"I due giorni più importanti della tua vita sono
il giorno in cui nasci e il giorno in cui scopri il perché..."
Mark Twain
Eccomi di nuovo qui. Ce l'ho fatta anche stavolta e, presto, scoprirò che ce l'ho fatta proprio per un pelo.
Sono monotono, lo so. Ma scrivo per me, non certo per fare audience o per collezionare qualche like. Di riffa o di raffa, agguanto al volo ciò che la vita, e la strada che percorro nel viverla, può offrirmi. quando ho scattato la foto qua sopra, era il 13 febbraio 2020, un giovedì.
Erano le 16:36 e mi trovavo nel territorio di Villalba de Duero, un villaggio sperduto della campagna castigliana, a 1.255 chilometri, in linea d'aria, dal tavolo in giardino di casa mia.
Se volessi partire e tornare adesso in quel preciso punto, non potrei, perché siamo tutti confinati nei luoghi in cui ci viviamo.
Questo, credetemi, è quanto di più frustrante possa accadere a un motociclista. Lei, la moto, se ne sta chiusa in garage: oggi il sole è pallido, ma la temperatura sarebbe stata perfetta.
L'isolamento forzato, il silenzio esploso sulle strade e nei cieli del mondo, mi ha permesso di mettermi in pari con il diario dei miei pellegrinaggi. Gli ultimi, tutti in Spagna o con i miei fratelli spagnoli. In attesa di tempi migliori, dunque, tengo il telefono in mano e scorro la galleria delle immagini. Di ognuna guardo il giorno, l'ora e il luogo in cui l'ho scattata. E così farò per tutto questo ennesimo viaggio in Castilla y Leòn. Foto per foto, giorno per giorno, ora per ora, luogo per luogo.
E per aiutarmi, un piccolo promemoria video...
Vamos.
Foto n. 1: "Al Donnini"
Calenzano, 11 febbraio, ore 16:34. La foto l'ha scattata quella diavola della zia Renza, neofita dello smartphone grazie alla lodevole iniziativa del primo dei due nipoti. Siamo in piazza del comune, che secondo la toponomastica locale si chiama in realtà "piazza Vittorio Veneto". Il sottoscritto e Rino, suo fratello siculo-subalpino, posano già pronti per la partenza in quella che è una delle classiche foto di rito al Donnini, nome che la frazione più centrale assume per gli indigeni calenzanesi. Siamo reduci da un filetto al sangue mangiato a Bruscoli, al ristorante "L'Appennino", dalla prima sudata del giorno (e infatti ho già cambiato la maglietta) e dal primo colossale rischio, avendo il demente che scrive dimenticato, alla partenza, la chiave della moto nel case laterale. Ma stavolta Dio è con noi. Ah: sono così magro, per i miei standard, che sono riuscito a mettere i pantaloni che avevo comprato nel 1997. Sotto la giacca, che non riuscivo più a indossare con gusto da una decina d'anni, ho anche l'Airbag.
Foto n. 2: "Il Vecchio"
Montblanc (Catalogna), 13 febbraio, ore 09:46. L'uomo raffigurato nell'immagine soprastante è Gianni. Scontroso, introverso, vecchio, attaccabrighe, famelico, polemico. La ridda di aggettivi ed epiteti che lo definiscono, è immensa. Pensate che per scattargli una foto ho dovuto attendere giorni, tanto da dover saltare dalla via Aurelia, da dove cioè dovrò ricominciare più avanti, all'autopista A-2 del "Nordeste". L'uomo, più volte invitato nel corso degli anni, tanto dall'aver rinunciato a farlo già da tempo, ha fatto squillare il mio telefono in un pomeriggio di metà gennaio. Pochi convenevoli, come al solito:
Gianni: "oh, che vai quest'anno?"
Io: "sì, perché?"
Gianni: "Veng'anch'io, click".
Io: "Pronto? Pronto?".
Eccolo qua.
Qui sorride, ma è un caso.
Da ricordare, ai posteri, l'hamburger ingollato in un boccone a Civitavecchia, prima dell'imbarco, e il dubbio amletico del perché scompariva puntualmente dai retrovisori.
Dubbio al quale non ho ancora saputo trovare una risposta. Un'idea, ce l'ho. Vedremo se ho voglia di raccontarvela.
Dubbio al quale non ho ancora saputo trovare una risposta. Un'idea, ce l'ho. Vedremo se ho voglia di raccontarvela.
