"...ché non è impresa da pigliare a gabbo
discriver fondo a tutto l'universo,
né da lingua che chiami mamma o babbo."
discriver fondo a tutto l'universo,
né da lingua che chiami mamma o babbo."
Dante, Inferno XXXII, 6-9
Avevo immaginato, quando stavi male, che non sarebbe stato doloroso come con la mamma. Che non sarei stato così. Tu in fondo sei il mio Eroe da sempre, capace di sopportare qualsiasi prova e qualsiasi dolore. Tenevi in mano le braci ardenti, mangiavi senza scottarti il saggio della pasta, piegavi l’acciaio con le mani, colpivi l’occhio di un’anatra in volo sparando con gli occhi chiusi. Tizzone d'inferno, il mio Tex.
Non mi avresti fatto male. Quindi, perché preoccuparmi?
Eppure, c’era un qualcosa di spento nel tuo sguardo, come smarrito, da un 3 aprile di quasi dieci anni fa. Non spento, chiuso. Come la finestra della torre di un castello sulla rupe, che è lì orgogliosa a ribadire che c’è, di esserci. Ma dentro non c’è nessuno.
Uno di quei castelli delle storie che guardavamo in bianco e nero in televisione, a colori al cinema o in uno dei filmini in superotto che noleggiavi a Prato e che proiettavi in casa, in salotto, nel selected theatre domestico di pomeriggio per noi o dopo cena per voi.
La mamma e la zia sul divano e te sempre in poltrona, vicino al proiettore, quasi mai rilassato perché ogni tanto la pellicola si rompeva e bisognava avere i riflessi pronti a spegnere il motore, accendere la luce e attaccare i due lembi staccati tra loro.
Così un pezzettino di film lo rivedevamo sempre: prove generali di video-rewind. Sei sempre stato avanti.
Quei castelli, quando il padrone moriva, cominciavano a crollare, pezzo dopo pezzo.
La terra iniziava a tremare, le torri si inclinavano, dalle finestre cominciava a uscire il fuoco e quando i buoni erano lontani, al sicuro, quelle esplosioni rischiaravano il cielo nero come la pece e il film finiva.
Ma quel padrone morto era sempre il cattivo, o quasi, e allora il sole che arrivava prima della scritta "fine" (in realtà The End), ci rassicurava, perché un nuovo giorno sarebbe sorto e sarebbe stato un giorno libero, il primo di tanti che dovevamo solo immaginare e che cominciava subito quando giravi l’interruttore del proiettore e noi potevamo cominciare a correre su e giù per le scale, continuando su di noi e sui nostri ginocchi (si, “ginocchi”, va bene?) quelle storie fantastiche rimesse dentro le scatole e riportate al noleggio dei film a Prato.
Stavolta il castello crollato, il fuoco che ha incenerito tutto, era il tuo, era per te.
Eh si, babbo: nessuna maceria su cui piangere, ma solo un’occhiata scambiata tra noi prima di rimettere il film nella scatola e provare a inventarsi il seguito, con la tua mano ancora calda che mi sono ostinato a tenere sulla mia testaccia pelata.
Da giorni ripenso all’Alfa Sud, a una gita di domenica con la mamma e Paolo a Panna, dove persi le mie prime chiavi di casa il giorno stesso in cui me l’avevi date, con familiare solennità, consegnando una parte del bambino che ero all’età adulta e ai suoi doveri.
Eri incazzato nero, pensavo, ma il lunedì pomeriggio riprendemmo l’Alfa Sud, io e te soli, e volammo a Panna, come in una prova speciale di un rally tutto per me. Avevo le cinture allacciate (pazzesco eh?) e un cappellino di stoffa della Renault, o almeno così mi sembra di ricordare. Sicuramente era bianco e blu.
Arrivammo a Panna e nel sentierino del bosco ritrovammo le chiavi.
Luccicavano. Moschettone e chiavi (cancellino, porta e lucchetto della bici), splendevano in mezzo alle foglie morte che cadevano dagli alberi.
E quando tornammo a casa, dopo una merenda da qualche parte lassù nel Mugello, toccò a me aprire la porta di casa.
Avevo immaginato male.
"Bisogna andare sempre avanti,
RispondiEliminaanche se noi non siamo in tanti, anzi davvero siam solo in due,
le mani mie, le mani tue devono avere gli stessi
guanti e non paura là sul confine di
fare l'ultimo passo in avanti."
Sei bravo come sempre, specie quando scrivi delle cose che ti lasciano un segno a livello personale. Figuriamoci la morte di tuo padre. Pensavi di cavartela molto meglio rispetto a quando ti ha lasciato la mamma. Forse è andata così ma solo in parte. Meno male però che hai ritrovato le chiavi. Usale per riaprire ogni tanto lo scrigno dei tuoi ricordi col babbo.
RispondiEliminaUn abbraccio, ancora più stretto dopo quello che sei riuscito a trasmettere con le tue righe....
RispondiEliminaChe pensiero struggente, caro Lorenzo. Che bello averti ritrovato, insieme a tuo babbo, quì in questo mondo assurdo e sfuggevole che è "la rete"... Io di tuo babbo ricordo l'imponenza statuaria del suo corpo e dei suoi sguardi. Ma soprattutto ricordo Star Wars visto nella sua "sala cinema" a casa tua: e tutte le volte che lo rivedo penso alla mia infanzia, a quello che tu avevi ed io no... Un po' ti invidiavo, sai. Spero di riabbracciarti presto, un caro saluto, Stefano Foligni
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