’autostrada, abbiamo trovato una sistemazione. E qui c’è stata una scenetta divertente: entriamo e mi dirigo al banco del bar che faceva anche da reception; vedo un robusto barman con delle basette a calzino più lunghe dei capelli che stava sciacquando dei boccali di birra e chiedo "Guten abend, aben sie einen frei doppel zimmer?" e quello naturalmente mi risponde in  tedesco dicendomi che sì una camera ce l’avevano ancora ma c’era forse un problemino e chiamò una signora, forse la padrona che sorridendo mi disse qualcosa mentre ci veniva incontro.

Ma il mio tedesco finiva più  meno lì, quindi feci una faccetta confusa e impacciata per cui la donna, sempre sorridendo ma forse con un po’ di sarcasmo questa volta, mi disse “ma lei non capisce il tedesco vero?”  - “Nein” ammisi “Do you speak English?” e allora andò a chiamare una ragazza che invece parlava  Inglese. Mi spiegarono che nella camera rimasta, una mansarda, c’era un letto singolo e un divano letto piccolo ma in cui forse il mio amico – ammiccando Mario,  alto 1,62 – poteva starci abbastanza comodo.

Affare fatto, l’abbiamo presa, che altro potevamo fare a quell’ora tarda del pomeriggio, considerando anche che dopo le 20:00 in Germania, a parte le grandi città, non si cena più. L’arredamento dell’alberghetto sembrava di uno stile un po’ nostalgico, nel bagno c’erano delle mattonelline tipo cassa da morto, come disse poi Mario, modello standard! Quel giorno avevamo percorso 746 chilometri e dopo la cena, durante la quale non mi sono fatto pregare per bere un paio di  ottime birre, siamo andati prima a fare due passi nel paese e poi, presto, a letto.

Alle 4:30 ero già sveglio e, a parte andare in bagno a scaricare la birra, mi sono rigirato nel letto fino alle 7:30, Mario pareva ronfasse ma non credo abbia dormito poi così bene. Guardando fuori il tempo sembrava migliorato ma c’era una leggera nebbia. Secondo giorno, 15 luglio, fatta colazione e ricaricate le moto siamo ripartiti verso nord alle 9:00. Tutto sommato non era andata poi male, anche la spesa era stata modica e l’unico inconveniente è stato che la camera non aveva bagno quindi, niente doccia rilassante. Abbiamo viaggiato fin dopo Amburgo, sempre accompagnati da un tempo incerto e da un freddo cane. Alle 17.30 abbiamo lasciato nuovamente l’autostrada per cercare dove fermarci, ormai avevamo fatto già 710 chilometri e per essere il secondo giorno, era più che sufficiente.

Questa volta l’albergo, una casetta tipo nordico quasi tutta ricoperta di edera, l’abbiamo trovato subito ma sembrava davvero un rimasuglio del terzo Reich. In bagno quando ho visto il sapone sul lavandino l’ho annusato per sentire se aveva odori strani. Abbiamo dormito meglio della sera prima ma anche qui non c’era il bagno in camera e pigri come siamo ci ha fatto fatica andare ai bagni comuni nel corridoio.

Immensa Scandinavia

Alle 7:15 siamo già in piedi, cavolo, nemmeno quando vado a lavorare mi alzo così presto! Colazione veloce, e scarsa devo dire, poi via di nuovo sotto una pioggiarella noiosa verso la Danimarca, dove siamo arrivati alle 9:45  del 16 luglio, accolti da un vento bestiale che pareva volerci buttare in terra a tutti i costi, ma almeno abbiamo visto un po’ di cielo blu. Il controllo al confine è stato veloce ed amichevole. Abbiamo incrementato la cassa di 80 marchi per fare poi un cambio con le corone Danesi che a quel tempo corrispondevano a circa 160 lire.  Poi abbiamo puntato su Fredrikshaven, una città che sta sul mare di fronte alla Svezia, quasi in cima allo Jutland,  la penisola che costituisce la maggior parte della Danimarca, se non si considera ovviamente l’enorme e fredda Groenlandia, territorio Danese a tutti gli effetti. Arrivati sul posto alle 16:00, più o meno, siamo andati subito al porto per vedere come erano messi gli orari dei traghetti per Goteborg e ne abbiamo preso subito uno che partiva alle 17:30 con la speranza di
arrivare dall’altra parte in Svezia a un’ora decente per cercare, come al solito, albergo e ristorante.
I biglietti, comprese le motociclette, ci sono costati 238 DK. Noi Italiani, con le nostre abitudini di cenare anche dopo le 20:00 e di avere alberghi un po’ dappertutto e quasi sempre con qualche stanza disponibile, quando viaggiamo nel Nord Europa siamo sempre in difficoltà con il rito della ricerca di una sistemazione. Comunque Goteborg è una città forse più grande di Firenze e non pensavo ci sarebbero stati problemi a trovare un albergo. Al momento dell’imbarco avevamo percorso solo 460 chilometri e praticamente da lì in poi non avremmo più avuto a disposizione le larghe autostrade dell’Europa centrale, ma questo non era certo un dispiacere, giusto una constatazione. La navigazione era prevista durare quattro ore, alle 17:30 però la nave ancora non si muoveva e io mi preoccupavo di avere poi problemi di albergo una volta arrivati sull’altra sponda. Poi finalmente la nave si è staccata dagli ormeggi e alle 21:40 siamo sbarcati a Goteborg.
Cominciava a fare scuro.
Sulla nave è successo un fatto insolito: ad un certo punto siamo andati ai bagni e sul serbatoio dell’acqua del gabinetto dove  Mario si è diretto, c’era un portafoglio pieno zeppo di soldi in diverse valute. Fatto quello che doveva fare,  Mario ha preso il malloppo in mano guardando ora quello ora me, che intanto stavo uscendo, chiedendosi che cosa fare. Improvvisamente è apparso sull’uscio dei bagni, riempiendone tutta la sua apertura, un altro motociclista bardato tipo “Hell’s Angels”, che guardava intorno con gli occhi sgranati ed evidentemente preoccupato. Di fronte all’energumeno vichingo, il Magli, che al confronto pareva Pollicino, ha allungato la mano ammiccando al portafoglio e naturalmente, l’omone se lo è ripreso, con suo palese sollievo e non certo senza ringraziare il buon collega latino. Dopo, scherzando, ho dato di bischero al Magli, perché lì dentro c’erano sicuramente abbastanza soldi per pagarci mezzo viaggio, ma in coscienza ero sicuro che lo avremmo subito portato al Commissario di Bordo.

Contrariamente a quanto mi aspettavo, la polizia di frontiera Svedese, nel caso specifico due biondine con una grinta da cane da guardia, ci ha fatto perdere un mare di tempo, le due poliziotte infatti ci hanno posto un sacco di domande, e a me hanno addirittura contestato che il passaporto era scaduto confondendo la data di invalidazione delle marche da bollo con quella dell’anno di validità del documento.  Per fortuna il loro Inglese era anche migliore del mio e ho potuto spiegare il malinteso senza problemi. Secondo Mario ci volevano imbroccare ma per noi prima di tutto venivano il viaggio e le moto, a meno che non ci fossero saltate addosso mentre eravamo in albergo, le Svedesi ce le potevamo anche dimenticare: “Tanto a Firenze ne arrivavano fin troppe”….. era la giustificazione per non sentirsi proprio bischeri. Non abbiamo fatto in tempo a ripartire dalla banchina di attracco dove stava il posto di frontiera che un altro poliziotto su una Bmw bianca ci ha fatto un cicchetto perché ancora non avevamo indossato il casco,
ma che palle!



