domenica 26 agosto 2018

Tunisia 2018, parte III. Fin du voyage... Da Tataouine a casa...

…Noi gridammo abbastanza forte da svegliare i Sette Dormienti - non sono mai riuscito a capire perché ci dovrebbe voler maggior chiasso per svegliare sette dormienti piuttosto che uno - e, dopo ciò che parve un'ora, ma che fu in effetti, io credo, circa cinque minuti, vedemmo la barca illuminata scivolare lentamente nel buio e udimmo la voce assonnata di Harris chiedere dove fossimo…

Jerome K. Jerome, "Tre uomini in barca" (per tacere del cane) (1889)

Chenini. Si riparte da qui.
16 marzo. Scusate l’attesa, ma ho avuto da fare. Ho dovuto salutare un eroe, il mio Eroe. Il mio babbo, che ha ricambiato con i suoi occhi l’orgoglio che io provavo per lui quando ero piccolo, quando crescevo, quando ho iniziato a vederlo invecchiare, io che ho lasciato la mia giovinezza in un cassetto della vita, per occuparmi di salvare il mondo.

Il babbo. Non riesco a scrivere nulla di lui: quando se ne andò la mamma mi sembrava di essere un fiume in piena, e dovevo trattenermi per non scrivere tutto quello che mi passava per la mente. Stavolta no, un cazzo. Tornerò in analisi.
Mentre scrivevo le prime tappe, ci facevamo compagnia. Lui se ne stava lì a guardarmi e io gli facevo vedere le foto. 
Ora mi sento molto solo, come credo lui, nel buio del niente in cui si trova. Per cui, di scrivere di questo fantastico viaggio che mi sembra di aver fatto secoli fa, mi era quasi passato di mente. 
Scusate.

25 settembre 2015. Tocca a me.
Il mondo dicevo: eravamo rimasti a Tatatouine, ai ghorfas di Ksar Ouled Soltane. 
Prima di tornare in albergo decidiamo di fare un salto a Chenini (شنيني), uno splendido villaggio berbero troglodita che si arrocca risalendo una valle creata da due picchi che si guardano. Da sotto, ve lo dico, i due costoni della montagna mi hanno ricordato il Takbir, l’inizio della preghiera musulmana, quando il fedele si porta le mani al capo con i palmi aperti. 
Sarà blasfemo accostare una visione della natura ad un rito islamico, ma a me lo ha ricordato lo stesso. 
E da buon ateo, materialista, illuminista romantico, me ne sbatto anche un po'.
Prima di arrivare al villaggio, però, svoltiamo a sinistra per raggiungere un luogo tutto particolare: la Moschea dei Sette Dormienti. La leggenda locale, nota in tutto l’Islam, vuole che qui 7 cristiani di Efeso, perseguitati dai romani per la loro scelta di credere in Cristo, restarono imprigionati per 400 anni, addormentati: nel sonno crebbero fino a 4 metri. 
Quando vennero liberati, si svegliarono e si convertirono all’Islam.
Potete visitarla, questa piccola moschea di montagna, approfittando della gentile insistenza della guida, che vi porterà logorroicamente a visitare le lunghe tombe nel perimetro, sovrastate da un minareto davvero molto pendente. 
Non starò a tediarvi oltre: vi dico soltanto che il tema dei Sette Dormienti è frequente anche nel mondo cristiano (clicca qui), ovviamente pro domo sua. 
Nel Corano la trovate nella diciottesima Sura, “della caverna” appunto: non si parla di questa moschea e di questo luogo, ma è stato bello leggerla perché è davvero molto simile alla storia raccontata nei libri cristiani e ortodossi. Ricorre Efeso, ricorre la caverna, ricorre il tema della mortalità ottenuta solo al risveglio, conquistata. 
Insomma, le voci correvano anche nell’antichità: nel Corano come nella Historia Langobardorum.
Per avere un’idea completa, aprite un motore di ricerca e cliccate “sette dormienti”.

