venerdì 24 agosto 2012

Sardegna andata e ritorno: metamorfosi...

"A narrare il mutare delle forme in corpi nuovi mi spinge l'estro..."
Ovidio, Metamorfosi, Canto I



"...Quel giorno, non so proprio perché, decisi di andare a correre un po', perciò corsi fino alla fine della strada, e una volta lì pensai di correre fino alla fine della città, e una volta lì pensai di correre attraverso la contea di Greenbow. Poi mi dissi, visto che sono arrivato fino a qui tanto vale correre attraverso il bellissimo stato dell' Alabama, e cosi feci. Corsi attraverso tutta l'Alabama, e non so perché continuai ad andare. Corsi fino all'oceano e, una volta lì mi dissi, visto che sono arrivato fino a qui tanto vale girarmi e continuare a correre. Quando arrivai a un altro oceano, mi dissi, visto che sono arrivato fino a qui, tanto vale girarmi di nuovo e continuare a correre; quando ero stanco dormivo, quando avevo fame mangiavo, quando dovevo fare... insomma, la facevo!" (*)

Vedere la terra che si allontana, dalla poppa del traghetto più caro del mondo (expensive...), mi squassa il cuore. Ci sono stato bene, in Sardegna: mi sono rifatto gli occhi del cielo più azzurro, ho dipinto i miei pensieri del mare più pulito e ho scoperto che se me ne sto senza maglietta, non gliene frega niente a nessuno...
E dire che al viaggio d'andata mi sentivo come Gregor Gamsa, quel personaggio, nemmeno tanto improbabile, partorito dalla mente sopraffina di Kafka e che si era risvegliato un giorno trasformato in un gigantesco insetto dal quale tutti, ma proprio tutti, stavano alla larga.
Invece no.
Il cobalto dell'acqua vista dalle alture di San Pasquale è riuscito a ritemprarmi il corpo, ma è stato dopo che ho trovato la vera forza.
Così come si era fermato, il motore riparte e scoppietta contento mentre il muso punta allegro in direzione della Licciola: il primo pit-stop è tecnico, ma non troppo, e arriva dopo nemmeno 10 minuti di viaggio.
Il giro programmato è molto semplice: si punta verso sud, con l'idea di passare dall'interno fino alle alture di Bosa, attraversando le province (finché ci sono eh...) di Olbia-Tempio, Sassari, Nuoro e Oristano.
E' un caldo tremendo, ma il bello di quest'isola, la seconda del Mediterraneo, è che puoi sopportarlo. Può farcela anche un montanaro come me, che dal 2008 non passava più di 6 ore di fila al mare. Stavolta, invece, sono pure abbronzato e se mi lecco gli avambracci ho la pelle salata... Quando hai troppo caldo, punti verso il blu e ti ci tuffi... Facile no?
Roba da pazzi.
Dicevo del caldo: l'anticiclone subtropicale africano, che quest'anno viene chiamato con nomi più o meno attinti alla mitologia e alla storia classica (l'ultimo dei quali, mi sembra sia stato Caligola o Lucifero, ma in realtà è sempre lo stesso) ce la mette tutta per tenere fede alla sua fama: si carica di umidità creando un'afa talmente elevata che il boxer ne risente.
Solo un po', però...
Gli stinchi si fonderebbero se non tenessi andatura allegra lungo la SS133, fino a Tempio Pausania, e poi sulla SS392 che dalla piccola cittadina ai piedi del Monte Limbara conduce fino al lago di Coghinas.

E' il lago Coghinas, niente Africa...
E' un'immagine che non ti aspetti, perché è diceria comune che in Sardegna non ci sia acqua: niente di più falso. Il Coghinas è un fiume di 116 chilometri, capace di alimentare un bacino di 254 milioni di metri cubi d'acqua. Che sono tanti davvero, soprattutto per un luogo che per questi contrasti ha  dell'incantato: l'aria scotta come quella che ti arriva dal forno quando lo apri per vedere se la pizza è pronta e il paesaggio sembra quello della savana africana. E dire che ci si arriva da una strada piena di sughere e di lecci, che scende dal passo Limbara, a 646 metri sul livello del mare: siamo sulla mezzacosta di un massiccio granitico che tocca i 1.362 metri di Punta Sa Berritta e i 1.359 di Punta Balistrieri.
E qui la storia va raccontata: nel 1698, Beppe Balistrieri, un calzolaio di Tempio Pausania, aveva una figlia, Teresa, promessa in sposa a Celestino. Un nobile di paese, però, decise far valere una specie di ius primae noctis e minacciò pesantemente Celestino: quel matrimonio non s'ha da fare e voleva la bella Teresa tutta per sé.
Beppe lo venne a sapere, prese lo schioppo e sparò in testa al nobilotto, scatenando però la furia delle autorità: così, per scampare alla forca, si rifugiò sul massiccio del Limbara, dove visse fino alla sua dipartita, avvenuta per vecchiaia. Per anni fregò la legge e trascorse il resto della sua vita da latitante.
La storia è raccontata da Carlo Brundo nel romanzo "il Picco Balestrieri": l'influsso manzoniano è evidente ma il sangue sardo rende più cruenta la trama e più epico il finale.
Qui Don Rodrigo muore (ammazzato).
Alla base del massiccio, poco dopo il valico (o poco prima, non rammento...), c'è una fontana dalla quale sgorga un'acqua freddissima. E buonissima...
Il ponte Diana, sullo sbarramento in una località che si chiama Muzzone, è il segno del decadimento in cui versano le strade italiane e anche se qui l'Anas è ancora ente proprietario di moltissime arterie, mi tocca vedere un cartello provvisorio che indica "barriere danneggiate".
Solo che le barriere sono danneggiate da secoli, per tutta la lunghezza del ponte...
E cambiatele no?