Albergo cercasi disperatamente: sembrava fossimo arrivati dalla parte sbagliata della città, non si vedeva nulla. Poi, un poliziotto, anche lui su Bmw  ma sicuramente meno stronzo di quello di prima, dopo che lo avevo fermato per chiedergli informazioni,  ci ha accompagnato all’hotel Ritz, nei pressi del centro cittadino. Il portiere, africano perché era troppo marrone per essere uno svedese tornato dalle vacanze sul mar Rosso, ci ha sistemato in una camerina decorosa ma anche questa senza bagno… che fosse un complotto? Bene, saremmo rimasti sudici anche per quella sera,  e meno male che i letti erano separati!
La Svezia non era il paradiso di cui si parlava;  io c’ero già stato tre anni prima e se è pur vero che le ragazze svedesi sono quasi tutte attraenti e garbate, è altrettanto vero che la vita lì è abbastanza difficile per tutta una serie di ragioni che vanno dal clima rigidissimo in inverno, specie nel nord del paese, con giornate cupe scarsamente illuminate da poche ore di luce,   ai prezzi esagerati di qualsiasi prodotto o servizio. Inoltre la sera, anche in estate, basta che sia brutto tempo e tutti si rintanano nei pub a riempirsi lo stomaco di birra schifosa molto alcolica e che ti sballa dopo pochi bicchieri…..a sette – otto Corone l’uno!

Quindi, niente baldorie a Goteborg e dopo cena, dove ci hanno spennati ma ci siamo permessi anche una
boccia di vinaccio rosso di indubbia provenienza, via a letto! In camera, prima di mettermi a dormire, ho bevuto  dell’acqua dal lavandino. Mi pareva strana, l’aveva notato anche il Magli, acqua che ti scorreva via sulla pelle senza quasi bagnarti, come se le sue molecole fossero più pesanti…. ma l’acqua detta appunto pesante, che serviva per i primi esperimenti nucleari, non stava in Norvegia? Nel mezzo della notte mi sono svegliato con forti crampi all’addome e sono andato al WC ma era, o almeno sembrava, solo aria. I dolori non  passavano allora ho capito che venivano dallo stomaco e ho pensato a una specie di intossicazione dovuta proprio all’acqua, così mi son fatto coraggio e mi sono cacciato due dita in gola e ho vomitato…. che schifo! Sono rimasto in bagno quasi un ora, quell’altro se la dormiva alla grande arrotandosi i denti di tanto in tanto con rumori buffi da scoiattolo che rode le nocciole.

Martedì 17 luglio ce la siamo presa comoda; Mario non si era nemmeno accorto della mia nottataccia ma non ha fatto storie e siamo partiti alle 10:00 o forse più tardi. L’albergo ci era costato 138 SK ; oggi con quella cifra non ci fai nemmeno un pranzo da quelle parti. Presa la direzione della Norvegia, ci siamo arrivati verso le 15:15 e abbiamo fatto una sosta veloce alla frontiera che sta alla fine di un profondo fiordo che separa di fatto i due paesi, almeno per quanto riguarda la zona costiera. Abbiamo cambiato 500 DM e 35 SK  e siamo ripartiti verso Oslo, che comunque non era la nostra meta del giorno. Ad Oslo c’ero già stato nel 1976 con un furgone insieme ad altri amici, e devo dire che pur non essendo brutta, non offre molto ad un turista abituato a città ricche di storia e di vita. Infatti, palazzo Reale a parte, che poi è abbastanza modesto, non c’è un gran che da vedere e, con quello che costano gli alcolici, anche la vita nei pub e nei locali notturni  è piuttosto scarsa.

La Norvegia

La capitale norvegese l’abbiamo superata intorno alle 17:00 per poi fermarci  ad Eidsvall per la notte. Il tempo si è leggermente rimesso ma d’ora in poi sarà sempre più freddo. Ci siamo fermati presso un ostello, piccolo, tutto in legno e finalmente, dopo quattro giorni, ci siamo potuti fare una bella doccia! Quando siamo entrati nella camera, o meglio camerata, perché c’erano otto letti a castello, abbiamo avuto la sorpresa di vedere che gli altri due ospiti erano due belle giovani svizzere e la fantasia ha cominciato a lavorare….. ma a quanto pare ci portavamo dietro il malocchio, infatti dopo poco è arrivata una coppia di anziani viaggiatori, (sì anziani perché nei paesi scandinavi non c’è limite di età negli ostelli)  che hanno rotto l’atmosfera…. e pure  i coglioni! Quel giorno abbiamo percorso soltanto 390 chilometri e anche se l’imbrocco  è andato a monte, almeno ci siamo riposati davvero.
La mattina del 18 ci siamo alzati con il brutto tempo e siamo partiti sotto l’acqua che poi non ci ha dato tregua tutto il giorno. Viaggiare per quelle strade strette e tortuose è già abbastanza difficile, con la pioggia poi diventa un incubo. Le tute di gomma dopo un po’ non  fanno più respirare la pelle e si comincia a sudare, e ti ritrovi bagnato anche se coperto come un palombaro!
Con quel tempo di cacca non si poteva certo fare molta strada, quindi ci siamo fermati in un posto a circa 85 chilometri da Trondheim per passarci la notte, avendo percorso soltanto altri 396 chilometri dalla mattina. Purtroppo le previsioni per il giorno dopo non erano migliori, sembrava che le nuvole ci seguissero…… tipo nuvola fantozziana dell’impiegato, trasformate forse per l’occasione in nuvole per il motociclista! Lì eravamo a circa 1600 chilometri da Capo Nord ed ancora non avevamo fatto nessun cambio di olio. La Norvegia sembra ancora più cara della vicina Svezia:  a pranzo abbiamo speso quasi 55 Corone (quelle Norvegesi valgono però un po’ meno delle Svedesi), a cena 76 e l’albergo ne è costate ben 145 !  Poi Mario ha fatto una telefonata alla sua bella in Italia e ci ha lasciato altre 20 Coroncine!

Il 19 si riparte con la nebbia e l’umidità dell’aria rende il clima più freddo di quello che era già. Verso le 10:20 ci siamo fermati per cambiare l’olio. L’operazione l’abbiamo fatta a margine della strada approfittando di uno slargo poco asfaltato e contro ogni buona regola dello smaltimento degli olii bruciati. Se fosse passata la Polizia mi sa che oggi eravamo ancora in Norvegia….. si ma in galera! 

Mentre Mario si dava da fare con attrezzi e bussolotti, io ho tirato fuori la moka- e come no? – e ho preparato un bel caffè sotto gli sguardi incuriositi di una famiglia con due belle figliole, una delle quali  mulatta, (forse adottata, oppure il babbo era andato in vacanza a Cuba) che si erano fermati lì vicino. Meno male che non hanno capito cosa stavamo facendo con tutto quell’aggeggiare alle motociclette! Devo dire che questo primo caffè non era venuto molto buono ma a confronto di quelli bevuti nei vari locali nordici, era una bontà!

Alle dodici e un quarto siamo ripartiti e Mario ora viaggiava più leggero di qualche chilo. Dopo poco ci siamo buscati un bell’acquazzone che non ci ha dato il tempo di indossare le tute spaziali, allora, avvistata una specie di capanna di legno ci siamo fermati e ci siamo infilati dentro in attesa che smettesse dato che aveva proprio l’aria di uno scroscio passeggero. La baracca, semi crollata, era piena di bottiglie di birra vuote,  forse un rifugio di vagabondi?  Mario come è entrato, mi ha chiesto se per caso ero passato di lì mesi prima…. il maligno! Appena smesso di piovere siamo ripartiti ma la pioggia ci ha nuovamente sorpreso poco più lontano, lungo la riva di un lago. Insomma, acqua da tutte le parti! Fermarsi sotto gli alberi – tanto non c’erano fulmini – non è servito a nulla.