La Moschea dei Sette Dormienti
La Moschea dei Sette Dormienti
Il minareto pendente
Qui la Valentina ha rischiato l’arresto e la condanna a morte di tutti noi… Se ne stava lì ad aspettare che l’Imam si spostasse, per poter inquadrare in libertà la piccola moschea e, soprattutto, che lo stesso Imam si zittisse un attimo. Io ho scattato, e anche il Ropelato-trafelato era riuscito a fare una foto di fretta (complice la necessità di carpire le ultime luci della giornata, ormai morente), ma il punto finale della giornata è stato messo proprio dalla Vale.
TI VUÒI TÒGLIERÉÉÉÉÉÉÉ?
Click, click, click…
OHHHH. CI VOLEVA TANTO???”.

Commissàààààààààààààààààà
La strada che percorriamo da Tataouine a Chenini è una pennellata impressionista. Complice la luce di un sole che non sembra volersene andare oltre la linea dell’orizzonte, complice la discrezione della gente del posto, che lontana dai suk e dai mercati si limita ad un gesto di saluto con la mano, complice quel momento magico che arriva quando un viaggio inizia a volgere al termine, arriviamo a Chenini. Arriviamo in solitaria, perché ci siamo un po’ avvantaggiati quando abbiamo lasciato la C207 per una strada senza nome, ma molto ben segnalata e anche manutenuta. Arriviamo in solitaria e la visione è questa…

Chenini
Chenini, zoom.
La strada da Tataouine
Piero e Dodi verso i Sette Dormienti...
"La luce incerta della sera getta fantasmi ed ombre sulla tua finestra: non pensi, o non vorresti più pensare..."
incipit di  "Canzone per Anna", Francesco Guccini

Chenini è il più visitato dei villaggi di montagna della Tunisia meridionale. Lo dicono le statistiche e lo dice anche l’omarino in blu che porta un tesserino da guida turistica autorizzata. Parla un buon italiano, anche se io preferisco il francese, e non perde tempo a dirci che dagli attentati del Bardo e della spiaggia della Sousse, qui non viene più nessuno. 
In effetti, se andate a esplorare le recensioni dei turisti sui vari portali, scoprirete che dal giugno 2015 le visite si sono rarefatte. 
E qui, come abbiamo già detto parlando di Tozeur, la natura non fatica molto a riprendersi ciò che era suo. 
Chenini, però, resiste: è nella cultura berbera, è nel genoma di chi abita qui. Si coltivano olivi, si fa un buon olio (dicono…), l’acqua pare esserci in abbondanza e tutti sperano in una ripresa delle visite. 
Probabilmente il momento migliore per un tour guidato, che porti fino al crinale della montagna, da dove si può dominare la bellissima vallata, sarebbe proprio questo. 
La nostra guida ci dice che sulla sommità sono ancora attivi i granai e che qui si parla ancora berbero, anche se l’emigrazione verso le città e verso l’estero sta mettendo a dura prova la sopravvivenza degli antichi dialetti. 
Lo afferma con dignitosa rassegnazione e con un po' di araba solennità, mentre sorseggia con noi un the alla menta nell’unico bar ancora aperto.

La nostra guida (perché non mi segno mai i nomi?)
Qui è tutto in tinta con la montagna, a parte il verde scuro di qualche palma e il bianco accecante della moschea, il cui minareto si staglia come una bandiera di conquista alla congiunzione ideale tra la parte destra e quella sinistra del crinale e, quindi, del villaggio.
Allah è grande”.
È grande, ma qualunque cosa sia, la divinità, credo voglia  qualcosa in più da noi. 
per esempio, avremmo dovuto percorrere quella dorsale e scattare la foto che trovo su internet (qui), scattata da Benjamin, un globetrotter che ha fatto del viaggio la sua ragione di vita. Leggetelo, il suo blog (www.visasansdetour.com): se parlate francese, ovviamente.
La foto della moschea la prendo da wikipedia, scattata da Katina Rogers e presa da Flickr. 
Speriamo non s'incazzi...

la bianca Moschea di Chenini
Questa invece è mia. Brutta, ma è mia.














