lunedì 29 settembre 2014

Transfăgărășan e Transalpina 2014 #3: da Zagabria a Craiova...

" Tutto passa. Solo le conseguenze sono permanenti"
Aleksandar Baljak, Belgrado, 2011

Tra Zagabria e Belgrado. Se sto in piedi, una ragione c'è...
Partire da Zagabria è stato piuttosto facile. Abbiamo avviato le mukke e siamo arrivati all'autostrada, l'A3, che dopo un bel caffè divoriamo alla volta di Belgrado. Stavolta però non faremo tutto il tratto su una carreggiata dritta e sicura: vogliamo cominciare ad andare in moto, visto che siamo già sufficientemente vicini alla meta del giorno e vogliamo vivere il paese al suo interno.
Scegliamo dunque di uscire a Velika Kopanica, un piccolo centro della regione del Brod e Posavina, poco distante dalla più grande Slavonski Brod, a due passi dalla frontiera con la Bosnia e già molto vicini a quella con la Serbia. Siamo a caccia della Sava, che ne traccia il confine sulla riva sinistra e da cui prende il nome (Posavina), ma la tappa che ci preme di più è Vukovar, a nord, nella regione Vukovar e Sirmia, che un tempo si chiamava semplicemente Slavonia.

Tengh'e ccuorn???
Appena usciti dall'autostrada seguiamo la strada 7 fino a Dakovo, dove imbocchiamo la 46 e mettiamo l'anteriore a nord-est, senza praticamente fare una curva. Qui, è tutto pianura, tutto frumento e tutto ancora ostinatamente contadino. Sembrerebbe anche tutto pacifico, ma poi arriviamo a Vukovar, dopo aver imboccato la 55 a Vinkovci.
Si iniziano a vedere, qui, strane lapidi ai bordi della strada che non sono - lo si capisce - quelle che si mettono dove qualche sfortunato ci ha rimesso la buccia correndo troppo forte. Attorno alle finestre delle case ci sono i fori dei proiettili e quando arriviamo a Vukovar, la guerra sembra appena andata via. 
L'odio e il dolore si mescolano tra loro e capiamo fin troppo bene che i fucili e i cannoni avranno anche smesso di sparare, ma la tensione tra serbi e croati è sempre altissima. 
Poco dopo il rientro, mentre mettevo insieme questi appunti di viaggio, capisco il perché... (clicca qui
Comunque, parcheggiamo le mukke in una piazzetta, leghiamo bene i caschi e cerchiamo una wi-fi per sceglierci un posticino dove mangiare qualcosa: è uscito un timido sole e la gente affolla ciò che resta del corso alla ricerca di un po' di tepore.
Mangiamo lungo la strada principale, in un piccolo ristorante in cui ci viene servito un mastodontico hamburger con la prima, buonissima, insalata di verza. Poco dopo, troviamo il simbolo della guerra che vent'anni fa si è portata via 5.403 vite per parte croata e oltre 10mila per parte serba.

La torre dell'acquedotto di Vukovar. E' lei il ricordo più appariscente della guerra
L'assedio alla città da parte dei serbi durò 87 giorni e il 19 novembre 1991 terminò con la capitolazione. La presa di Vukovar e la sua difesa erano divenute un simbolo per entrambe le parti, ma ciò che accadde dopo riporta l'uomo all'età della pietra. I serbi, in parte inquadrati nella JNA, l'esercito popolare jugoslavo, e in parte nelle Aquile Bianche, uccisero gran parte dei prigionieri, compresi i feriti nell'ospedale, i medici e i civili. 
Consiglio di leggere questo bellissimo articolo di Matteo Zola (Quando i serbi sparavano sui serbi).
Vi ho detto che siamo sulle rive del Danubio? Ecco: usciamo da Vukovar e conosciamo una bellissima pianura coltivata, con qualche buca di troppo, ma non tutto il male viene per nuocere. Percorrendo la strada n. D2 attraversiamo piccoli borghi, ci beviamo un bel caffè e pian piano cerchiamo un ponte sul secondo fiume d'Europa.