Incazzati e un po’ avviliti abbiamo deciso di infilarci le tute impermeabili così come eravamo, cioè già umidicci, e ripartire sotto l’acqua per arrivare prima possibile ad un posto di ristoro e di rifornimento benzina. Ci siamo fermati a mangiare quasi molli come anatrini, poi dopo aver fatto il pieno alle moto, ci siamo tolti le tute di gomma, dato che era smesso di piovere, per permettere alle tute di pelle di asciugarsi ma viaggiando così abbiamo rischiato ben due volte di bagnarci di nuovo.

Qui ci sarebbe un bel paesaggio ma il tempo lo rende poco piacevole: vette di monti cosparsi di crostoni di neve, abeti, betulle e pini silvestri che in certi punti non sono troppo fitti e lasciano intravedere la tipica brughiera del nord. Ci sono fiumi e laghi a volontà, con tanta gente a pesca; sicuramente lucci, trote e salmoni qui stanno di casa.

Ci siamo fermati a Mosjoen, dopo 485 chilometri di strada,  in una specie do ostello albergo abbastanza buono dove abbiamo speso 60 NK per la camera e altre 68 per la cena. Mario si è finalmente accorto che c’è luce anche in piena notte, già, le famose notti bianche del grande nord, una cosa per noi stranissima, quasi extraterrena. Venerdì, essendo il 20, non porta male, ma piove lo stesso…….è una persecuzione questa!



Non ci scoraggiamo, anche se i moccoli li sentono da Oslo, e ci avviamo verso il Circolo Polare Artico, che dovremmo raggiungere tra circa 150 chilometri. Siamo arrivati alla famosa latitudine nord verso le ore 13:00, dopo aver viaggiato sotto l’acqua su per una stradaccia piena di buche e a tratti sterrata, superando anche un valico attraverso alture deserte coperte di  betulle nane, qualche pino e poi muschio e licheni a volontà. La vera tundra insomma. Naturalmente ci siamo fermati per fare un paio di foto e ripigliare fiato. Mario ha fumato quattro Marlboro in sei minuti guardato strano da dei vichinghi del cavolo che stavano in maglietta mentre noi si bubbolava di freddo. Dopo la sosta  siamo ripartiti in cerca di un posto per mangiare qualcosa, data l’ora, e poco dopo eravamo fermi di nuovo presso uno di quei posti tipo acchiappa citrulli, cioè per i turisti.

C’era infatti anche una renna, la prima che abbiamo visto viva, ma  la poverina stava legata ad un palo come un cane al pagliaio…..  poi c’erano anche due scemi vestiti da Lapponi che se lo erano davvero erano scesi proprio in basso, ma non di latitudine. Durante il tragitto successivo sono riapparsi numerosi i pini silvestri e abbiamo costeggiato alcuni fiordi che qui si confondono con i fiumi, uno spettacolo affascinante purtroppo guastato dal maltempo. Abbiamo passato anche delle gallerie basse, umide e freddissime, l’ultima delle quali si riapriva con un cielo così scuro che sembrava portarci alle porte dell’inferno. Non c’era Caronte, ma il traghettino lì vicino, che ci doveva portare dall’altra parte di un fiordo più largo , non era certo più grande e moderno della barca del traghettatore di anime dannate rammentato nella somma opera del nostro illustre avo e concittadino.

A quel tempo infatti la grande e lunghissima E6, che attraversa mezza Europa, lassù era ogni tanto interrotta a causa di questi enormi fiordi che si insinuavano per chilometri all’interno della terra ferma in quanto invece dei ponti i Norvegesi, sicuramente più rispettosi della natura di noi,  ancora usavano i traghetti. Giunti di là dal fiordo abbiamo viaggiato, sempre su alture rocciose con betulle, muschi e licheni,
fino a Innahvet,  dove ci siamo fermati per la notte dopo soli 384 chilometri. La media non si poteva che abbassare con quelle stradicciole; anche fosse stato bel tempo non credo avremmo potuto fare molto di più.

L’albergo era un po’ caro ma siamo stati bene. C’è stata una scenetta un po’ buzzurra  alla quale però Mario non ha assistito perché è successa quando sono entrato nella hall a chiedere se avevano una camera, lui era rimasto vicino alla moto per la solita fumatina. La signora (signora mi par pure troppo) che stava alla reception, alla mia richiesta di una camera, mi ha risposto, osservando la mia tuta fradicia e chiazzata di fanghiglia, che la camera ce l’aveva ma costava 180 NK…..   all’udire una  così poco gentile risposta sono scattato: ho tirato fuori di tasca tutte le banconote che avevo, forse tre o quattrocento mila lire tra Corone, Marchi e perfino Sterline, le ho sbattute sul banco e con un inglese da hooligan  gli ho chiesto, digrignando i denti, se potevano bastare.  Dopo tale esibizione alla Pratese, la tipa non ha osato controbattere e mi ha dato la stanza. 

Il sabato, 21 luglio, siamo partiti col tempo quasi buono e, traghettati per la seconda volta, sempre sulla E6, verso le 12:45 siamo giunti in vista di Narvik, importante centro nel Nord del paese ed ultima città che poteva chiamarsi tale. Qui ci siamo fermati per il pranzo e per dare un’occhiata nella main street, dove abbiamo notato prezzi vertiginosi nei negozi. C’erano in giro molte belle ragazzine che ci guardavano di soppiatto, alcune riducchiando fra loro. Chissà che cosa avranno pensato vedendo questi due stranieri bardati come marziani! Al limite cittadino c’è un bellissimo cartello formato da tante indicazioni di direzione gialle e il nome “Narvik” in alto. E’ buffo, e impressionante allo stesso tempo, leggere Roma  4198 Km verso sud,  Polo Nord 2420 Km. nella direzione ovviamente opposta.

Dopo Narvik ci siamo ritrovati ancora fra i monti dove la pioggia ci ha nuovamente inseguiti per alcuni chilometri. La strada diventa sempre più tortuosa, inserpola, come diciamo noi, ed a tratti assomiglia più ad una viottola che a una statale. Nonostante sia una via di comunicazione così importante, è piena di gobbe  e buche che mettono a dura prova gli ammortizzatori e le schiene di noi piloti. E’ andata avanti così per un po’ e dopo aver costeggiato tutto un bellissimo fiordo dove io ho rischiato di centrare una pecora apparsa improvvisamente sulla strada (che riflessi, gente!) ci siamo fermati per la notte e abbiamo preso alloggio presso dei bungalow in riva al fiordo. Qui è una sistemazione comune e ce ne sono di veramente confortevoli e carini. Le moto hanno bisogno di manutenzione: Mario ha cambiato le pasticche del freno posteriore, non vi dico come si è conciato e quanti moccoli ha tirato riuscendo comunque anche a fumare quattro o cinque sigarette! La mia moto ha un paraolio della forca anteriore andato e pure la Honda 1000 di Mario deve avere dei problemi perché nelle buche gli ammortizzatori davanti grondano leggermente, ma a questo non possiamo rimediare da soli. Oggi abbiamo percorso 424 chilometri e ora Capo Nord dista soltanto 400 chilometri circa, si comincia a entrare in zona Cesarini!

E’ domenica 22 luglio ed oggi tenteremo di arrivare fino ad Honnisvag, che si trova sul lato sud dell’isola dove è situato Capo Nord. Infatti può sembrare strano che questo punto sia considerato il luogo geografico più a nord d’Europa perché più a nord ancora, ci sono le isole Spitsbergen, pure territorio norvegese, ma evidentemente sono considerate già parte della zona Artica; comunque, questa piccola isola è quasi attaccata alla terra ferma da quanto  a questa è vicina . L’albergo, o meglio il bungalow, è costato abbastanza, ben 236 NK, ma ormai non ci meravigliamo più dei pazzeschi prezzi anche se la cosa ci fa un po’ schifo. Tanto per la cronaca, abbiamo cambiato altri 200 marchi…..
fin che durano!

