mercoledì 11 settembre 2013

Slovenia: trip to the Middle Earth (part one)

“In faccia allo stranier che armato accampasi su’l nostro suol cantate Italia Italia Italia…”

- Giosuè Carducci -


Bled, il suo lago, la sua isola e il suo castello. Sullo sfondo, il Troglav.
L’idea di riportare le gomme in suolo straniero eccita valvole e valvoline, rinfocola il sangue e riempie il cuore. La meta è tutto sommato vicina: Slovenia. I giorni sono pochi, i talleri scarseggiano e il tempo non preannuncia niente di buono anche se ogni minuto che passa, la consultazione dell’I-Meteo sul fido aifòn alimenta coraggio e motivazione.
La prima meta è l’ultimo avamposto italiano d’Istria: Muggia.
Muggia è un luogo ameno, dove si respira aria di repubblica marinara, dove l’uomo convive senza spiagge con un mare limpido che s’infrange su scogli e banchine, dove la poesia del vecchio borgo s’infrange con tutta la forza della contraddizione sulle oscenità di residuati industriali, dove il verde delle colline cozza con i depositi di carburante. Ancora: dove i pescherecci e i gozzi in legno si allineano in uscita dal golfo di Trieste con le petroliere e dove, in linea con i tormenti balcanici, le amputazioni del Territorio Libero di Trieste hanno profondamente segnato le vite della popolazione locale, alle prese fin dall’epoca romana con i capricci della politica e delle spartizioni, tra esili ed esodi, ritorni ed epurazioni. L’ultima risale al 1954, quando a Londra venne deciso che la Zona “B” del Territorio libero di Trieste dovesse andare alla Jugoslavia. A Muggia più di tremila persone cambiarono improvvisamente patria, pur non essendo mai stati prima ricompresi in tale ipotesi.
La guerra ha sempre un prezzo e l’Istria lo sa bene.
  
Muggia, il Mandracchio
Dormiamo all’hotel La Bussola, un piccolo albergo pulito e accogliente, perfettamente incastonato in quella realtà di cui parlavo prima: da un lato il mare, placido e silenzioso, dall’altro la rumorosa Riva De Amicis, che all'albergo si chiama ancora via Alessandro Manzoni e che più avanti, quando diventa SP14, porta direttamente al confine sloveno. Eppure si dorme benissimo e l'unico rumore che sento è la sirena dal porto di Trieste e quello di una barca.

l'Hotel La Bussola, Murgia
Luca, biker locale, e Livia ci accolgono e ci istruiscono. Luca ci spiega dove parcheggiare la mukka al sicuro dalle incursioni dei pirati e ci prepara l’itinerario del giorno dopo, quando le visiere punteranno verso il Triglav, mentre Livia ci spiega dove nutrirci...
La cena, invece, la gustiamo alla trattoria La Risorta, affacciata sul Mandracchio, la darsena che porta le barche fin dentro l’abitato: frittura croccante e pesce spada in crosta. Voto: 8+
Dopo la colazione sul Mandracchio, il sabato mattina ci proietta verso Koper, Capodistria. Con tutto il rispetto per la storia, a camminare sulle strade pulite della città viene un tonfo al cuore. Lo so, lo so. Ce la siamo cercata e ce l’hanno fatta pagare: però se l’Italia è un paese finalmente unito, lo si deve anche ai patrioti istriani. Uno tra tutti: Nazario Sauro, impiccato dagli austriaci a Pola nel 1916.
Se fosse vera la storia del rigirarsi nella fossa, Nazario sarebbe un trapano.
Koper, meglio chiamarla così, è bellissima. Il porto, il centro storico, le viuzze e la gente. 
Al mercato centrale ci sono splendide vecchie che vendono uve minuscole ma dolcissime, fichi e pomodori striminziti ma dai sapori fortissimi e naturali. Com’è che si dice oggi? Bio!
Così buoni, che quando vedi fruttoni coloratissimi sui banchi normali, ti viene di snobbarli.
 
Palazzo Pretorio: prima pietra 1254, così dal 1664
Si parte poi per il Triglav.
La moto, piena con 40 euro scarsi, usa solo la viabilità ordinaria: l’autostrada la lasciamo al turista medio, quello che coi gommoni al traino, coi camper spaziali e con i suv stracarichi porta e riporta la famiglia verso casa o dalle vacanze.
Difficile è, senza GPS, ritrovare la strada per Kozina, nonostante la mappa stampata da Luca, ma alla fine, grazie alle indicazioni dateci da una samaritana che ci aveva visto armeggiare alle cartine (sono anni che nessuno le usa più, credo), e a un guizzo intelligente dell’Angela che riavvia l’aifòn dopo il roaming sloveno, sfioriamo Basovizza e arriviamo nel piccolo villaggio della Cicceria, dove tutto diventa più semplice perché all’estero le strade hanno un numero anche sui cartelli e non, come in Italia, solo sulle mappe.
Eccheccazzo.

Vigneti nell'alta valle del Vipava
Evitare l’autostrada significa percorrere in tutta la sua lunghezza l’alta valle del Vipava, dove vigna e vino la fanno da padroni e dove dagli alti contrafforti si lanciano in continuazione deltaplani e parapendii e dove da ogni campetto libero dalle coltivazioni decollano aerei che trainano alianti: solo alle porte di Nova Gorica il cielo si sgombra dalle vele e si fa più stretto da terra mentre si entra nella valle del Soča, risalendola verso Solkan, dove la gente parla sloveno ma mangia friulano e dove resiste il ponte ferroviario ad arcata unica in pietra tagliata (cazzo vuol dire, non lo so) più alto del mondo.
Made in Italy, s’intende.