Foto n. 3: "La sfuocata"
Tarquinia, 11 febbraio, ore 19:50. L'A12, una delle autostrade più illogiche e deserte d'Italia, sta per finire. Ne approfittiamo per idratarci e per "...fare un po' d'acqua..." (indovinate chi usa questa figura retorica). Entro due ore saremo a bordo e il viaggio, finalmente, prenderà la via del mare. Normalmente, questo coincide con una delle due parti essenziali: la preparazione, che gli anglosassoni direbbero il briefing. Parliamo di cosa vedremo, delle strade che percorreremo, di come funziona il raduno e di tutto quello che ci viene in mente. Mi piace molto stare in barca, almeno fino al pranzo del giorno successivo... Poi la rottura di coglioni prende il sopravvento.
Foto n. 4: "il tappo"
Mar Ligure, coordinate imprecisate, 12 febbraio, ore 14:11. Un uomo troppo piccolo, un altro troppo alto. Sembra l'inizio della sceneggiatura de "L'imbalsamatore", pellicola di Matteo Garrone. Per fortuna (almeno per Gianni, visto il tema del film), le cose non stanno così. Gianni cercava di capire perché, solo a bordo delle navi, puoi trovare una bottiglia di caffellatte, e perché, sempre e solo a bordo di un traghetto, certe cose così strane costano anche così tanto. L'altro, invece, stava cercando con ogni probabilità il suo futuro nel fondo di un caffè. E di capire perché, dal canto suo, solo a bordo delle navi, fanno caffè così cattivi, e perché, sempre e solo a bordo di un traghetto, costano anche così tanto. Eppure sono tutti napoletani e il caffè dovrebbero saperlo fare bene no?
D'altronde, prova a chiedere a Napoli una bottiglia di caffellatte per vedere cosa ti dicono... (come minimo, 'nzallanuto)...
D'altronde, prova a chiedere a Napoli una bottiglia di caffellatte per vedere cosa ti dicono... (come minimo, 'nzallanuto)...
Foto n. 5: "tierra!"
Mare delle Baleari, in vista di Barcellona, 12 febbraio, ore 19:11. Ci siamo. La rompitura di coglioni aumenta, perché quanto una nave vada piano, te ne accorgi solo quando inizi a vedere la meta.
Una nave veloce, come quella su cui stiamo, viaggia a circa 26/27 nodi. Il che equivale a poco meno di 50 chilometri orari. Una grandissima scassatura di cabasisi. Quando inizi a vedere terra, è come un preliminare d'amore. C'è da diventare scemi, ammesso poi che te la dia. Alla fine abbiamo ancora un'ora abbondante, prima della manovra d'attracco e dello sbarco.
Nel frattempo, ci hanno già sfrattato dalle cabine da almeno due ore e siamo già intabarrati da moto. Io fumo, Rino parla con le bimbe, Gianni litiga con un boccaporto e gli dice di chiudere la bocca.
Il crescendo dell'ansia raggiunge il culmine quando puoi scendere in garage e inizi il rito, frettoloso, dello scioglimento delle corde, seguito dall'allestimento delle borse, dalla calzata del casco e dalle bestemmie che ti scappano quando devi mettere i guanti, perché al momento in cui lo fai ti accorgi che le tue mani sono più sporche di un bastone da pollaio.
Ma quando accendi il motore, ecco l'orgasmo.
Una nave veloce, come quella su cui stiamo, viaggia a circa 26/27 nodi. Il che equivale a poco meno di 50 chilometri orari. Una grandissima scassatura di cabasisi. Quando inizi a vedere terra, è come un preliminare d'amore. C'è da diventare scemi, ammesso poi che te la dia. Alla fine abbiamo ancora un'ora abbondante, prima della manovra d'attracco e dello sbarco.
Nel frattempo, ci hanno già sfrattato dalle cabine da almeno due ore e siamo già intabarrati da moto. Io fumo, Rino parla con le bimbe, Gianni litiga con un boccaporto e gli dice di chiudere la bocca.
Il crescendo dell'ansia raggiunge il culmine quando puoi scendere in garage e inizi il rito, frettoloso, dello scioglimento delle corde, seguito dall'allestimento delle borse, dalla calzata del casco e dalle bestemmie che ti scappano quando devi mettere i guanti, perché al momento in cui lo fai ti accorgi che le tue mani sono più sporche di un bastone da pollaio.
Ma quando accendi il motore, ecco l'orgasmo.