Il tempo non ci vuole proprio aiutare e siamo pertanto partiti con le tute impermeabili già indosso, tanto serviranno. Ed infatti, quando dopo poco ci siamo fermati per la colazione, che qui in Norvegia non sempre è inclusa nel prezzo della camera, è cominciato a piovere! Ad un certo punto, continuando a viaggiare sotto nuovoloni ora minacciosi,  bianchi e grigi,  poi  con qualche debole apparizione del sole, ci siamo trovati su una strada che pareva un tracciato da motocross: quasi 150 chilometri di pista sterrata, costeggiando fiordi e insenature varie fino ad Alta, dove siamo rientrati nella tundra di montagna per sbucare poi ad un bivio dove la strada prende la direzione di Capo Nord ad ovest, nord ovest o della Finlandia a est, sud- est, sempre sullo sterrato e, nonostante la velocità moderata, addio definitivo ai paraolio delle forche!

Lì abbiamo preso per Kafijord, piccola località da dove ci si imbarca per raggiungere Honnisvag nella parte sud dell’isola di Nord Kapp e questo ultimo tratto è asfaltato, anche se molto stretto e un tantino pericoloso in quanto costeggia in certi punti il mare senza protezioni di sorta, seguendo un crinale molto battuto dal vento che, in motocicletta, disturba parecchio.

Qui sembra di sentire la vicinanza, si fa per dire perché saranno sempre 1600 chilometri, della banchisa polare, infatti fa un freddo…. polare!  Sono spariti anche gli alberi. Alle 17:40 siamo al traghettino e dopo mezz’ora si inizia la breve traversata che ci sta portando ad Honnisvag,  dove mettiamo piede alla 19:00 circa. Città spettrale e freddissima, battuta da un vento gelato e tagliente, impossibile stare in giro senza adeguato abbigliamento. Abbiamo trovato una camera al Grand Hotel, roba da Americani e infatti come ad Americani ci hanno rifilato un bel conto! Dopo un tentativo di fare un giretto in città, piccola e desolata come dicevo, siamo tornati di corsa in albergo per evitare una bella bronchite! Oggi abbiamo viaggiato per 437 chilometri.

Difficile parlare oltre di questa piccola città ai confini del mondo. Penso sia conosciuta soprattutto per il fatto che si trova sull’isolotto di Capo Nord, che non è più soltanto un punto geografico ma una meta sempre più ambita da turisti e viaggiatori di ogni tipo. Ho notato uno stabilimento per la lavorazione del pesce, niente altro, a parte il porticciolo e le imbarcazioni di varia stazza ma non grandi, pescherecci d’altura, traghetti, navi rompighiaccio. Ci sono anche altri alberghi ma nulla di che. Mi domando la gente che vive qui che vita faccia, di sicuro nessuno ci vive a lungo in quel clima, molti saranno lavoratori stagionali e pochi gli abitanti che permangono per più tempo.

Missione compiuta



Lunedì 23 luglio siamo svegli alle 7:30 per i preparativi del grande momento! Tra poco arriveremo alla meta, che, è il caso di dirlo, ci siamo davvero sudati! Fatta colazione e frettolosamente fatte anche alcune spesicciole in città, siamo rimontati in sella per fare gli ultimi chilometri che ancora ci separano dalla famosa latitudine Nord. La cassa è vuota, con l’ultima botta di ieri sera urge fare un incremento, vedremo comunque più tardi di farlo. Siamo ora lungo una stradina sterrata che serpeggia su basse colline e da dove arrivano in senso contrario alcune moto – che salutiamo – auto e fuoristrada. Ci sono anche alcune renne qua e là ma sembrano animali abituati alla gente, come quelle che allevano i Lapponi un poco più a Sud Est.

Alle 12:20 siamo sotto il cartello “Nord Kapp” e ci fermiamo per una foto di rito, prima una per uno poi una insieme, che un collega motociclista, tedesco, mi pare di ricordare, ci ha gentilmente scattato. C’è un gran nebbione e non si vede purtroppo lo spettacolare panorama del Mar di Barents ai confini fra la civiltà e la banchisa polare, peccato! Il punto più a nord che misura 71° 10’ 21” di latitudine, è anche quello più alto dell’isolotto, una scogliera alta ben 307 metri e quando fa bel tempo, anche di notte nei mesi estivi, deve essere uno spettacolo incantevole. Bene, vuol dire che ci ritorneremo! 

Finora abbiamo percorso ben 4457 chilometri, e ce ne aspettano altrettanti lungo la strada del ritorno. Il chiosco “beccaturisti” che si trova lì vicino al margine della scogliera dove tutti vanno a veder il sole di mezzanotte nel periodo metà giugno-metà luglio, era pieno di gente nonostante la brutta stagione. Abbiamo comprato una specie di pergamena – in realtà un pezzo di cuoio – che attesta il nostro arrivo a Capo Nord e che ci dà la benedizione di Odino, re dell’Artico, così siamo pure noi contenti e contento anche l’ente del turismo norvegese per quegli incassi improbabili in altri periodi dell’anno. Alle 13:00 siamo già col culo sulle moto girate a Sud: continua a fare un freddo cane ma sono convinto che appena saremo lontani un centinaio di chilometri da quel posto, affascinante e romantico sui vecchi testi di geografia, ma….. diciamo la verità, anche molto brullo e triste, troveremo temperature più umane.

Ore 17:15, nuovo bivio, questa volta le direzioni si scambiano: a sud ovest si prosegue in Norvegia, a sud si va diretti in Finlandia, terra di laghi, betulle e renne a branchi. Dice anche di belle topine, vedremo. Dopo aver incrementato la cassa con 1325 NK e fatto il pieno, abbiamo preso la strada verso il confine finnico, destinazione Imatra, nel sud del paese dove arriveremo due giorni dopo, forse.

Stiamo viaggiando verso Lakselv, lungo un fiordo che si chiama Porsangen e che sarà anche l’ultimo che vedremo in questa pazza corsa in Scandinavia. Ci siamo fermati al Banak Hotel, che è un bel motel sulla strada non lontano dalla città e dove prenderemo un'altra bella spennata, ma siamo stanchi….. chi se ne frega! La sera a cena, renna in umido con purea di patate. Mica male! Dopo averne viste tante, ora sappiamo anche che sapore hanno!

Tanto per cambiare andiamo a letto come i polli, ma considerando che qui in questo periodo non fa mai buio, non possiamo certo stare in piedi tutta la notte, o meglio tutto il giorno, anche alle ore piccole, perché, appunto è sempre giorno. Sono ubriaco? Ma che? Per due o tre birre? Il clima polare si fa sentire anche qui, infatti non siamo ancora molto lontano da Capo Nord ed è una giornata nuvolosa e freddina .Domani saremo in Finlandia ma dubito che riusciremo a ripassare il Circolo Polare e quindi resteremo ancora al fresco, anche se sempre meno. Le moto sono irriconoscibili, fango dappertutto, i motori in particolare sono quasi completamente ricoperti di una fanghiglia chiara, quasi bianca che una volta secca si riduce ad una polvere finissima che sembra gesso. Oggi abbiamo viaggiato soltanto per 200 chilometri ma, per la prima volta, lasciando le tute impermeabili nelle borse. Che il Buon Dio si sia ricordato improvvisamente di noi? Mmmhh, vedremo, vedremo, la strada è ancora lunga!

In Finlandia

Martedì 24 ci vede in piedi presto come al solito e dopo colazione via verso Sud sotto un cielo nuvoloso grigio e bianco ma che sembrava non minacciare pioggia. Alle 10:00 siamo entrati in Finlandia e in frontiera abbiamo ricambiato per l’ennesima volta la valuta, ritrovandoci così in mano 1796 Marchi Finlandesi che però valgono un terzo di quelli tedeschi! Il paesaggio qui comincia a cambiare, è sparita la strada sterrata e via via che passano i chilometri va scomparendo anche la tundra per lasciare il posto ai pini silvestri e a betulle sempre più belle. Invece i baracchini dei Lapponi lungo la strada continuano a sfilarsi anche verso sud con le Loro buffe esposizioni di mercanzie perfettamente inutili, tranne qualche bel coltello, che tanto piacciono ai turisti delle gite parrocchiali.