Rivediamo Chenini l’indomani, quando le mukke che trasportano me e Angela, Paolo e Pat, Piero e Dodi e l'orso Bruno col KTM, si staccano dal gruppone per tornare a esplorare i dintorni di quello splendido villaggio. La serata, però, è movimentata dall’arrivo del Doc e di Abi, che non sapendo cosa diamine fare in Italia, non essendo stato comunicato loro alcun segnale di un imminente parto “vip” – ma sì, acque rotte e contrazioni varie – hanno pensato di dirottare un aereo tunisino fino a Djerba, o giù di lì. 
Poi, facendo valere il diritto internazionale, Doc ha sequestrato un’auto con tanto di autista e si è fatto portare fin da noi. 
Arrivano dopo cena, quando siamo tutti attorno a un tavolo a parlare di politica, ciclismo e storie vere, come il maestro di Pavana e Keaton, il pianista, dopo un loro concerto, ed è subito festa!
Niente Guzzi però; niente Aprilia Pegaso, ma solo un posto a cassetta nel Cherokee del Ciocio e di Asia, che probabilmente dimentica perfino di avere un dvd con Duffy Duck. 
Ma sì, il Doc ne ha di storie da raccontare…
E mentre scrivo questo capolavoro retorico, mi accorgo di non avere nemmeno una foto della stranissima e incollatissima coppia. Vabbè… Mi accontento degli scatti finiti in chat (santificetur Whatsapp)


Miss Abi

Doc 
17 marzo (compleanno del Balli). La mattina prevede la prima parte del ritorno verso Tunisi. 
Sapendo che la malinconia ci avrebbe colto, pianifichiamo (leggasi io e Angela, Paolo e Pat, Piero e Dodi e l'orso Bruno col KTM) un ammutinamento gentile e decidiamo di fare come fanno nei film gli esploratori spaziali. 
Vanno un pochino più in là e poi ci restano secchi. 
Siamo forti, e la morte non ci spaventa: quindi lasciamo l’hotel prima degli altri e ci incamminiamo verso sud, sulla P19 e dopo qualche chilometro teniamo la destra in una strada senza nome verso sud. 
Se vi interessano le coordinate del bivio, eccole: 32°87’28.17” N, 10°38’10.54” E.
Più avanti, di nuovo a destra (32°50'25.2"N 10°20'40.5"E) verso il villaggio sperduto di Douiret (دوريت). 
Il posto è molto bello: si percepisce che si tratta di una cittadella militare e perfino la moschea, l’unica chiazza chiara nel colore tipico di Marte che contraddistingue questi luoghi, è all’interno di un perimetro fortificato. Siamo in una Monument Valley tunisina...

Lasciata la P19 entriamo in una Monument Valley tunisina
I colori sembrano pastelli
La KTM del Bruno, rapito dalla bellezza di questo luogo lontano
Iniziano le curve...
Si susseguono...
L'asfalto è ruvido come la pelle di uno squalo preistorico
Ceppi, palme e roccia
Piccole e rigogliosissime oasi

Infine di nuovo lei, Chenini
Stavolta siamo arrivati quasi in Libia, ma le condizioni del confine e le frequentissime incursioni della marmaglia terrorista ci inducono a ripiegare nuovamente verso Medenine(مدنين). 
Ora direte: perché metti sempre il nome arabo in caratteri arabi delle città più importanti? 
Non lo so, semplicemente, mi sembra figo. 
Dicono che Medenine meriterebbe una visita, per via dei bellissimi ghorfas, ma noi abbiamo già apprezzato da vicino quelli di Ksar Ouled Soltane e, da lontano, lasciandoci alle spalle Chenini, quelli di Ksar Guermassa (غمراسن‎), oltre che per per un coloratissimo mercato che anima i vecchi granai ogni domenica.