Attraversando Opatovac
Sfilando per Šarengrad
Insomma: dai e dai, arriviamo al confine con la Serbia, dove un ponte angusto e militarizzato (anche se non sembra) ci porta da Ilok in Vojvodina, alle porte di Bačka Palanka. Questo ponte, che collega le due rive del Danubio al 1297esimo chilometro dalla sua sorgente, fu bombardato dalla NATO nell'aprile 1999 per ben due volte e  reso inservibile fino al 2002, quando fu riaperto al traffico. Il filo spinato e il reticolato ci ricordano che è vietato fermarsi e quando arriviamo sulla sponda orientale, imbocchiamo la M18 con qualche inquietudine. 
Colpa del luogo e della gente che vi si contrappone: nei pressi del ponte, c'è un'isoletta fluviale, l'isola di Šarengrad, che i croati reclamano e che la Serbia non restituisce. 
Per questo, tiriamo dritti fino a Novi Sad e sfilando dritti e veloci sulla A1 arriviamo finalmente a Beograd.
Già, Belgrado...
Dobro!
La sosta, qui, è allietata da due conoscenze di Oscar e Ariela, Sara e Pasquale, che lavorano in questa metropoli dei Balcani che, francamente, non mi è piaciuta moltissimo: mi è sembrata molto incasinata, da un punto di vista viario e anche urbanistico. Si capisce che la storia è passata di qui, ma il fatto che attorno a noi ci sia un'area metropolitana di 2 milioni e mezzo di anime, mi fa sentire un po' agorafobico.
Comunque, prendiamo alloggio alla Soul House, un curioso e graziosissimo appartamento in pieno centro, a Makedonska Ulica, a ridosso dei vicoli di Skadarlija, il quartiere più intrigante della città. Lo chiamano il quartiere bohémien e sulle guide ufficiali del comune si tentano anche dei paragoni con Montmartre di Parigi ma seppure Skadarska Ulica e alcuni vicoli laterali come la Zetska Ulica siano senz'altro carini, il paragone con la Ville Lumière mi sembra davvero esagerato.
Comunque, dopo una fantastica doccia, usciamo e raggiungiamo piazza della Repubblica, dove sotto una poderosa statua a cavallo che celebra il principe Mihailo, incontriamo i nostri amici.
Con loro ceniamo in uno dei ristoranti della Skardaska, Dva Jelena, posticino davvero unico, sia per atmosfera che per cibo e bevande, ma la Starogradska Muzika, la tipica musica locale suonata e cantata da gruppi tradizionali, ci ha fatto venire orecchie come Topo Gigio...

La via Skardaska


Noi tre davanti al Kalemegdan, la fortezza di Belgrado
Accompagnati da Pasquale, l'indomani, visitiamo il centro alla ricerca di qualche souvenir (e quando rompo una decina di calamite mi tocca pagarle tutte...), passeggiamo all'interno della fortezza e tiriamo tardi fino alle 14, quando anche Sara può raggiungerci.

Il parco del Kalemegdan e i dinosauri...
Armi in mostra, perché qui non si sa mai... :-(
La confluenza della Sava col Danubio...
Giulietta e Romeo sul Danubio blu...
Il Ponte d'Ada, lo strallato più lungo del mondo: 950 metri.

Pranzo sulla Sava...
Restano anche i segni della guerra del 1999, quando la NATO bombardò la Serbia per interrompere l'azione di guerra contro il Kosovo. Prima della caduta di Slobodan Milošević, i caccia bombardieri hanno martellato il paese per 78 giorni, lasciando segni che il governo attualmente in carica sembra non voler cancellare.

Ministero della Difesa
Poi arriva il 17 settembre e anche da Belgrado muoviamo le tende. L'impegno è il primo di una certa importanza, in questo viaggio, perché dobbiamo raggiungere Craiova, in Romania, dove Angela atterrerà in serata e dove abbiamo già prenotato un albergo. Ci sono 399 chilometri, seguendo la via più scorrevole, ma noi optiamo per un itinerario più motociclistico: percorriamo l'autostrada M1 fino a Mihajlovac e qui usciamo in direzione Požarevac, sulla 130,  arrivando a Veliko Gradište. Il nostro ospite di Belgrado, Max, ci aveva detto che la strada serba che da questa città ci avrebbe condotto fino alla frontiera di Kladovo, costeggiando la riva destra del Danubio, era interrotta a causa del maltempo. Era nostra intenzione, dunque, attraversare subito il Danubio ed entrare il territorio romeno, ma a Veliko Gradište, un poliziotto ci suggerisce di tornare indietro fino all'avamposto di Ram, dove avremmo potuto prendere una chiatta che ci avrebbe portato sulla riva sinistra del fiume e da qui avremmo poi potuto varcare il confine.
La strada che ci porta a Ram è incredibilmente suggestiva: si capisce che è un luogo tranquillo, pieno di gitani che pescano e anche se un po' sporco, l'immagine del Danubio che non si allontana più di tre  metri dalla corsia resterà sempre impressa dentro di me.
Infine, ecco Ram.




La chiatta, di cui tra poco vi mostrerò le immagini, sarebbe partita solo alle 15 e siccome noi eravamo arrivati giusto un'ora prima, abbiamo scelto di metterci a sedere nel sontuoso (!!!) bar sotto l'antica fortezza che domina lo scalo dal 1100 per mangiarci un incredibile piatto di carne al grill. Dopodiché, espletate le necessarie formalità, abbiamo avuto l'ok all'imbarco.
Cazzo.