Siamo arrivati al Circolo Polare artico  questa volta ripassando verso sud in terra Finlandese con l’intenzione di arrivare a Rovaniemi, la città di Babbo Natale, o Santa Klaus,  come lo chiamano da  queste parti, e ci siamo fermati per riprendere fiato, dopo ben 508 chilometri, e riprenderci anche dal freddo. Purtroppo Babbo Natale non l’abbiamo visto, forse era in vacanza a Santo Domingo, comunque qui è molto più bellino che in Norvegia, ma come al solito anche molto turistico e commerciale. Quando siamo tornati alle moto Mario si è accorto che un ferro del suo portabagagli “Krauser” aveva ceduto e la cosa non era da poco; abbiamo deciso di fermarsi in un  campeggio lì vicino dove abbiamo affittato un bungalow: l’idea di piazzare la tenda e dormirci con il cielo che minacciava acqua ad una temperatura intorno ai soli +8/10° non ci piaceva per niente.

Nello scaricare il portabagagli abbiamo trovato un altro pezzo rotto, non vi dico i moccoli del Magli! D’altra parte Krauser o no, dopo tutti quei chilometri di strade sterrate dove già ci avevamo rimesso i paraolio delle forche davanti, non mi meravigliava che con il carico che ancora avevamo, si fossero verificati danni di quel tipo. Siamo andati a dormire abbastanza presto, dopo una cena che ci è costata davvero poco (16  MF) ma che faceva pena e non eravamo per niente di buon umore. Mercoledì 25 ci siamo svegliati prestino e abbiamo fatto, prima di andare in città, una verifica delle condizioni delle motociclette: il motore, il telaio e l’impianto elettrico sembravano regolari, mentre erano rotte le guarnizioni para olio delle forche anteriori e rotto era il portabagagli dell’Honda 1000.

Le gomme anteriori quasi a posto, ma su quelle posteriori già si evidenziavano segni di  una certa usura che comunque ci avrebbe consentito di continuare il viaggio fino a casa senza troppi problemi. A Rovaniemi c’era un officina con l’insegna “Fiat” e ci siamo infilati di corsa forse anche con l’idea che qualcuno parlasse italiano, ma, col piffero! Per fortuna che c’è sempre l’inglese che ci viene in aiuto e ci siamo spiegati abbastanza bene facendo vedere il danno da riparare. 

Alle 12:30  eravamo già pronti a ripartire, la saldatura del portapacchi ci era costata 29,50 MF; ci siamo diretti verso Jivaskiyla sulla E4 dove siamo giunti dopo 392 chilometri sotto pioggiarelle varie. Altro campeggio, altro bungalow, questa volta in riva a uno dei numerosissimi laghi, dove le zanzare, nonostante il freddo, la fanno da padrone. Ma nè queste, nè la pioggerellina del cavolo ci hanno impedito di accendere un fuocherello vicino al lago e arrostirci dei wurstel alla brace mentre guardavamo dei ragazzi, sicuramente del posto o di poco lontano, che si tuffavano beati nelle acque del lago che a noi facevano venire i brividi soltanto a guardarle!

Tanto per rendere tutto più movimentato, una saldatura di quelle fatte sul portapacchi ha ceduto di nuovo dopo soltanto questa poca strada. Bene, allora che si fa?  Per domani dovremmo arrivare ad Imatra, dove tra l’altro ci attende il Gran Premio motociclistico di Finlandia (famosissimo all’epoca perché si percorreva su strada normale in un pazzesco circuito intorno a questa cittadina a soli dieci chilometri dal confine con la Russia, allora chiamata, con un misto di un certo timore e riverenza, URSS), e lì avremmo deciso cosa fare, intanto gli abbiamo dato una bella incerottata con il sempre utile nastro adesivo nero da elettricisti. Ma i problemi non erano ancora finiti, forse la mitica Honda 1000 Gold Wing aveva risentito degli strapazzi ai quali era stata costretta.

L’indomani, giovedì 26, la moto di Mario non ne vuole sapere di ripartire…. moccoli e imprecazioni varie del Magli. Tentiamo una partenza a spinta, ma non si può saltare su una moto di 300 chili, con motore a testate orizzontali, al volo, senza rischiare di farsi un bel po’ di male, e io da solo non ce la facevo ad imprimere la forza sufficiente per una buona spinta. Decidiamo allora di tentare con il traino… “traino di chi? Dico io”. Semplice, la mia moto avrebbe fatto da mezzo trainante, roba da matti! Così, legata la cinghia di nylon che avevamo con noi non credo per fare ciò che stavamo per fare, ma ce l’avevamo, mi piazzo davanti all’Honda 1000 con la mia 750 e parto pian piano con una strizza che non vi dico. Al primo innesto di marcia del Magli, abbiamo preso un contraccolpo tale che ha spedito le moto una a destra e l’altra a sinistra a pochi metri di distanza fra di loro e non so quale abilità o miracolo ci abbia tenuto tutti e due in piedi e fuori dalle rispettive traiettorie.

Al secondo tentativo, usando una marcia più alta per l’avvio del motore, abbiamo sentito il rombo del boxer dell’Honda 1000 e Mario è riuscito a tenerla in moto mentre ci fermavamo per sganciare la cinghia prima che qualcuno chiamasse la neuro locale. Non è un sistema da imitare, non ve lo consiglio proprio! Siamo così riusciti a partire verso Imatra incontrando di nuovo pioggia e di nuovo ritirando fuori le nostre bellissime tute impermeabili visibili da cento chilometri! In località Mikkeli ci siamo fermati e lì, insieme a due colleghi svizzeri conosciuti sul posto, siamo andati a pranzo in un ristorantino di lusso, caro asserpentato diremmo a Firenze, anche se 72 MF  possono sembrare pochi.

La moto di Mario continua  a fare i capricci con lo starter e questo ci fa veramente girare i cosiddetti quasi quanto la pioggia. Imatra pareva nascosta perché al primo tentativo siamo andati fuori rotta e manca poco ci si trova davanti ai reticolati della frontiera sovietica, infatti abbiamo capito di aver sbagliato quando sono comparsi improvvisamente soldati finlandesi armati e semi nascosti lungo la strada in chiaro atteggiamento di vigilanza. Trovata la città abbiamo trovato anche il campeggio ma purtroppo i bungalows erano tutti occupati e dato che con quel tempo non ci piaceva l’idea di piazzare la tenda, siamo andati in un albergo, caro ma bellino (145 MF!) e confortevole. Oggi i chilometri percorsi sono stati 459. La città non sembra un gran che, ma con questo Festival estivo che precede e accompagna il GP di motociclismo, è piena di gente, finlandesi e motociclisti da tutta Europa, specialmente tedeschi.

E finalmente si vedono anche tante belle ragazze, per lo più molto giovani, ma eravamo troppo stanchi per mettersi in caccia, quindi, alluzzati o no, verso le 23:00 eravamo già a cuccia. Venerdì 27 ci siamo alzati con l’intento di cercare un altro albergo, meno caro, e di cambiare l’olio alle moto. L’albergo lo abbiamo trovato, non troppo fuori città, mentre per l’olio, di cui avevamo già quasi esaurito le pur abbondanti scorte del Magli, abbiamo dovuto penare un po’ di più per trovarlo perché ad Imatra non c’era traccia di olio Castrol e il Magli in fatto di olio non transige: per la fettunta quello di San Donato, per la moto il Castrol!