L'uscita dal porto è una gimcana, i cinquecento semafori un calcio nei coglioni (uno per ogni semaforo, puntualmente rosso), l'errore seriale che commetto al solito punto per imboccare il controviale dell'albergo rappresenta la realizzazione paradigmatica della legge di Murphy, quel fottuto paradosso pseudo-scientifico che porta una cosa ad andare sicuramente storta.
Ma la paella ci aspetta. E questo è un fatto.
Foto n. 6: "La Paella"
Barcellona, 12 febbraio, ore 21:53. Dopo la doccia, dopo le chiacchiere col portiere dell'albergo, con cui ormai parlo di tutto da anni, ubbidiamo alla regola dell'anziano, che deve fare "i passi" per tenere sotto controllo la pressione e la circolazione sanguigna delle sue vene varicose.
Attraversiamo la piazza di Catalogna, maestosa, sfiorando la testa della Rambla, e ci infiliamo in un ristorantino turistico. Troppa fame e poco tempo. Ordiniamo una paella de mariscos a testa e, come di consueto, passa una mezz'oretta prima che arrivi.
Il tempo di farmi fare una foto da Rino, senza dar peso ad alcuni fastidiosi ma rapidissimi rumori che arrivano dalla mia sinistra, ed ecco che vedo Gianni: ha già finito! Ha aspirato, letteralmente, la paella gemella della mia in meno di dieci secondi. E non era solo tanta: era rovente. Finito.
Attraversiamo la piazza di Catalogna, maestosa, sfiorando la testa della Rambla, e ci infiliamo in un ristorantino turistico. Troppa fame e poco tempo. Ordiniamo una paella de mariscos a testa e, come di consueto, passa una mezz'oretta prima che arrivi.
Il tempo di farmi fare una foto da Rino, senza dar peso ad alcuni fastidiosi ma rapidissimi rumori che arrivano dalla mia sinistra, ed ecco che vedo Gianni: ha già finito! Ha aspirato, letteralmente, la paella gemella della mia in meno di dieci secondi. E non era solo tanta: era rovente. Finito.
"sì, sì, bona...".
Lucia, ma glielo dai da mangiare???
Usciamo, facciamo i passi e andiamo a letto.
Foto n. 7: "El destino"
Cosa sono le aspettative? Direi che sono delle supposizioni relative a ciò che pensiamo debba essere, in base anche a ciò che abbiamo vissuto. La mia aspettativa, per domani, è quella di fare tanta strada. Mi addormento pensando a dove mangerò, a dove farò benzina, a cosa dirò quando incontrerò i ragazzi. Intanto mando loro le foto, racconto cosa facciamo, spiego loro la strada, dò un idea dell'orario di arrivo. I Tempanos ci aspettano, a Palencia. In linea d'aria, più o meno, sono 560 chilometri, ma io la faccio difficile, come sempre. Infuria la battaglia sul remoto pianeta di Hoth e la Morte Nera ha cambiato colore. I rinforzi per il lato oscuro sono italiani e stanno arrivando... Grazie a Joseburg e alla sua passione per Photoshop!!!
Foto n. 8: "Matalebreras"
Matalebreras, 13 febbraio, ore 13:33. L'ho già scritto: il mio viaggio comincia sempre qui. E' qui, cioè, che mi si aprono i polmoni, e accade sempre quando lasciamo la pianura di Saragozza e superiamo la città di Tarazona. Fatti un paio di tornanti, gli ultimi, sulla sinistra si staglia la sagoma inconfondibile e grandiosa del Moncayo, la vetta più alta della cordigliera iberica. All'intersezione tra la N-122 e la SO-380, c'è quel cartello. Qui lasciamo l'Aragona ed entriamo in Castiglia e Leone, qui comincia spiritualmente, o, almeno, idealmente, il mio viaggio. Da qui in poi ricordo ogni singola buca, ogni singolo albero. Entrando nelle locande, mi è familiare il viso di chi mi spilla una birra, di chi mi serve un pincho o una tortilla; ne ricordo perfino la voce e se credessi nella reincarnazione non avrei dubbi.
Sono a casa.
Sono a casa.
Foto n. 9: "la comida de Cadosa"
Soria, 13 febbraio, ore 14:40. Se vuoi mangiare una tortilla gustosa, berti una cervecita descansante, riscaldarti un po' budella e ossa, devi fermarti qui. Io lo faccio sempre. La signora non mi riconosce mai, ma del resto questo è un crocevia di pellegrini. E' proprio il bivio del viaggio, perché al ritorno è qui che svolto per entrare in Aragona da sud-ovest: è qui che parcheggio per la pipì, è qui che mi ferma spesso la Guardia Civil, è qui che saluto il Moncayo al ritorno. All'andata, il sole comincia a calare e te lo fa proprio in fronte. Se sei fortunato, se il cielo è bello limpido, hai davanti a te, all'estremo orizzonte, la comarca della montagna Palentina, con le sue cime spesso innevate. Proprio la ruta de Los Pantanos che andiamo a fare noi...