Il ponte Diana, in prossimità della diga di Muzzone
Il sogno africano finisce a una rotonda nei pressi di Oschiri, dove imbocchiamo la SS597, una specie di fiume lavico fottutamente bollente buono soltanto a farci coprire in poco tempo la distanza con il bivio per Ardara, un comune di nemmeno 800 anime, forte però di un passato glorioso ai tempi del Giudicato, quando era capitale del Logudoro.
Verso la provincia di Oristano, dopo Bessude
La SP20 diventa SP80 e poi SP41 fino a Siligo e poi SP23: oltrepassiamo Bessude e poco prima di arrivare a Thiesi, nella regione sarda del Meilogu, incrociamo un canyon.
Ecco: in sardegna i canyon ci sono e fanno davvero paura.
La "Gola di Su Gorroppu", che si trova tra il Supramonte di Orgosolo e quello di Urzulei, ha pareti di 450 metri e anche percorrendo le strade dal massiccio del Limbara, si vedono paesaggi degni dell'Outback australiano o dei deserti americani.
Del canyon di Thiesi, però, nessuna traccia, nemmeno su Wikipedia. Se amassimo di più il nostro territorio, se imparassimo a conoscerlo meglio, forse, non ce la passeremmo così male.... O no?

Il misterioso canyon di Thiesi
Il Giessone sfreccia che è una bellezza e arriviamo a Romana: le labbra sono cotte dall'arsura e da quando abbiamo lasciato la costa di San Pasquale non abbiamo trovato un fottuto bar aperto. Ok, è domenica... ma è agosto, siamo in Sardegna! Come si fa?
Tutto sbarrato, come nel romanzo surreale "I Am legend" di Richard Matheson: nessuno in giro. Nemmeno un gatto...
Romana è un pugno di abitanti - 520 secondo l'Istat - ma il bar è aperto. Bar Sport, si chiama: la ragazza che ci serve un litro e mezzo di frizzante gelata ci dice che il paese è senz'acqua per via di un guasto alle condotte. Buffo: nel villaggio che vanta una delle sorgenti più ricche della Sardegna, nota nel Meigolu fin dall'epoca fenicia, l'acqua è ferma nella montagna per un tubo rotto.
Il sandwich è delizioso, e anche le patatine. Ma niente ha un sapore così buono come l'acqua gassata che ci scoliamo in poche avide sorsate. Romana è un'oasi sulla sommità di una collina carsica sotto la quale si staglia il lago di Temo.
Perché si chiami Romana, non l'ho capito: di certo, il padrone del bar è un nostalgico del fascismo. Un busto in bronzo di Benito è nello scaffale in alto, in mezzo al vino. Più giù c'è un libro dell'Africa Orientale Italiana e più a sinistra un quadretto che francamente mi ha fatto venire il voltastomaco (e anche la pelle d'oca), che inneggia a onore, fedeltà e coraggio... Uno dei motti delle "Italianen Schutzstaffeln", le SS italiane.
Evito polemiche e me ne vado, sperando che nessun straniero metta mai piede in questo baretto dall'aria solo apparentemente accogliente.
E poi, finalmente, seguendo il corso del fiume Temo (l'unico navigabile in Sardegna), arriviamo a Bosa.
 
Bosa al sole...
Siamo in piena Planargia, dove l'incessante vento di Libeccio che proviene da ponente rende particolarmente gustosa la Malvasia bianca.
In realtà la nostra meta finale del giorno è Tresnuraghes, dove ci aspetta un pernotto al B&B Su Canape: non siamo in riva al mare, ma l'ambiente è di classe, la proprietà è accogliente e la colazione è di quelle che un motero si ricorda a lungo...
La cena è invece servita nel dehor di "Sa Pischedda" dove io pappo un antipasto di fritto croccante (composto da verdure e gamberoni) seguito da una pizza tonno&cipolla (burp, buona...), mentre la signora che mi siede a tavola davanti (e in moto dietro) si accaparra un antipasto di sedani e calamari e un primo di anguleddas alle vongole e bottarga.
Prima di andare a tavola, il mare che bagna queste coste e che ha tenuto a mollo i miei piedi (di cui mi vergogno un po' meno, ora...) per svariate ore, ripagandomi del bollore diurno, regala scorci  di una bellezza imbarazzante, tanto per dirla alla Jovannotti. Eravamo a Porto Alabe...