Trovato l’olio in località Lappeenranta, che però non era proprio il tipo di Castrol che volevamo, siamo tornati indietro e siamo andati a fare l’operazione olio e fitri in una radura del bosco vicino alla strada fuori città. Che banditi…. abbiamo inquinato tutta la piazzola sterrata lì in mezzo. L’Honda 1000 continua a fare i capricci con la batteria che pare non si ricarica per nulla mentre viaggiamo, quindi ogni tanto ci tocca  spingere, anzi mi tocca, poiché al giochino del traino con la mia moto, preferisco sudare e spingere la bestia di 300 e passa chili.

Siamo rientrati ad Imatra  e abbiamo deciso di lasciare la moto di Mario parcheggiata davanti all’albergo per non stare ogni volta a spingere e siamo andati con la mia verso il centro dove c’era un via vai di gente incredibile. Il centro della città è piccolo, tipo quello, ma forse meno, di Sesto Fiorentino, e la gente gira quasi tutta nelle solite due o tre vie. Dopo aver dato un’occhiata siamo andati sul circuito stradale dove si sarebbe tenuta la corsa del GP a vedere un po’ di prove.

E’ una pista pericolosa, una strada appunto, e ho notato in una curva, una bella buca proprio nel mezzo, che quando le moto ci passano sopra, sobbalzano come canguri nevrastenici. Più tardi siamo tornati in centro e ci siamo mescolati alla gente nel giro tondo che tutti facevano in un senso o nell’altro. C’erano un mare di belle ragazzine, forse troppo giovani per noi, o forse no. E c’erano anche già tanti ubriachi, sia ragazzi che ragazze, che gironzolavano con bottiglie di vodka in tasca e, dato un sorso di quella roba bruciabudella, si fermavano poi ad un chiosco a bere una birra. Il tutto controllato dalla Polizia che, ferma agli angoli delle vie, quando vedeva qualcuno che barcollava più del dovuto, lo prendeva gentilmente sottobraccio e lo accompagnava su un cellulare fermo lì vicino dove il povero imbecille stava buono buono a smaltire il picco della sbornia sorvegliato a vista. Incredibile ma vero, a un certo punto abbiamo imbroccato due ragazzine, per dirla tutta un po’ ciucche,  sui 17-18 anni, una molto carina, con il naso all’insù come le olandesi, non alta ma messa bene, l’altra la tipica ragazza finnica bionda, occhi chiari, magra e abbastanza alta. Stavamo già pensando come portarle via da quel casino dato che avevamo in quel momento una moto sola, quando un’improvviso acquazzone ci ha praticamente costretti a scappare verso un riparo mollando così le prede…….. (e ti pareva)

Passato quel mini diluvio, non siamo riusciti a ritrovare immediatamente le due bimbe e quando ne abbiamo finalmente rivista una, questa stava già in compagnia di un giovinastro, ubriaco forse pure lui, e allora abbiamo deciso di lasciar perdere. Intanto la serata era andata e saliti sulla moto tutta bagnata, siamo rientrati in albergo. Sabato 28, dopo colazione, abbiamo traslocato in un’altra camera perché quella che ci avevano dato all’arrivo era prenotata proprio dal sabato. Una stanza più piccola e che costava anche meno, 60 MF invece di 100. Questa sosta ci stava annoiando un po’, abituati come eravamo a passare le giornate in sella alle moto mangiando chilometri a centinaia. Inoltre, come già detto, Imatra non offre molto ai turisti (ma nemmeno ai suoi abitanti) e soltanto la sera c’è un po’ di movimento ma giusto perché c’è questa specie di fiera paesana in occasione del Gp.

L’Honda 1000 è sempre in sosta, con la speranza che  riparta alla prima spinta perché mi sono finito la schiena a forza di spingere, così siamo in giro sulla mia 750 come se fossimo a Firenze. Nel pomeriggio, anche se il tempo rompe i corbelli, siamo tornati a vedere le prove delle corse, poi siamo ripassati per il centro dove abbiamo fatto conoscenza con due bimbe finniche che mentre noi eravamo in un negozio a vedere non so che, stavano lì fuori a guardare la mia moto. Tina ed Annelì, entrambi molto carine, biondissime, occhi verdi, giovanissime,  abitanti chissà dove fuori città, ma con le quali ci siamo dovuti accontentare soltanto  di mangiare insieme un gelato. Comunque, devo dire non è stata soltanto un incontro occasionale che si è conculso così come è iniziato, anzi ne è nato un rapporto che, con una delle due, è durato nel tempo.Infatti, mentre la prima, che ho rivisto anni dopo ad Helsinki, si rivelò una stronzetta, la seconda, Annelì, è stata due volte in Italia mia ospite e ancor oggi non manca di scrivermi la classica cartolina di auguri per Natale.

In serata si è ripetuto lo spettacolo dei giovani ubriachi che camminavano a zig zag come nei cartoni animati, facendo echeggiare urla e rutti nell’aria umidiccia e grigia del centro cittadino. Finalmente è arrivata domenica (29 luglio) che è stato l’ultimo giorno che abbiamo passato in questa piccola città del cazzo dove se non ti ubriachi non sai proprio che fare. Siamo andati verso il circuito delle corse a metà mattinata dopo aver fatto colazione  e pagato l’hotel. Il brutto tempo ha ripreso a perseguitarci, infatti dopo poco che eravamo dentro il circuito ha cominciato a piovere a scroscio rendendo così anche le gare più lente ma sicuramente più pericolose. Non ci siamo certi goduti lo spettacolo delle moto in gara, l’unica cosa che ci faceva un po’ sorridere era la voce del commentatore dagli altoparlanti quando pronunciava i nomi dei piloti raddoppiando, secondo l’inflessione finnica, tutte le “r” ed “l” che stavano in questi nomi.


I nostri piloti non hanno fatto proprio una bella figura, nemmeno un piazzamento, così, siamo andati via senza cantar vittoria. Mario era veramente deluso, ma poi ci ha pensato la sua Honda 1000 a riportarlo alla realtà e farlo moccolare ancora un bel po’. Messa in moto la bestia, abbiamo preso la strada per Helsinki e dopo poco, per un sorpasso della lunga fila di auto che tornavano dalle corse,  anche se procedendo a velocità moderata, un motociclista della Polisi  (la Polizia finnica) ci ha fermato e ci ha fatto una parte di merda solo perché nel sorpasso avevamo oltrepassato la doppia striscia del centro strada. Non si è capito quasi nulla ma i gesti erano abbastanza eloquenti! Fortuna che non ci ha fatto la multa. Appena passata Lappenraanta, ci siamo fermati presso un motel per la sera, tanto per cambiare anche questo in riva a un lago e sprofondato nell’umido. 

Lunedì 30, dopo alzati e fatta la solita colazione, Mario prima di caricare la moto si è messo ad aggeggiare intorno ai fari supplementari che aveva piazzato, prima della partenza dall’Italia, sui ferri para motore, così tanto per fare l’Americano, ma anche per farsi vedere meglio in caso di nebbia o scarsa visibilità. Mentre ero lì che lo guardavo,  lo vedo afferrare un paio di fili e tirarli via di brutto, sì, strapparli proprio. La vecchia volpe aveva capito, anche se con un po’ di ritardo, che erano quei fili,  ad andare a massa e scaricare la batteria….. eureka!

Sollevati dal fatto che non dovevamo più rimettere in moto a spinta la Gold Wing, siamo partiti alla volta di Turku, dove avremmo preso il traghetto per Stoccolma. Siamo arrivati al porto nel primo pomeriggio ma non c’era nessuna nave prima delle 21:30, quindi, dopo aver fatto il biglietto, pagato per noi e per le due moto l’equivalente di 39.000 lire, abbiamo vagato un po’ per la città che, sinceramente, è piuttosto povera di attrazioni. Alle 19:30 siamo andati al molo per l’imbarco ma non siamo saliti sulla nave se non dopo un’ora. Oggi abbiamo percorso 370 chilometri che non sono molti ma ci sarebbe piaciuto avere una cabina per dormire e invece, a terra non era stato possibile farsela assegnare, e una volta a bordo ci hanno detto che erano tutte prenotate. L’idea di passare la notte a strasciconi per la nave non era di nostro gradimento, ma ci siamo dovuti adeguare. Ho cambiato i 540 Marchi finnici per avere 585 Corone svedesi, poche ma meglio di nulla; una volta sbarcati se avessimo voluto prendere un cappuccino con due polacche…. sì perché le svedesi non si fanno inzuppare nei cappuccini…..