La faccia sorridente di Gianni è l'equivalente delle fatidiche 5 stelle su Tripadvisor. Ha ingoiato un paio di tortillas, ha tracannato un litro d'acqua naturale, aspirato un caffè "solo" e ha cambiato pure l'acqua al merlo.
Foto n. 10: "Tommaso"
Gumiel de Mercado, 13 febbraio, ore 16:37:11. Perché un giorno mi sia venuto in mente di chiamarlo Tommaso, proprio non lo so. Tommaso è un amico d'altri tempi e se dovessi tornare sul discorso della reincarnazione, penso che sia stato mio babbo o mio fratello. Di sicuro mi vuole bene: senza tornare sul discorso gay del film di Matteo Garrone, credo che mi ami e vi assicuro che il sentimento è completamente ricambiato. Ci lega un passato di quasi trent'anni di amicizia e un qualcosa di esotericamente cabalistico che non so definire. Ci legano date tremende, che normalmente separano per la paura dell'occulto che quasi tutti hanno. Non noi. Qui mi sorpassa spensierato sulla dritta di Gubiel de Mercado, strada CL-619, più o meno dove lo aveva fatto anche l'anno prima. Brontola, s'incazza, sgassa. Se potessi tornare indietro, al 19 dicembre 1998, non caricherei nuovamente la mia punto bianca.
Foto n. 11: Il vecchio (2)
Gumiel de Mercado, 13 febbraio, ore 16:37:23. A maggio 2001 conobbi Gianni Buonomo. Ero un giovane sottufficiale, appena promosso detective. Ho imparato da lui che la pistola si porta a pelle, che la macchina può saltare e atterrare senza rompersi, che per fare gli appostamenti non è sempre necessario nascondersi (anzi) e che nel dubbio è sempre meglio agire per primi. Ci sono delle cose che di lui non saprò mai, alcune che non capirò mai del tutto, ma non me ne frega niente. Non pensavo nemmeno che bestemmiasse, fino a quando non gli è caduto il casco. Lì, tutti i santi del calendario hanno promosso una class-action innanzi all'Altissimo per vilipendio alla santità.
Foto n. 12: prima cena
Valladolid, 13 febbraio, ore 21:47. Stanchi morti, esausti per gli 800 chilometri fatti in sella, con una temperatura che pian piano ci ha penetrato l'artico nelle giunture, ma assolutamente non domi, ci concediamo solo una bella doccia e torniamo in sella di nuovo. Da Palencia andiamo a Valladolid e io lo faccio solo per rivedere un amico che non vedevo da molto tempo. Anni. L'amico è Nando, il primo da sinistra. Già il tono di voce con cui gli spagnoli parlano, è diverso: più lento, più scandito, teatrale nel labiale, limpido e proiettato in maniera inconfondibile: ma quello di Nando è qualcosa di ancora più particolare. Mi ha promesso che l'anno prossimo verrà lui a trovarmi, a Palencia. E io ci conto. Poi c'è Miguel, che ho visto anche l'anno passato, Joseburg, che vedo ogni anno, e infine Paco, che lo scorso anno è stato con me sulle Dolomiti. Considero tutti miei fratelli.
E la cena, grandiosa.
E la cena, grandiosa.
foto n. 13: la reunión
Palencia, 14 febbraio, ore 00:47. L'anziano che vedete raffigurato nella seconda persona da sinistra, sperava, dopo la cena iberica di Valladolid, di andare subito a letto. Eh no, cazzo!!! Qui non si dorme. Puoi far piano quanto ti pare, puoi camminare in punta di piedi quanto vuoi, ma non puoi pensare di passare inosservato, soprattutto se percorri, nel cuore della notte, il Calle Mayor di Palencia mentre è in corso la "concentraciòn". E finalmente, dopo aver abbracciato fortissimo l'Oscura Luz, baciato appassionatamente Pilis e abbracciato Manolo, conosco Josiño, sergente istruttore dell'Armada. Una specie di Rambo iberico, che dopo avermi stretto la mano mi accompagna al pronto soccorso per le radiografie. Ovviamente, la branda ha dovuto attendere e il Gin-Lemon ha preso il sopravvento.