Ksar Guermassa
Tutto merita una sosta: perfino Ksar Guermassa, non foss’altro per la sua storia, che si perde nel mito di una famiglia, i cui Sette Fratelli (ancora sette) si dispersero nella regione, fondando città come Tataouine, Touzni, Medenine stessa, spingendosi fino in Libia, dove stabilendosi uno di loro ebbe origine Tarhounah. 
Altro che Romolo e Remo…
Più avanti ci immettiamo finalmente in una strada con un nome (in realtà un numero, C207), in direzione di Ghomrassen, quindi superiamo Ksar Hadada e risaliamo un costone dominato da alcuni dinosauri, a testimonianza (pensiamo), dei resti fossili che  devono esservi stati ritrovati
Qui, tra l’altro, l’uomo ha iniziato a lasciare tracce dal neolitico: poi si è un po’ fermato eh. 
Noi no e infatti proseguiamo sulla C207 fino alla C113 ed è qui che vediamo sfoggiata l’antica potenza militare della regione, nei resti di una fortificazione che domina la strada prima della fine dell’altopiano, dove attacchiamo una bella discesa, ormai nel governatorato di Medenine.

I Granai fortificati
Ancora granai e fortezze
di nuovo...
ancora...
ed ecco la discesa...
sotto di noi, il governatorato di Medenine
Improvvisamente, il mare. Avevamo visto un cartello con scritto Djerba e tutti, eccetto me, avevano già capito che ci si stava avvicinando al basso mediterraneo. 
Non io, perché pensavo si scrivesse Gerba. 
‘Cazzo ne so? (the fuck do I know?)
Gabès (قابس‎) è la nostra tappa alimentare: Molinari ha già iniziato a rompere i coglioni e vuole mangiare uno spaghetto allo scoglio (siamo in Tunisia e c’è la sabbia), il Bruno sorride sornione, la Pat è rassegnata, Angela idem e la Dodi ride come una matta. Piero  lotta con tre GPS diversi, ma ride anche lui. 
Ci fermiamo al ristorante Kaser El Baher, di cui abbiamo una piccola foto e basta: nessuna traccia su internet, nemmeno su facebook. Comunque, parcheggiamo davanti e ci facciamo una scorpacciata di pesce fresco. “Appena pescato qui”, dice il baffuto e simpatico padrone (che mi ricorda un po’ un pregiudicato di Gomorra). 
Buono eh. 
Poi scopro che Gabès è il centro di uno di quei quadrilateri chimici nei quali le specie di cancro proliferano e la maggior parte degli animali è stata sterminata. Genocidio chimico, lo chiamano gli attivisti. Chi vuole approfondire, può leggere questo articolo. Di parte, ma merita.
Parafraso Francesca Del Rosso nel suo indimenticabile "Wondy", quando appena uscita dalla chemioterapia, incontrando il suo Ken, gli disse "sei la luce dei miei occhi". Saremo tutti radioattivi, dopo il pesce di Kaser El Baher?