Il rientro

Il mattino di martedì 31 siamo arrivati di buon ora nel porto della vecchia  Stoccolma con un bel cielo nuvoloso e alle 7:00  abbiamo messo piedi e ruote a terra. La città era semideserta a quell’ora così dopo un breve giro, e dopo aver dato un rinforzino alla cassa con 300 DM e 130.000 Lire, ci siamo diretti verso l’autostrada E4 per scendere verso Helsinborg, dove ci attendeva un altro traghetto per la Danimarca. Poco dopo ha cominciato a piovere e verso le 13:00, quando ci siamo fermati a fare rifornimento abbiamo deciso di fermarci ed infilarci in un motel. Il tempo era brutto tanto e per di più avevamo bisogno di recuperare il sonno perso sulla nave. Comunque abbiamo fatto già 260 chilometri e ne mancano ora circa 300 per Helsinborg, sì la Svezia è grande, anche se abitata da quattro gatti.

Uscendo dal distributore ho visto, in un campo ai margini del vicino bosco, una femmina di cervo con il suo cucciolo che saltellava nell’erba alta cercando di stare dietro alla madre, la quale, lentamente e guardinga, si stava avvicinando ad una stradina secondaria. Una scena da non perdere ed alla quale non ho saputo resistere, così ho avviato pian pianino la moto nella loro direzione con l’intenzione di avvicinarmi, ma la cerva dopo aver annusato l’aria ai quattro venti, ha fatto dietro front ed è tornata nel bosco spingendoci, con il muso, anche il bamby. Mario è sopraggiunto con due minuti di ritardo brontolando perché non gli avevo segnalato la cosa. Alla Reception del motel ci hanno guardato in modo strano, sicuramente ci hanno preso per una coppia di motociclisti finocchi che si fermavano prima di sera per darsi a giochini sado maso….. e così abbiamo perso un’altra occasione di ricevere una visita in camera di una bella e paffutella cameriera bionda con gli occhi blu sui vent’anni.

Il tempo, oltre ad essere stato quasi sempre brutto, è anche volato! Siamo già al 1 agosto e di buon mattino, sotto la pioggia, dopo aver indossato le nostre sgargianti tute impermeabili abbiamo messo in moto e via verso sud. Non mi ricordo perché, forse per mangiare a bordo del traghettino per la Danimarca, il cui passaggio ci è costato solo 40 SK, ho cambiato altre 50.000 Lire in Corone svedesi.  Nel pomeriggio eravamo nella mitica Coopenaghen, dove naturalmente ci siamo fermati per la sera dopo aver fatto 367 chilometri e un quarto d’ora di mare.

Consapevoli delle spennate che avremmo preso in questa carissima città, ho cambiato le Corone svedesi rimaste e poi ho convinto Mario a cacciare altre Lire, ritrovandomi in mano, per 146 SK e 80.000 ITL soltanto 603 Corone danesi. Evidentemente si sono un po’ approfittati con il cambio delle nostre povere liruccie, alla faccia dei governi repubblicani! La serata nella città della sirenetta, dove la gente normale si diverte e non ha paura a spendere, ma dove noi intrepidi motociclisti un po’ coglioni abbiamo trovato il modo di annoiarsi, ci è costata 250 DK di albergo, 50 DK di cena mentre al Tivoli, famoso parco divertimenti della città, brulicante di teenagers in cerca d’avventura, non siamo stati capaci di lasciarci più di 34 Corone danesi, non misere, ma solo 34 !

A letto quasi come i polli  per un posto come quello e il mattino seguente, alle 8:00, eravamo già sul piede di guerra, o meglio con il piede sul cavalletto delle moto. Ci siamo concessi un ultimo e veloce giro in città per finire i soldini danesi e non ci abbiamo certo messo molto. La cazzata più bella l’ho fatta io (e ti pareva…) comprando, in un porno shop – anche perché non le vendono gli ortolani, una banana di gomma apribile con incluso fallo di gomma, di misure però, tutto sommato modeste! ( Il problema è stato che poi me la sono dimenticata sotto la sella e quando ho portato, dopo il ritorno, la moto dall’Ormeni a Pieve a Nievole per le necessarie riparazioni, la banana l’avevano vista tutti e per quanto si capiva dalle ditate  nerastre  che ci ho trovato sopra più tardi, sicuramente aveva fatto il giro non solo dell’officina ma anche del paese).

Alle 11:00 ci siamo lasciati alle spalle Coopenaghen, e dopo poco eravamo all’altro traghetto che da Rodbyhavn ci ha riportato nella grande Germania. La capitale della Danimarca si trova infatti su un’isola.  Questo è stato l’ottavo e ultimo traghetto che le nostre moto hanno visto in questo viaggio. Ai giorni nostri, nel 2009, anno in cui sto scrivendo, non è più necessario salire e scendere in continuazione dalle navi per viaggiare nel grande e sperduto  Nord Europeo. La civiltà è (purtroppo) avanzata anche qui senza sosta e sono stati costruiti ponti, asfaltate e allargate strade, aperto nuove gallerie e le comunicazioni stradali sono molto migliorate come sono migliorati i servizi lungo tali strade e autostrade. Se la vogliamo vedere dal punto di vista di chi deve viaggiare in auto o motocicletta, tutto questo ha portato un notevole incremento del turismo in quei luoghi sperduti, provocando però altresì effetti meno positivi come gli aumenti esosi di prezzi già abbastanza cari, l’atteggiamento cambiato degli Scandinavi verso i viaggiatori che ora vedono solamente come polli da spennare, l’inquinamento da auto, e, chissà quali e quanti altri problemi che soltanto chi viaggia molto e ha una certa capacità di analisi riesce a vedere con facilità.

Mario ci è ritornato due volte, da solo, in moto dopo dieci anni e poi con la moglie in auto, io non credo di avere un’altra possiblità, anche perché ho fatto scelte diverse dalle sue e ora mi trovo in una particolare situazione, della quale non voglio qui parlare, ma sono contento di esserci stato in quegli anni quando ancora la natura di quei luoghi era pressoché intatta, la gente onesta, spontanea e tutto il viaggio, sotto la strana pallida luce delle notti nordiche assumeva un’atmosfera unica, quasi aliena e sicuramente romantica,  di un romanticismo vero, come quello che ispirava gli scrittori tedeschi dell’800, animato solo dalla grande voglia di vivere la vita con intensità, godendone ogni singolo momento. Sensazioni indescrivibili che ti facevano dimenticare la pioggia, la stanchezza e ogni altro stupido problema legato alla tediosa routine di tutti i giorni. La fredda nebbia di Capo Nord, i fiordi della Norvegia, gli infiniti boschi e sterminati laghi della Finlandia me li voglio ricordare così come li ho visti e brevemente vissuti  trenta anni fa.

La Germania ci ha accolti con la solita noiosa, quando non tremenda, pioggia, ma la grande autobahn ci ha comunque permesso di oltrepassare velocemente Amburgo per andare a fermarci, dopo ben 565 chilometri, nei pressi di Gottingen, in un motel autostradale che è costato 67 DM, roba da niente in  confronto a quello che costano gli alberghi nei paesi scandinavi, per mangiare poi, oltre tutto sbobbe anonime e patate lesse con al massimo un cirindellino  di carne di renna!