Tramonto tirrenico a Porto Alabe
L'indomani è different.
Intanto, caffettino a casa dai'tTani:
...cullé in pensione,
nero come il carbone,
che passa la giornata a guidare ig'Gommone...
E poi si parte, da Bosa verso Alghero.

Voglio andare ad Algheeeroooooo...
 La SP39 stacca il viandante dalla storia di Bosa, ricca cittadina che i Malaspina hanno a lungo difeso dagli assalti degli arabi e lo porta verso una miriade di calette fatte di spelonche, falesie, spiaggie di sabbia finissima e scogliere maestose. Noi optiamo prima per un tratto di costa fatta di pietre lisce e di acqua degna delle maldive, calda e pescosa, praticamente deserta.


La strada che conduce a nord è bellissima.

h2o, tanta h2o...

Poi, verso l'ora di pranzo, il comandante del volo offre ai passeggeri una tipica focaccia locale, costituita da una specie di corteccia in realtà più adatta al kebab, ripiena (rivuota) di maionese (poca), insalata (poca) e cotto (assente).
Buona, invece, la birra (Ichnusa). E sulla spiagga, dopo il morso di un pesce all'altezza del ginocchio dove poco prima c'era la crosta di un infortunio ciclistico e dopo invece più nulla, caddi come corpo morto cade.


Dormire sulla spiaggia? Piede nella sabbia? Libro?
Risalendo la costa, passiamo per Capo Caccia, ci prendiamo una coca diacciata a Argentiera, superiamo Porto Torres e ci mettiamo sulla litoranea che dovrà riportarci in Gallura.
Il motore canta che è una bellezza e l'aria, vicino al mare, è tutta un'altra cosa: anticiclone o no, sono in media 10 gradi in meno di ieri.
Nemmeno il traffico rompe più di tanto. Ogni curva regala un paesaggio diverso, fino a quando, dopo una discreta salita, arriviamo al centro del golfo dell'Asinara: tiro su la moto e appare Castelsardo. Siamo nella regione dell'Anglona, ormai nel nord estremo dell'Isola: da qui si vede un panorama unico e sembra di essere uniti con la Corsica. Bello.

Casteldardo...
Forse l'ultimo istmo corso che riusciamo a vedere è quello dell'Île-Rousse, una piccola cittadina corsa fondata nel 1758 da Pasquale Paoli, che durante la guerra d'indipendenza da Genova voleva un porto autonomo da quello di Calvi e di Algajola. All'epoca si chiamava Isola Rossa, per il colore ocra della roccia di un'isoletta usata come banchina naturale. Più o meno identica a quella che in Sardegna si chiama nello stesso modo e dove il tramonto è mozzafiato...

Tramonto all'Isola Rossa...
Il tempo di indossare giubbotti e scarpe chiuse (novità assoluta, lo so...), il motero stanco segue i consigli dotti della passeggera e punta verso un punto imprecisato della regione di Vignola, dove....
Oh mio Dio...

Evitare i cinghiali del dopo cena è uno sport che mi viene bene, ma andarmene no, mi viene male.
Mi prende male.
Mentre rimetto  a posto le borse avverto il peso insopportabile della maglietta e un moto claustrofobico che mi provoca la coppia di scarpe chiuse relegate al fondo della mia stanza.
Chiudo a chiave le due valigie e mi metto in solitario viaggio.
Così come si era fermato, il motore riparte e scoppietta triste mentre il muso punta abbacchiato in direzione di Olbia, dove arrivo in devastante ritardo una mezzora più tardi: davanti alla nave c'è un fiume di auto tutte accese, sotto il sole torrido della banchina. Ma il cielo non è proprio così azzurro, colpa forse degli scarichi venefici di tutti quei diesel tenuti al minimo ore per far funzionare i climatizzatori. Passo avanti a tutti: la moto può e il mio incedere lentissimo a fianco di quelle macchine ricorda il passo lento del cavallo di William Munny nella main street di Big Whiskey, nel Wyoming, in una notte d'autunno del 1880, mentre andava a regolare i conti con lo sceriffo Little Bill...
C'est l'avantage d'être motard...
beeeeeeeeeee... beeeeeeeeeee... beeeeeeeee.....
Okay.
Quando una nave parte e si stacca dalla banchina, non è come quando chiudi la portiera di una macchina. Non è la porta di un treno o il portello di un aereo.
E' qualcosa che rende tutto più romanticamente difficile, perché vedi il porto che diventa più piccolo, vedi la costa che si allontana fino a sparire, saluti gli omini sulle barchette che incroci e che ballano quasi fino a capolvolgersi nelle onde della scia. E poi c'è il nulla per un po', fino a quando non cominci a vedere i contorni dell'altra parte, poi le luci sempre più nitide che si fanno colorate.
Se nel mezzo ti fermi a contemplare un tramonto e ti viene una voglia fottuta di tornare indietro, è un buon segno. Vuol dire che sei stato bene...
Tramondo al largo di Ghisonaccia (Corsica): se aguzzi la vista vedi una barchetta...

(*) Forrest Gump

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2 commenti:

Dì pure quello che vuoi. Pensa, quello che vuoi. Solo, non essere offensivo...