Ah: Josiño è il marito di Luz!
Foto n. 14: la paura del buio di Chupy
Palencia, "The lemon society", ore 00:48. Si dice che i segreti non esistano, nella società moderna. Si dice che le parole, e le immagini, corrano velocissime ora che il cielo è pieno di ripetitori radio che trasmettono flussi di dati e metadati, di immagini e messaggi vocali. La conferma arriva un minuto dopo aver postato la foto n. 13 nel gruppo whatsapp. La voce di Chupy risuona potente nella notte palentina. In Italia avrebbe suonato più o meno così: "ANDIAMO CAZZOOOOOOOO!!!"
Però Chupy è un bugiardo. Non è solo: dietro di lui c'è un Gin-Lemon de puta madre...
Foto n. 16: collages di chupitos
Palencia, 14 febbraio, ore 23:21 (e seguenti). Come potete notare, l'ultima foto è sfocata. E' la rappresentazione dell'effetto del cosiddetto "chupito", la variante spagnola dello shottino. Qui parlano come mangiano, ma mentre mangiano, ogni tanto, c'è qualcuno che si alza e invece di dire "viva gli sposi!!!" grida "CHUPITOOOOOO!!!".
Chi si alza, è perduto.
Le anime nere dei miei chupiti spagnoli sono quella carogna di Josè e il quel moicano di Ivan. A fine cena, l'astemio che è in me tenta sempre di uccidermi.
E, a proposito di Josè...
Chi si alza, è perduto.
Le anime nere dei miei chupiti spagnoli sono quella carogna di Josè e il quel moicano di Ivan. A fine cena, l'astemio che è in me tenta sempre di uccidermi.
E, a proposito di Josè...
Foto n. 17: Il mio amico "Cañi"
Palencia, 14 febbraio, ore 12:29. Quasi dimenticavo. Tengo molto a questa foto. In genere noi motociclisti immortaliamo paesaggi, sempre con il cavallo di ferro presente in una qualche parte dell'inquadratura. Riprendiamo i piatti delle locande, le pinte di birra, fanciulle graziose. Ma il calore che mi dà questa foto è immenso, molto di più delle grappe (o, comunque, dei superalcolici che mi tocca trangugiare in Spagna). Qué es la amistàd? Ya te lo dico. Es hacerse 3.000 kilòmetros para darse un abrazo, beberse una copa y hacerse una fecha en algùn lugar del mundo...
Foto n. 18: il padrone di casa
Palencia, 15 febbraio, ore 22:33. Lo so, vado un po' avanti e un po' indietro coi giorni e con le ore. Tengo molto anche a questa, di foto. E non c'è molto da dire. Chupy è una colonna della mia vita, esattamente come Josè e come Paco. Noi scherziamo, ci affidiamo al "lato oscuro", ma il sentimento che lega me ai miei fratelli spagnoli è quanto di più puro e chiaro possa esistere. Chupy in realtà non è sempre stato spagnolo. In un'altra vita galoppava sul suo cavallo sulle strade bianche delle colline tra Siena e il mare. Col tempo gli assomiglio sempre di più: guardate come sono magro. Sono chupiño anch'io...
Foto n. 19: il traguardo
Mirador Alto de la Varda, 15 febbraio, ore 13:32. Se il Moncayo segna il punto di partenza del mio viaggio ideale, e il suo punto di ritorno, questo è il traguardo. Siamo sulla ruta de Los Pantanos, sulla montagna palentina. La foto sarebbe perfetta se, insieme a noi, ci fossero anche Chupy e Cañi, ma purtroppo non si può avere tutto. Allora, da sinistra: io, Josiño, Luz, Rino e Gianni, con sotto Paco e Joseburg. Ecco, così sono contento. Il mio gruppo fisso sono loro. Sono loro che ispirano il tempo dell'anno che mi divide da questo viaggio. Quando qualcuno mi chiede "dove vorresti essere ora?", io rispondo "qui, con loro". Il mio sogno è andarci con Angela, magari in estate, e passare una settimana di quelle calienti, passando magari per La Coruña... Vedremo...
Foto n. 20: Carlos
Mirador Alto de la Varda, 15 febbraio, ore 13:47. Anche questa merita. C'è del sangue italiano in questo colosso. Gabino è una vecchia conoscenza, mia e di Oscar. L'ho rincontrato qui dopo cinque o sei anni dall'ultima volta che l'avevo visto. Quella sera aveva una gonna scozzese e nonostante il freddo di gennaio, sembrava un termosifone. Le vite scorrono parallele, spesso senza toccarsi mai. Le nostre, ogni tanto, lo fanno. Grande "Caracciolo", y recuerda qué es prohibido rendirse...