restaurant Kasar El Baher, Gabès
Bene. Da qui inizia la lunga strada, un po’ meno panoramica, verso Monastir, dove pernotteremo. 
Il gruppo vuole dividersi, perché S.A.R. il cancelliere Molinaren vuole raggiungere la reggia e immergersi in qualche fango termale, sorretto nel proposito dalla Pat e dall’orso Bruno, mentre Io, Angela, il prof. E la Dodi vogliamo dare un’occhiata all’anfiteatro di El Jem, nel governatorato di Mahdia.
Molinaren se ne fotte delle bellezze storiche, in primis perché Rommel le aveva già conquistate, e in secundis perché le aveva già visitate. 
Sfrecciamo per sulla A1, dopo una colossale pipì collettiva in un bar prima dell’autostrada che imbocchiamo poco dopo Gabès, e poi usciamo. 
Prima di imboccare l'autostrada (ancora in costruzione con una nota impresa italiana all'opera) attraversiamo per un centinaio di chilometri una pianura interamente coltivata ad ulivi, che si perdono a vista d'occhio in filari chilometrici.
Pazzesco.
Allora: qui anche i carnivori come noi vengono messi a dura prova. È sabato e qui si vede che è il giorno per macellare: le botteghe sono una dietro l’altra e mentre gli uomini macellano, soprattutto ovini, altre pecore stanno lì a guardare, immobili, legate per il collo al palo della veranda. 
Il sangue dei loro simili scorre sulla strada, la pelle si ammucchia e testa e arti sono lì a far bella mostra di sé. 
Crudeltà allo stato puro. 
Non ho ben capito se si tratta di macellazione rituale. Non lo so e non mi interessa: sono in un paese straniero e siccome pretendo rispetto a casa mia, ne porto per chi mi ospita. 
Ma questo sistema mi fa onco, come dicono a Livorno.
Comunque, eccoci a El Jem: due moto superstiti, mentre altre due hanno optato per la fuga.
El Jem: in città, direi che c’è solo questo da vedere, ma merita. È la copia esatta del Colosseo romano, alto 36 metri con un’arena di 65, tutto completo, tutto integro, ad eccezione di un numero imprecisato di pietre razziate qua e là per costruire un po’ di villaggio e un po’ di moschea. 
Dal 1979 è patrimonio dell’Unesco.
Si dice che i dintorni siano pieni di ville romane ancora da scoprire,  nascoste sotto la sabbia, ma mancano i soldi per gli scavi e, del resto, l'anfiteatro è al momento un'attrazione più che sufficiente a soddisfare le esigenze degli operatori turistici. 
È un peccato, ma l'anfiteatro è comunque molto bello. 
Quando arriviamo, io punto un baretto proprio davanti al monumentale teatro, ma commetto un errore madornale. E non perché la spremuta o il the non meritino (anzi…), ma perché siamo attesi in un altro bar, un pochino più indietro. 
Un bar il cui proprietario è amico del Ciocio e quindi…
Vabbé. 

L'entrata trionfale a El Jem

La Mukka in posa
Prove d'autore (1)
Prove d'autore (2) e di colore...
Lu Colusseu
Come dicevo, l’altro bar è gestito da un amico di Ciocio. Non ricordo bene l’antefatto, ma sembra che il tizio nutra un amore particolare verso il nostro anfitrione e perfino la macchina da caffè è stata portata dalla sua agenzia, NWSE In Moto Ovunque
E pare anche che il Ciocio non abbia proprio gradito l’iniziativa ammutinativa del Molinari, che poi ci ha scandalosamente abbandonati al nostro destino. 
Ma tant’è.