Gottingen è così completamente e ben illuminata che di notte la si vede molto bene anche dall’autostrada. A pensare oggi, che tutta quella luce era prodotta già allora da un impianto per la combustione della spazzatura, che la moderna tecnologia chiama pomposamente “termovalorizzatore”, con un termine anche troppo ottimista, e che in Italia provoca ancora tante inutili e pretestuose polemiche, mi viene da ridere.

Ore 8:00 di venerdì 3 agosto, siamo già pronti a mettere in moto e avviarci in direzione Monaco di Baviera dove siamo arrivati nel pomeriggio verso le 17:00 viaggiando sotto un cielo abbastanza nuvoloso ma non peggiore del solito. Ci siamo diretti subito in centro per cercare una sistemazione all’hotel Metropol, albergo da noi già conosciuto in un precedente viaggetto da quelle parti e dove si sta abbastanza bene, godendo anche della sua centralissima posizione a due passi dalla Banhof e da Marien Platz (quella dove c’è il vecchio palazzo municipale con l’orologio chiappa citrulli abitato dalle statuine, briache pure loro di birra, che ai rintocchi del  mezzogiorno sbucano fuori da un’usciolino e ballonzolano alla demenziale musichetta tipo carillon della nonna Abelarda).

Sistemate le moto, dopo aver gentilmente consigliato a un immigrato paesano un po’ invadente, di andare a vedere se pioveva anche in Austria, siamo saliti in camera per rimetterci a posto prima di cena. Naturalmente la serata ci ha visti alla Hofbrauhaus dove quel delinquente del Magli ha avuto il coraggio di chiedere un cinzanino…..  mi aspettavo già che la valchiria di servizio tirasse fuori la Luger calibro 9 mm da sotto le tettone per abbattere senza tanti complimenti colui che osava recare sì grande offesa proprio in casa di sua reale eccellenza bavarese: la Birra!!!! 

Meno male che c’è il Cinese (io) che ha diplomaticamente fatto passare per scemo il socio e ha provveduto a riparare il danno con un boccale di bionda che sembrava più un secchio che un bicchiere. Dopo di ciò, via nella zona dei locali porno a cercare qualche “peep show” per vedere un filmino di tre minuti scarsi, con la monetina da 2 DM come i bambini birboni. Mentre si tornava in albergo ha ricominciato a piovere e le speranze di fare almeno l’ultimo giorno di viaggio all’asciutto si sono dissolte miseramente sotto un’altrettanta pioggia di imprecazioni.

Epilogo e conclusione

Siamo a sabato 4 agosto e ci svegliamo alle 6:45, tanta era la voglia di levarsi dai tre passi. Nulla contro Monaco o la Germania, ma dopo tutti questi giorni sempre perseguitati dalla pioggia, ora più, ora meno, ma sempre acqua era, siamo veramente stanchi.  Colazione abbondante e partenza, questa volta, verso casa dopo aver ripreso le moto dal garage lì vicino all’albergo ma indipendente (16 DM). La pioggia non ci permetteva di correre e intorno al Brennero veniva giù veramente a catinelle. Lungo la salita verso il valico uno stronzo di austriaco con una macchina color merda mi ha fatto andare su un affossamento dell’asfalto di quelli causati dai camion troppo carichi e ho fatto un bello spurrinnen, in altre parole per qualche secondo è stato come se invece di una motocicletta avessi guidato una motoslitta sul ghiaccio. San Cristoforo o qualche suo collega, mi ha voluto bene e in qualche modo sono rimasto sulle due ruote in barba alla sbandata e a quel figlio di una puzzola tirolese.

Alle 12:30, con un tempo da lupi, siamo giunti alla frontiera e siamo quindi rientrati sul patrio suolo! Nessun squillo di trombe, erano piene d’acqua anche quelle… se ce ne erano. Senza perdere altro tempo oltre a quello per fare fumare una cicca a Mario, abbiamo proseguito verso valle dove pareva che il tempaccio di attenuasse. L’ultimo scroscio di pioggia lo abbiamo beccato poco prima di Bolzano, poi via lisci fin fuori da la zona alpina. Passata Verona, nella grande piana del Po, ci siamo letteralmente schiantati contro una massa umida e compatta di aria caldissima. Già, questa è l’Italia, mica il Nord Europa. Sosta immediata per alleggerire l’equipaggiamento prima di ribollire del tutto. Ormai si sente aria di casa, 300 chilometri ci parevano una sciocchezza dopo tutti quelli che avevamo fatto.

Ore 18:15 circa imbocchiamo l’uscita Nr.19 della A1 e, un momento dopo siamo al termine della corsa dopo aver percorso ben 8.928 Km in tre settimane, senza contare le distanze fatte con le navi e considerando tre giorni di sosta ad Imatra in Finlandia. All’uscita dall’autostrada, con nostra sorpresa, abbiamo trovato una specie di comitato di ricevimento di certi amici, avvertiti dal fratello di Mario del nostro arrivo. Inutile dire che la cosa ci ha fatto piacere. Ora avevamo soltanto voglia di una doccia, un bicchierone di acqua fresca e un bel piatto di vecchi, cari, succulenti spaghetti! Dunque quel pomeriggio di sabato 4 agosto 1979, una data che sembra passata da un secolo e in effetti nel secolo scorso eravamo, il sottoscritto Giampaolo Taiti detto Cinese e Mario Magli detto Becchino, abbiamo portato a termine un’avventura che oggi non farebbe più notizia ma all’epoca non era impresa alla portata di tutti. Tengo a precisare che mentre altri motociclisti in quegli anni hanno fatto lo stesso viaggio con l’appoggio di sponsors  ufficiali, oppure hanno fatto del viaggio  materia di business scrivendo reportages più o meno interessanti, con foto talvolta anche banali, per riviste tecniche o di turismo, noi abbiamo organizzato e portato a termine il viaggio con i soli nostri  mezzi  e oggi dopo trenta anni, ho voluto scrivere queste pagine non certo per farci un best seller ma proprio per rivivere quei memorabili giorni e per puro divertimento. Tutti i dettagli che ho qui riportato, i chilometri giornalieri, le spese, certi nomi degli alberghi, non sono ovviamente frutto di una memoria da elefante. Nel viaggio, avevo tenuto una specie di diario nel quale ogni sera riportavo annotazioni che mi hanno appunto oggi permesso di ricostruire con una certa precisione tutta la nostra avventura.

Ventuno giorni quasi tutti incollati sulla sella delle moto, diciassette dei quali sotto la pioggia, un fiume di chilometri percorsi, sei paesi attraversati, otto passaggi in mare, undici passaggi di frontiera, questo è stato, in sintesi, il nostro viaggio a Capo Nord del 1979. Un viaggio che ci ha arricchiti di esperienza, che ha consolidato un’amicizia, e che ha costituito una vera e propria tappa anche della nostra vita.





8 commenti:

  1. Bello!!! Anche se non sono motociclista, ma conoscendo il percorso, ho cercato di rivivere on i due protagonisti la loro avventura. Bella differenza da come l'abbiamo fatta noi! Bravi!

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  2. mi ricordoil Magli con l'ancilloti 50 b
    carter beta testa radiale al colle un personaggio unico

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    1. e il secondo ancillotti 50 col sasch con cui girava al Colle a calenzano in una pista diciamo artigianale disegnata e preparata da semplici ragazzi appassionai

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    2. e l'Ancillotti 100cc col carter e motore Beta dell'Americano che abitava al Rosi

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  3. anche in terza media con motociclismo nascosto fra il tavolo del banco appoggiato sulle gambe intento a istruirsi sui vari modelli

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  4. bella storia,bel viaggio,ben raccontata.
    complimenti
    claudio

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  5. Complimenti andrebbero fatti all'autore, Giampaolo. Purtroppo non è più tra noi.

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