Foto n. 21: "Nata"
Camporreondo de Alba, 15 febbraio, ore 14:20. Dopo il desayuno ad Alguilar do Campoo, il gruppo prova a stare unito, ma, complice anche quel "cabroncito" di Luis Pablo, gli smanettoni cominciano a risalire le fila e, alla fine, prendono il largo verso la montagna. Così, passato Santibañez de Resoba, lungo la P-210, siamo già sfaldati. Confesso che a un certo punto mi sono fermato anche ad aspettare Savino, ma poi mi sono ricordato che quest'anno non è venuto. Sai mai... Fatto sta che al Mirador Alto de la Varda, arriviamo in ordine sparso. Fatta la foto, io e Rino ci diamo un po' da dare e arriviamo a Camporreondo de Alba, dove avevamo mangiato qualche anno prima e dove noto la Black-Hawk del Chupy in sosta. Mi fermo e bevo una coca zero... Non inganni la foto: il calice che tengo imperiosamente in mano è del Cañi, e lo tengo in temporanea custodia. Con noi c'è anche Nata: studiamo tutti e due per qualcosa, lei per un concorso, io per finire l'università. Conosco Nata dal 2010 ed è una delle persone per me più care. Volevo solo dirglielo. Però, dovrà imparare l'italiano o affidarsi a qualche traduttore on line!
Foto n. 22: de viatorum ritus
Palencia, 15 febbraio, ore 18:18. E niente. Siccome avevamo fatto benzina qui anche l'anno scorso, abbiamo deciso di farlo di nuovo. Non so come mai, credo si tratti di qualcosa di ancestrale che abbiamo dentro. Del resto, anche gli antichi erano soliti effettuare i propri riti in forma sempre più complessa, ripetitiva, di un formalismo esasperato. Perché, è questa la sensazione, se fai qualcosa di diverso, tutto andrà storto. Sarà vero? Sì, no, non so. Forse.
Foto n. 23: Lobo y Mariano
Palencia, 16 febbraio, ore 00:10. Ci siamo. Cominciano i saluti. E' già domenica, e la domenica io parto. In mezzo a me e Mariano c'è lo sceriffo Lobo, un grand'uomo de La Coruña. Lui non manca mai, come del resto Mariano, il grande amico che qui ha l'occhio un po' smorto, complice qualche chupito di troppo. Quanti chupiti ci siamo fatti, Mariano? 15? 100?
Mariano?
Mariano?
Dove sia finito, non lo so, ma so che va in giro col mio cappello!!!
Foto n. 24: "le tre grazie"
Palencia, 16 febbraio, ora imprecisata. Uno dei più talentuosi artisti del Neoclassicismo, Antonio Canova, portò a termine, nel 1816, su commissione della prima moglie di Napoleone, Giuseppina de Beauharnais, le Tre Grazie. I Tempanos che vedete qui raffigurati, sono un'opera d'arte ancora migliore, decisamente più bella, più ricca di significato. Superiore anche all'opera di Raffaello Sanzio, cui il Canova si era ispirato. Da sinistra, Ivan, un oscurissimo Genaro e Luis Pablo, intenti a contemplare una coppa di nettare divino. Non so chi abbia scattato questa foto, ma ho pensato di intitolarla così proprio in onore dei grandissimi artisti italiani. Signore e signori, ecco a voi "Le Tre Grazie": Grazia, Graziella, e Grazie al Cazzoooooo!!!
Foto n. 25: Perico
Palencia, 15 febbraio, ore 22:50. Torno un attimo indietro: questa è stata la gita delle scarpe! Pedro Vian Gutiérrez, che mi sta accanto in questo momento di grande gioia, mi ha appena consegnato un paio di scarpe NothFace, vinte alla lotteria! Alla fine, le ho usate tutto il resto dell'inverno. M la foto mi serve per ringraziare questo spettacolare esemplare di poliziotto palentino, che ogni anno, col Chupy, ci regala questi momenti pazzeschi. L'unico consiglio che mi sento di dare, proprio a Chupy, è semplice: togliete il microfono a Perico!!!
Foto n. 26: la Felicità di Monica e quella di Pequeño Dani
Palencia, 16 febbraio, ora imprecisata. Attenzione! Qui non si è capito bene se:
- Monica è scappata felice in moto e Dani (il primo da sinistra) ha deciso di manifestarsi;
- Dani ha deciso di manifestarsi e Monica è scappata felice in moto.