La macchina da caffè sponsorizzata...
La reazione del Ciocio all'ammutinamento...
Dopo qualche chiacchiera col Piero e la Dodi, le mukke riprendono la via di Monastir. 
È un viaggio problematico, ma solo sul finire, perché in prossimità della città i GPS cominciano a fare i capricci. 
I tre navigatori di Piero dicono cose diverse tra loro mentre il mio semplicemente impazzisce. 
Comunque, percorriamo una cinquantina di chilometri di autostrada e poi ci perdiamo nel nulla. 
Complice il buio, che ormai è calato in questo lembo urbanizzato d’Africa, attraversiamo un villaggio dietro l’altro, percorriamo strade sterrate e guadiamo fiumi secchi. Invertiamo la marcia quando finiamo in cortiletti privati, sorridiamo ai ragazzini e alle ragazzine che corrono sulla strada al rumore delle nostre moto e ad un certo punto, dopo l’ennesima pipì in una strada fiancheggiata da giganteschi fichi d’india, decidiamo di seguire la luce che si irradia nel cielo e che ci indica l'urbanizzazione. 
Arrivati al limitare della città, trovare le indicazioni per il Royal Thalassa Hotel non è stato affatto complicato, ma sono talmente stanco che quando il vigilante di sicurezza mi dice che non siamo attesi – “Excusez-moi monsieur, mais vous n'êtes pas attendu…” – gli rispondo dicendo che sono troppo stanco per sottostare ad uno scherzo. 
Lui mi guarda e si fa da parte, con cortese rassegnazione. 
Doccia, cambio veloce e poi scendiamo al sontuoso ristorante, dove tutti raccontano tutto, tutti mangiano tutto e dove tutti soffiano sulle candeline della torta che un nerboruto direttore di sala consegna affettuosamente a Paolo Balli, per i suoi 87 anni, portati un po’ così a dire il vero. 
I capelli iniziano a incanutirsi.
Il regalo, a parte la nostra presenza, è una maglietta con tutte le nostre firme. Una maglietta che Paolo dovrà inderogabilmente:
  1. immediatamente buttare, qualora ci sudi o decida di lavarla;
  2. conservarla in sottovuoto per sempre.

Happy birthday grandpa...
Buon compleanno nonnino!
E dopo i sontuosi festeggiamenti, i sigles del tour si connettono immediatamente su Youporn: Bruno e Roberto senza vergogna, Bernardo invece si nasconde…
Tutti non distolgono lo sguardo nemmeno per un attimo perché, complice la linea non troppo costante, i filmati osé si interrompono in continuazione... si chiama buffering...
Ma come andrà a finire?

Bruno e Roberto lottano con il buffering.
Bernardo di spalle, loving Brandi...
La spiaggia, invece, è proprio quella della Sousse, dove nel 2015 l’Isis sferrò il secondo attentato al turismo tunisino, facendo sprofondare il paese in un isolamento che ha pochi precedenti. Così, la spiaggia, oggi abbastanza sporca dopo le mareggiate dell’inverno ancora in corso, è rimasta sempre più vuota, come le tasche dello Stato che cerca di trovare il suo futuro dopo il fallimento della primavera araba.
La contraddizione è evidente nei discorsi di un medico del posto che si rifugia nel bar dell’albergo per farsi una Tennents e che pare ansioso di raccontarci di quanto “si stava meglio quando si stava peggio”, rinnovando il refrain italico del dopo-duce, nella decadenza delle strutture, nello sguardo di molti giovani e, devo dirlo, anche nella punta di rassegnazione che ho colto in molte donne, qui dove comincia il nord del paese. 
Le donne, in Tunisia, hanno la previsione di una quota rosa del 50% anche in parlamento, esattamente come in Svezia. Questa apertura al sesso debole (contraddittoria per la religione islamica) rende la Tunisia uno stato inviso al califfato, ma tanto per ribadire il concetto di contraddizione, lo ha rifornito più di altri di combattenti. Almeno settemila, si stima.


