"...La paura e il coraggio di vivere come
un peso che ognuno ha portato. La paura e il coraggio di dire io
ho sempre tentato..."
Francesco Guccini - "E un giorno" - 2000
Transalpina, almost at the top |
Il 19 settembre 2014 siamo soli. Ci siamo svegliati, a Sibiu, inaspettatamente bellissima.
Sibiu è tante cose: è una gemma dell'Europa d'inizio secolo, centro culturale e commerciale di tutta la Transilvania, capitale europea della cultura nel 2007 assieme a Lussemburgo.
Dopo aver cenato insieme a Oscar e Ariela all'ottimo Crama Sibiana, dove il brother ha azzannato uno stinco, lasciando al cameriere un osso pulitissimo, e copio aver dormito all'hotel Villa Weidner, che in pieno centro dà ospitalità al pellegrino portando il nome di uno storico sindaco della città, nota anche come Hermannstadt, ci siamo addormentati stanchissimi, con in testa un solo interrogativo: e domani? Se solo avessimo saputo cosa ci aspettava...
Il domani arriva presto e dopo una colazione frugale, ci dedichiamo a una visita rapida della città che ci ha ospitato.
Le prime cronache dicono che sia nata nel 1190 per volere dei sassoni di Transilvania sul quadrato di un castro romano chiamato Caedonia e da allora è diventata l'avamposto europeo in oriente: la prima città romena a dotarsi di energia elettrica, sul finire dell'800 e anche la prima che, esattamente un secolo prima, nel 1797, vide nascere il primo ambulatorio omeopatico del pianeta.
Ma non è tutto: nel 1904, Sibiu fu la seconda città d'Europa ad avere una linea di tram elettrico e nel 1551 si tennero proprio nei suoi laboratori i primi esperimenti sui razzi da parte dell'ingegnere militare austriaco Conrad Haas.
Inoltre, proprio in questa città ha sede la famosa Atlassib, la compagnia di trasporto pubblico che garantisce ai tantissimi emigranti un collegamento con la propria patria.
Forte è stata l'influenza tedesca, rimasti una componente importante della comunità cittadina fino all'avvento del comunismo, dopo la seconda guerra mondiale. Che sia stata germanica, si vede.
Piaţa Mare (Piazza Grande) e, in fondo, il palazzo comunale |
Il palazzo Brukenthal, in pieno stile barocco, residenza di Samuel von Brukenthal, governatore della Transilvania e sede del Museo Nazionale |
La Casa Blu, construita nel XVIII secolo e che sull'abbaino centrale ospita il simbolo della città |
scorci... |
E poi, si parte. Il mio navigatore, un Garmin nüvi 1440, aveva già fatto i capricci ieri, ignorando - nonostante l'aggiornamento - dove si trovasse Piaţa Mare (!!!) e al mattino non riesce a farmi uscire dal centro città, per cui tiriamo fuori la carta e scegliamo la direzione alla vecchia maniera: Sebes.
Vogliamo fare la Transalpina, che ci è stata consigliata da moltissime persone. L'unico problema è che alcuni dicono che sia chiusa e che la polizia contesterebbe agli avventurieri multe salate: il gentilissimo padrone dell'hotel, oltre a ripararci il bauletto della moto, ci dice invece che è apertissima e che per arrivarci ci conviene tagliare da Pojana Sibiului. Per arrivarci, facciamo una quarantina di chilometri, percorrendone solo una parte su una strada principale, la E68.
Infatti, appena arrivati a Săliște, svoltiamo a sinistra seguendo, per la verità, indicazioni per la Transalpina sbarrati.
Poi, nel centro della cittadina, troviamo segnali che la strada è aperta eccome: infatti, in senso contrario arrivano moltissimi minibus e auto di turisti, tutti romeni.
centro di Săliște: siamo sulla strada giusta |
Così, col pieno di benzina, iniziamo a salire e scendere sulla DJ106E: sembra di essere sull'Appennino più che sui Carpazi. Colline lussureggianti, ruscelli impetuosi, asfalto migliorabile ma molto gradevole. Chilometro dopo chilometro, ad andatura da turista, incrociamo villaggi e chiese ortodosse, circondate da cimiteri e crocifissi lignei di una bellezza quasi commovente.
Ogni villaggio ha le sue opere d'arte... |
Crocifissi come questo sono ad ogni angolo... |
Dopo ogni villaggio segue una collina, un campo coltivato, un carretto trainato da cavalli sorpassato da un Suv ultimo grido. Procediamo attorno ai 50 all'ora e se la media sarà come questa, l'obiettivo di arrivare in serata attorno a Belgrado sarà davvero un affar serio.