Ai posteri, l'ardua sentenza...
Foto n. 27: Angelillo
Palencia, "The Lemon Society", ora imprecisata. Ho già abbracciato tutti, mancava solo lui. Angelillo, gran pilota, militare tutto d'un pezzo, cuore immenso, moglie bellissima e figlio discolo. Anche lui è della batteria, anche se quest'anno ha mancato gli appuntamenti in moto, presentandosi, però, in macchina ovunque noi ci fossimo fermati. Non poteva mancare un selfie con lui.
Il ritorno
Ecco, qui comincia il ritorno. Per me ha sempre il sapore di una camminata solitaria, visto che gli altri italiani se ne vanno a letto sempre prima di me. Cammino per Palencia per una mezzoretta, un po' alticcio forse. Mezz'ora di tempo per pensare al tempo, al fatto che ora comincia un anno di attesa per tornare qui un'altra volta. Magari a gennaio, forse di nuovo a febbraio. In estate? Chissà.
So solo che proprio quando suona la mia sveglia, Josè entra in camera e crolla sul letto.
Foto n. 28: Plaza de Toros
Ribera de Duero, 16 febbraio, ore 11:34. Poche ore dopo essere andato a letto, mi sveglio già in moto. L'ultimo "hermano" che ho visto, è stato il Cañi, che è entrato in camera quando io mi stavo lavando i denti. Il tempo di caricare la moto e via. Prima di arrivare a Soria, entriamo dentro Ribera de Duero e decido di parcheggiare proprio davanti al simbolo stesso della terra in cui siamo. La Plaza de Toros. Gianni sbuffa un po', perché invecchiando si è scoperto animalista. Infatti sia io che Rino abbiamo visto quanto sia dura la vita del vegano. Ingoia anche gli ossi e nel brodo di gallina, ci infila anche le penne. Qui prendiamo un caffettino e prepariamo il nostro stomaco, provato (soprattutto il mio) da tre giorni e tre notti di bagordi superalcolici, a qualcosa di solido.
Foto n. 29: verso l'infinito e oltre
Alconaba, 16 febbraio, ore 15:28. Archiviata la pausa pranzo, Rino comincia ad agitarsi sulla moto. Vuole una foto, pretende di essere immortalato, esige che l'immagine sia degna del Pulitzer. Così, mi tocca togliermi i guanti, sistemare il cruise control (cosa che lui non può fare, perché non ce l'ha...), impostare una velocità tale che l'avvicinamento alle sue terga sia il più dolce possibile, tenere bene in vista il display togliendo lo sguardo dalla strada e, alla fine, scattare quante più foto possibili. Il risultato è stato duplicemente positivo: la foto è venuta benissimo; ho scoperto che il mio piccolo amico Rino in realtà è Buzz Lighthear.
Infatti, dopo aver aperto le braccia, ha gridato verso l'infinito e oltreeeee!!!, ha acceso un razzo dal culo, ed è volato via...
Foto n. 30: uno specchio di cielo
Almenar de Soria, 16 febbraio, ore 15:38. Come potete vedere, nello specchio c'è uno solo. C'è solo Buzz Lighthear. Dove sia finito lo sceriffo Woody, nessuno lo sa...
Foto n. 31: sulla strada di Goya, Gianni non s'annoia
Fuendetodos, 16 febbraio, ore 17:43. Il sole comincia a trasformare le colline in dipinti struggenti. Identici allo stile del Goya, che nacque proprio dopo quella curva, nel 1746, e mi piace pensare, ogni volta che passo da qui, che furono proprio le luci di questo territorio, la sua asprezza, a mescolargli in testa le influenze del romanticismo e quelle neoclassiche. Non si resta indifferenti a questo luogo, tanto che dopo aver valicato il crinale che c'è là in fondo, dove Rino mi ha scattato una delle foto più belle che io abbia mai avuto, capisci di aver voltato un'altra pagina della tua storia.
Hasta luego Francisco.
Foto n. 32: "Gas"
Fuendetodos, 16 febbraio, ore 17:48. Quando spegni il motore della moto, c'è sempre un piccolo sussulto che aumenta i giri per una frazione di secondo. Poi c'è il silenzio assoluto, nelle orecchie e nel corpo. E' questione di un attimo ma se sei fortunato, se fai in tempo a trovare un punto nel quale fermarti e restare immobile, nel momento esatto in cui il motore smette di girare, puoi ascoltare solo ciò che i tuoi occhi vedono. Francisco Goya è nato proprio dietro di me ed era sordo, ma sentiva benissimo questo paesaggio.