La spiaggia di Sousse
Poi in estate puliscono
Viaggi di nozze
Camera con vista
18 marzo. Verso Tunisi: copriamo in gruppo la distanza che ci separa da Tunisi, dove prendiamo alloggio al Carthage Thalassa Resort e   dove ci prepariamo alla visita di Sidi Bou Saib (سيدي بو سعيد). 
Il pranzo è rapido: qui siamo a casa di Ciocio e tutti lo conoscono. Al centro commerciale “snecchiamo” rapidi un makloub e qualche altra spiluccheria e poi via, verso La Marsa.
Sidi Bou Said, già chiamata Jebel El-Menar prima dell’arrivo del un santo musulmano Abu Said Ibn Khalef Ibn Yahia El-Beji, che qui visse studiando il Corano, trasmettendo poi i suoi insegnamenti alla moschea di Zitouna, nella vicina Tunisi. 
Il tipo scelse questo promontorio, che all’epoca tutti chiamavano Jebel El-Manar, la “montagna del fuoco” per via del faro (in realtà un grande falò) che ogni notte illuminava il golfo per le navi in transito, per viverci e qui rimase fino alla sua morte, nel 1231. 
Poi si sa come fanno gli uomini in ambito religioso: iniziano le visite alla tomba, che diventa poi un simbolo, che diventa poi un pellegrinaggio e alla fine cambia pure nome. 
Oggi, Sidi Bou Saib è profondamente diversa, cambiata dal 1920 in poi per merito di Rodolphe d’Erlanger, (barone, pittore, mecenate, musicologo e chissà quant’altro, di nascita francese ma padrone di case un po’ ovunque, anche a Ravello), che impose al paese la regola del bianco e del blu e che fece convergere qui ogni genere d’artista. Il risultato è questo…


Raimbow in Tunis
I colori pastello di Sidi Bou Saib sul golfo di Tunisi
I colori pastello di Sidi Bou Saib sul golfo di Tunisi (2)
I colori pastello di Sidi Bou Saib sul golfo di Tunisi (3)
I colori pastello di Sidi Bou Saib sul golfo di Tunisi (4)
Io e Angela arriviamo tardi, perché nel pomeriggio abbiamo fatto una giratina col Ciocio e con Roberto. Abbiamo anche preso un acquazzone fantozziano, ma facciamo in tempo ad arrivare alla “montagna di fuoco” prima che il buio cali del tutto. 
Luce splendida: quando sarò bravo a fare foto, tornerò qui.
Ci agganciamo al resto della truppa e poi torniamo in hotel per la cena, abbondante e buona. Non possiamo fare troppo tardi, perché domani Angela ha il volo di rientro di buon mattino.
Piccola carrellata di immagini e di colori e poi il consueto siparietto...

Aggiungi didascalia
Ci godiamo l'ultima brezza prima della torrida estate
Tramonto sul minareto
colors (1)
colors (2)
colors (3)
colors (4)
colors (5)
colors (6)
Linda and Danilo photograph the tunisian sunset
"Chicca" mia, con mano di Angela e idea di Linda
Chicca tutta mia...
Prima di rientrare, però, facciamo in tempo a godere appieno della prodezza di Pietropaolo! Ben sapendo della propensione locale a fare scambi, il biemmevuista entra in un bazar sfoggiando un bel paio di Adidas, usatine ma ancora buone, e le offre al tizio in cambio di un vassoio decorato dal valore inestimabile. Il quale, ovviamente, accetta, ma Pietropaolo, un attimo prima di uscire, scalzo e col vassoio incartato sottobraccio, fa notare al mercante berbero che non può tornarsene a piedi nudi. 
E così, facendo leva sulla proverbiale ospitalità locale, strappa (o scrocca, decidete voi quale verbo usare) anche un paio di ciabattine. 
Orrende, ma funzionali e, soprattutto, decisamente tipiche. Pazzesco.


Pietropaolo in azione...
Colors (7)
Colors (8)
Colors (9)
19 marzo. Festa del papa. Festa del Babbo (per me l'ultima).
Angela lascia la compagnia, insieme alla Pat, ma mentre Molinari scappa verso l’aeroporto che il sole non è ancora sbucato da levante, io e la mia bella consumiamo la sontuosa colazione dell’hotel e poi prepariamo la borsa, con tutta la calma che precede i ritardi.
Raggiungiamo l’aeroporto un attimo prima della chiusura del gate e aspetto preoccupato fuori fino a quando un poliziotto, che mi sono fatto amico facendogli credere che mi chiamo Coliandro, non mi dice che è andato tutto bene.
Tutto bene.
E in attesa del traghetto, facciamo una capatina a Cartagine (io mi carico Asia per regalarle come è giusto che sia un giro in moto), ci perdiamo nel suk tunisino, qualcuno ne approfitta per fare il pieno (la benza costa pochissimo) e per spendere gli ultimi spiccioli locali.
Bernardo, innamoratosi del racconto di Ciocio che parla di un leggendario atelier di barbieri nei pressi del porto, mangia in fretta e si fa radere di gusto, con un piacere quasi osceno, che aveva un che di pornografico, mentre i giovani "rasoisti", che hanno ricevuto il testimone dal padre, che a sua volta lo ricevette dal suo e via così fino alla notte dei tempi, posano per me con l’immancabile pollice sollevato…