Il ponte di Solkan (foto Wikipedia)
Tiratira, arriviamo a Kanal, un tempo Canale d’Isonzo (Kanal ob Soči), dove il fiume ha scavato davvero tanto e dove la voglia di tuffarvisi dentro dalla terrazza del bar Raffaello è veramente forte. Gelatino, pipì e via.
Risalendo la catena del Colovrat arriviamo a Kobrid, ma solo per questione di tempo materiale a disposizione. A Caporetto, così lo si chiamava una volta, riposano i resti dei 7.014 soldati italiani che morirono nella tremenda controffensiva austroungarica e tedesca del 1917. Dopo il cambio di Luigi Cadorna al comando, che aveva accusato i suoi soldati di viltà – ma settemila uomini morirono per la sua inconcludenza – Caporetto venne “vendicata” dalla linea decisa da Armando Diaz, che fece riorganizzare le truppe sul Piave.
Impossibile pensare che un paradiso come questo abbia potuto fare da scenario a una delle guerre più sanguinose che l’Europa abbia conosciuto: le acque azzurre dell’Isonzo.

Le magiche rive del Soča.
Italo Calvino, nel 1958 scriveva: «Nella limpida corrente, ora scendon carpe e trote, non più i corpi dei soldati che la fanno insanguinar»
Da “Dove vola l’avvoltoio” a “La Guerra di Piero”,  scritta da Fabrizio De André nel 1964: «Lungo le sponde del mio torrente, voglio che scendano i lucci argentati, non più i cadaveri dei soldati,  portati in braccio dalla corrente».



Basta scendere di un paio di metri, dalla carreggiata della strada 103 (la Usnik-Plave), che i rumori dei motori spariscono, coperti da quelli delle acque così trasparenti e turchesi da creare imbarazzo. Puoi guardare negli occhi una trota marmorata a lungo, fino a quando non ti stanchi, perché lei se ne resta lì, quasi immobile.

La trota marmorata, immobile. Viva.
E poi salire, verso il passo del Vršič, altrimenti (italianamente) detto passo del Moistrocco, 1.611 metri sul livello del mare. L’inizio ricorda un po’ la salita verso il Rombo: nonostante il sabato pomeriggio non c’è praticamente nessuno, a parte quattro harleysti diretti a Villach per il radunone dei cromati.
Ho sempre pensato, da quando porto le mukke al paskolo sugli alpeggi, che i passi debbano essere sempre fatti una volta in un verso e una volta nell’altro. Poi, a forza di girare, ho perso la passione per la coerenza dei riti. Trovarmi così, all’improvviso, su un valico delle Alpi Giulie che avevo già fatto una volta, mi ha fatto sentire uomo di mondo, come da tanto tempo non mi riusciva; credo un aperitivo delle sensazioni provate da Roberto Fulton Jr. nel suo One Man Caravan, un incredibile viaggio in solitaria attorno al mondo sulla sua Douglas.


Il Triglav
Il Moistrocco porta dall’alta valle dell’Isonzo, la Val Trenta, all'alta valle della Sava, linea di confine tra Italia e Slovenia tra il 1921 al 1947, da cui si scende, nella nostra direzione di marcia, a Kranjska Gora, terra di caccia del mitico Jure Košir, che ho visto allenarsi sul mio Cupolino.
Una volta che scii sulla Podkoren, però, tutto cambia e allora capisci che se Jure era venuto ad allenarsi al Corno alle Scale assieme a Tomba, lo aveva fatto per amicizia. O per scippare alla Bomba qualche trucco tecnico.

La Chiesa di San Martino, sull'unica isola della Slovenia
Infine, Bled.
La cittadina non è un granché, ma qui puoi finalmente guardare il lago senza curarti di quello che c’è dietro. Alberghi, casinò, negozietti. Ecchissenefrega: l’importante è quello specchio d’acqua pulitissima, dove le barche, le Pletne, sono solo a remi, e l’isoletta di San Martino, l’unica della Slovenia (!!!) che spunta fuori dall’acqua come se qualcuno le avesse scavato un fossato attorno e solo dopo lo avesse riempito sciogliendoci la neve.
Dopo la seconda Guerra, i gerarchi comunisti di Tito venivano da queste parti a trascorrere la ricreazione ma oggi Bled è davvero un luogo di tutti.  
Peccato per quella campana che ogni turista che si rispetti agogna suonare con l’auspicio di non aver atteso invano i lunghi minuti a bordo delle silenziose Pletna nel viaggio tra la riva e l’isoletta da fiaba.

Il Čarman Guest House
Prendiamo alloggio al Čarman Guest House, fronte lago. E' un posto carinissimo, gestito con amore da gente che parla correntemente l'inglese, mastica italiano, tedesco, francese, che serve una colazione continentale e che sorride. Bello lavorare così, mi piace. 
Domani è un altro giorno e allora, non c'è niente di meglio di una bella bistecca di maiale ai ferri, una montagna di patatine e un paio di birre Union.
Notte gente. Ci vediamo domani. O, come dicono qua, lahko noč, fantje. Se vidimo jutri.


Copyright © Lorenzo Borselli tutti i diritti riservati

1 commento:

  1. Andresti un po' più a est per cortesia? Ho saputo che hanno messo in produzione l'AK-12 ..... ;-)

    RispondiElimina

Dì pure quello che vuoi. Pensa, quello che vuoi. Solo, non essere offensivo...