E lo dipinse.
Rino dipinge il suo col mio iPhone, al km 41 della A-220. E' facile.
Foto n. 33: Fratelli
Tortosa, 16 febbraio, ore 21:29. I due ricchioni si sono incontrati di nuovo. Più magri, più vecchi, ma sempre ricchioni. Siamo arrivati a Tortosa, sul delta dell'Ebro, a velocità fotonica, raggiunta quando, avuta ormai certezza che avevo sbagliato strada, ho impresso alla coppia di viaggiatori bicilindrizzati la consegna della rapidità. Eccomi Julian, ci sono di nuovo...
Foto n. 34: de viatorum ritus (2)
Barcellona, 17 febbraio, ore 17:40. L'infinità dei semafori barcellonesi trasforma il ritorno nella città di Gaudì in una via crucis, aumentata all'ennesima potenza dal pensiero di doversi nuovamente sobbarcare 24 ore di nave. Stavolta, però, riusciamo ad essere in anticipo rispetto al solito. Al mattino, prima di partire, la solita colazione a Tortosa e solo quando stavamo ripercorrendo l'Ebro a ritroso, per farci la montagna del Montserrat, mi ero accorto di aver mancato un altro rito: la foto a casa Gaton. Eh sì, caro Julian: stavolta abbiamo toppato. E tornando ai riti, a quella necessità di rifare sempre tutto uguale, qui mi arriva l'illuminazione. L'anno prossimo, via terra. Perché alla fine, la moto ha le ruote, non l'elica, anche se la BMW un'elichina in fondo ce l'ha.
L'unico vantaggio è che in questo modo c'è tempo per la famosa seconda parte essenziale di un viaggio: il debriefing...
E mentre l'elichina spinge la nave verso l'est del mar ligure, facciamo un paio di chiacchiere. Le ultime.
Quindi:
Foto n. 35: tutti al completo
Palencia, 15 febbraio, ore 14:57. E' impossibile, anche per me, parlare di tutti e pubblicare le foto di ogni singolo amico. Qui, davanti alla caserma della Polizia Locale, dovrebbero esserci tutti. Qui è prima della ruta de Los Pantanos, l'unico momento in cui siamo fraternamente attenti a guardare in un solo punto del telefono del Chupy, in mano a un suo collega ritualmente chiamato. C'è poi un altro momento, in genere alla fine della cena del sabato (quindi oggi), in cui ciascuno saluta l'altro, E poi, visto che coi riti abbiamo dimestichezza, ci sono i messaggini e le foto di tutti i Tempanos, via via che arrivano a casa. Anche quelli più lontani, come noi.
Ma c'è un Tempanos che vorrei ricordare.
Foto n. 36: El Tempano mas cercano
Palencia, 19 febbraio 2017, ore 11:32. Non c'è bisogno che vada a ripescare il calendario 2017 per sapere che il 19 febbraio era domenica. Tomas e Ana li ho salutati la sera prima e ci eravamo dati appuntamento per l'anno dopo.
Così non è stato.
Penso che se io sono il Tempano più lontano di tutti, Tomas è quello che a tutti è ora più vicino...
Le lacrime e la commozione del Chupy, sono quelle di tutti noi...
Foto n. 37: "il regalo di Tomas"
Civitavecchia, 21 febbraio 2017, ore 17:36. Tan pronto como llegué al puerto de Civitavecchia, saludé a los Tempanos con una foto mía. Con un parche particular en la chaqueta, que Tomas me había dado.
Ese parche siempre está conmigo.
Si Ana lee estas palabras, espero que pueda entenderlas. ❤ ❤ ❤
Foto n. 39: I miei amici
"I miei amici veri, purtroppo o per fortuna,
non sono vagabondi o abbaialuna.
Per fortuna o purtroppo, ci tengono alla faccia,
quasi nessuno batte, o fa il magnaccia."
Grazie ragazzi, siete stati fantastici.
Ah, per quella storia di Gianni che scompariva dai retrovisori... Non ho voglia di raccontarvela...
Foto n. 39: il ritorno, è solo un pensiero.
Alconaba, 16 febbraio, ore16:29. Il titolo equivale alla didascalia: il ritorno, è solo un pensiero.
© Lorenzo Borselli - Tutti i diritti riservati
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