Me and Asia onboard
ciò che resta di una biblioteca...
le antiche vestigia
Un antico porto romano...
Il ristorante tunisino
La zona portuale di Tunisi 
Il barbiere n. 1 con Bernardo preorgasmo e Mario che se la ride. Ma se lo acchiappano... 
Cliente ignoto con barbiere n. 2
Ci siamo.
Antenati.
Al porto, un ultimo momento in terra tunisina: Ciocio è già a casa, oltre la cortina dell’area doganale. Tutto procede e saliamo a bordo del bastimento che ci riporta indietro, verso Genova.
Terminare il racconto è la parte sempre più difficile, perché è facile cadere nella retorica. 
Faccio un esempio: mentre scrivo, oggi (26 agosto), ho i brividi, perché appena toccata terra al ritorno dal viaggio mi misi a spingere veloce per via della neve che incombeva (“burian”, atto II) e della pioggia che avrei trovato in Versilia. 
Superata la prima barriera autostradale, quella di Sampierdarena, mi lasciai sulla sinistra i giganteschi piloni del viadotto Polcevera, che oggi sono sbriciolati a terra, precipitati verso il nero dell’ignoto con 43 persone: qualcuno era sopra, qualcuno stava sotto. 
Al solo pensiero mi si accappona la pelle ed ecco fatta la retorica.
Arriviamo il 20 marzo, di sera tardi: ma io resto per un pezzo sui colori e sugli odori di una terra che non conoscevo e sulla quale abbiamo allegramente scorrazzato.
Vi prometto un supplementino, con un pensiero su ciascuno di voi, a partire dal Ciocio, al quale lo prometto ormai da anni. 
Ma con calma.

Tunisi ci saluta così...
C'è chi va e chi atterra...
Mukke (e non) pronte all'imbarco...
Ships (© Linda Ropelato)
Sunset (© Linda Ropelato)
Soprattutto, grazie alla mia dolce compagna, Leilà.

Angela è Leilà

© Lorenzo Borselli – Tutti i diritti riservati

4 commenti:

  1. rimasta colpita dalla tenerezza della foto in bianco e nero..e dalla dolcezza delle tue parole ..mi sono commossa.. ancora ora che le ho rilette!! Sei un poeta, e si.. il viaggio certo, descritto alla tua maniera, ricco di storia e di impressioni profonde.. ma l’immagine di te che scrivi il reportage mentre lo assisti amorevolmente e lo fai partecipare,per me e’poesia!! Ho vissuto una cosa simile con i miei BaMa..ti voglio bene��

    RispondiElimina
  2. Grazie Lorenzo!!! Sei grande : hai saputo esprimere a parole le emozioni che tutti noi portiamo nel cuore.
    Bravisssssssssimo
    Anche Mario mi ha detto di farti i complimenti
    Un abbraccio a te e Angela da tutti noi!

    RispondiElimina
  3. Stupendoooooooooo .. Finito di leggerlo ora! Quante risate a ricordare la nostra avventura.. Ahahahahhahah... Specialmente con Valentina e il suo... Ma ti vuoi togliere, mio dio.. Rivedo ancora la scena ahahahahahahahaha.. Notte a tutti e un saluto!

    RispondiElimina

Dì pure quello che vuoi. Pensa, quello che vuoi. Solo, non essere offensivo...