Mah... speriamo che galleggi...
Abbiamo dovuto aspettare venti minuti in più: un camioncino scassato pieno di legna e di zingari doveva fare la traversata e fin quando non è salito quello siamo rimasti fermi...
Due abili manovre e via, verso Stara Palanka.

Qui c'è tutto di Ram: la fortezza, il bar, la chiatta e la mukka...
L'insolito gruppo di passeggeri...
Una draga sul Danubio (blu???)

Una scena del famoso film "Titanic"
Poi, arrivati a Stara Palanka, dopo aver discusso tra noi sul gesto del comandante della nave che si è disfatto della spazzatura buttandola in acqua (poi più avanti vedremo dove si ammucchia...) facciamo la conoscenza di una coppia di serbi in sella a un Fazer 750, reduci dalla Transfăgărășan e dalla Transalpina. I due, che un paio d'anni prima ci hanno detto aver visitato Firenze, ci avvertono che la strada è stata interessata da una violenta alluvione, ma noi, duri, dopo un buon espresso puntiamo decisi alla frontiera di Oravita, dopo aver percorso prima la strettissima 312, poi la più trafficata 134, la bella 18 e, infine, la 57.
Vogliamo vedere a tutti i costi le Porţile de Fier, le Porte di Ferro, una gola rocciosa che si apre tra la catena dei Monti Balcani e quella dei Carpazi Meridionali, scavata dal Danubio nel corso dei millenni. Appena arrivati in Romania ci facciamo una scorpacciata di curve su un asfalto nemmeno troppo male e poi la vallata di Moldova Nouă si apre davanti a noi.

La valle di Moldova Nouă

Qui, oltre i Carpazi, gli antichi romani realizzarono una strada militare, oggi sommersa, e un ponte progettato da Apollodoro di Damasco per ordine di Traiano, la cui realizzazione è celebrata anche nei bassorilievi della Colonna Traiana a Roma. all'inizio del 1900 gli ultimi pilastri emersi vennero abbattuti perché ritenuti d'ostacolo alla navigazione, ma se qualcuno vuole andare a vederne le ultime rovine, può recarsi qui.

Le Porte di Ferro
Se quel ponte ci fosse ancora stato, ci saremmo risparmiati un vero Golgota, perché dopo aver fatto un centinaio di chilometri, ci siamo trovati la strada sbarrata da una deviazione. Abbiamo tentato la sortita su uno sterrato, ingannati dal traffico che sembrava infilarcisi: invece si trattava solo di boscaioli e così, ci siamo trovati alla fine di un sentiero nel mezzo di una foresta...
La delusione è nei nostri volti... Più che altro nel mio...

Road end...
Così, dopo aver ottenuto conferma dal GPS che davanti a noi c'era solo una parete rocciosa, siamo tornati indietro per una decina di km, litigando col fango. O veniteci con l'Harley, va...

Boja deh...
Abbiamo ripreso la 57 per qualche altro chilometro, per capire se il blocco potesse essere superabile, ma purtroppo, subito dietro a una ruspa gigantesca, abbiamo dovuto arrestare le unstoppables e tornare verso Oravita. Arrivati a un centinaio di chilometri da Craiova, dobbiamo rifarne 323. Ariela sta per ucciderci...

No, di qui non si passa...
Così, mentre facciamo ritorno verso Oravita, non ci resta che goderci il tramonto sul Danubio. Peccato essere di fretta e doversi concentrare soprattutto sulla guida: la strada è letteralmente infestata di cani selvatici e andarci a sbattere significherebbe farsi molto male.

Coming back...
Fastest
Quello che segue è una vera e propria lotta contro il freddo, la stanchezza e anche il tempo, perché mentre noi sfrecciamo sulle deserte strade romene, Angela sta facendo il check-in al Marconi di Bologna e mi dispiacerebbe doverle riservare, come accoglienza, una corsa in taxi fino all'Hotel Bavaria di Craiova. Così, ubbidendo ciecamente al segnale del mio Garmin, che a dire la verità qualche problema qui me lo ha dato, abbiamo rifatto indietro la 57 fino a Oravita, dove abbiamo seguito la 57B fino alla sua confluenza con la 6 e arrivando, finalmente, a Orșova, dove abbiamo reincrociato la 57 (che rabbia!!!). Continuando sulla 6 ci siamo lasciati alle spalle Dobreta-Turnu Severin e infine, dopo l'ennesimo rifornimento e un panino "diaccio di frigo", siamo arrivati a Craiova.
Mentre scarico le borse e concedo a Oscar e Ariela il privilegio di ritirarsi prima di me, un Airbus A320 fucsia sorvola il tetto dell'hotel a circa duecento metri, in finale sulla pista.
Dieci minuti dopo sulla mukka siamo in due....

Lorenzo Borselli © Tutti i diritti riservati

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