Comunque, noi siamo sereni. D'altra parte, il paesaggio lo esige.
Pagliai lungo la DJ106E |
Case... |
... chiese... |
E genti... |
Gli incontri si susseguono e la memoria della macchinetta fotografica comincia a riempirsi. Pensiamo a come sia stato difficile, anche solo 15 anni fa, andare in giro con i rullini... E proprio mentre riflettiamo sull'andamento lento che la tappa odierna segue, arriviamo nel pieno centro di Poiana Sibiului, dove siamo costretti a spegnere il motore in mezzo alla strada - anzi, in mezzo a un mercato in mezzo alla strada - e ci mescoliamo agli abitanti di questo grazioso borgo di montagna, dove è in corso un mercato affollatissimo.
Siamo vicini a Jina, la località abitata più alta di tutta la Romania: non abbiamo potuto fare a meno di notare, entrando, che in città ci sono molte chiese. Una, quella che abbiamo letto essere la principale, è quella cattolica, posta al centro del paese proprio dove, una volta a settimana, vi si organizza il mercato. Ci è sembrato che tutti fossero agghindati al meglio: ragazzine truccatissime, anziane con foulard sgargianti, uomini tutti in camicia con scarpe un po' kitsch e molti, uomini e donne, con un copricapo stranissimo, in vendita anche alle bancarelle, che credevo essere tipico della Romania Moldava.
bloccati nel traffico... |
Stranezze... |
Comunque, nonostante l'impegno del vigile urbano che alla fine ha dato forfait, siamo rimasti intrappolati una mezzora abbondante, fino a quando un capofamiglia sceso da una Zastava Multipla dell'era sovietica ci è venuto incontro ed ha deciso di indicarci una via di fuga: dietro un paio di banchetti si apriva infatti un sentiero che faceva da circonvallazione al paese, troppo stretto per una macchina ma sufficientemente largo per la mukka e i suoi passeggeri. Così, dopo averlo ringraziato, passiamo in mezzo a una fila di casette, a un paio di stalle e ad un'infinità di persone che andavano e venivano dal mercato, molte a bordo del tipico carro romeno.
Overtaking... |
Crossing... |
and finally, leaving Poiana |
Ok. Siamo fuori. Ora finiamo quasi nel nulla più assoluto e ad eccezione di un paio di piccoli villaggi, quando arriviamo al bivio con la DN67C, non incrociamo più alcun essere vivente. Poi, dopo il bivio, la strada cambia e i primi 10 chilometri della Transalpina che percorriamo sono veramente da urlo, con un asfalto da Mugello GP.
Siamo nel gruppo delle montagne dei Parang (Carpazi meridionali) e collega due regioni del paese: la Oltenia e la Transilvania, rappresentate da Novaci a Sebes.
Le guide locali dicono che sia stata voluta da re Carlo II (infatti molti la chiamano ancora La Strada del Re) e che sia stata formalmente aperta nel 1938, ma solo nel 2009 è stata poi asfaltata in tutto il suo percorso, o quasi. Leggendo qua e là, abbiamo anche saputo che secondo alcuni storici contemporanei, la Transfăgărăşan sarebbe stata proprio la risposta di Ceauşescu alla Transalpina, che resta comunque la strada più alta del paese, coi suoi 2.145 metri dell'Urdele Pass.
Dopo una sosta ad un primo lago artificiale, iniziamo un percorso più accidentato, lungo una strada costeggiata da conifere altissime e da lavori in corso (?), fino a quando non arriviamo al Lago Vidra, un bacino artificiale che oltre a essere uno dei più grandi d'Europa, è anche il primo della Romania. Alimentato dal fiume Lotru, fa girare le pale della centrale idroelettrica
Ciungetu: quest'impianto è secondo solo a quello delle Porte di Ferro, sul Danubio.
nei pressi c'è anche una seggiovia con annessa pista da sci...
Il lago Vidra |
Dopodiché, salisalisali, arriviamo alla parte emersa della strada, quella che la mette in diretta concorrenza con la Transfăgărăşan e, di conseguenze, con le strade più belle del mondo.
Lascio a voi ogni considerazione...
L'attacco del rush finale |
Landscapes |
Curve, curve, curve: se sbagli però, finisci a quota mare... |
Insoliti tornanti |
Insomma, una bellezza... |
In cima, sull'Urdele Pass, facciamo la conoscenza di Christophe, ragazzone polacco che è arrivato fin qui in solitaria con il suo Suzuki VStrom. Ha una gran voglia di parlare e di farsi scattare foto insieme a qualcuno, visto che nel tragitto tra Cracovia e questo ameno luogo si è fatto solo dei selfies...
In posa con Christophe |
La sommità è un passo tradizionale, come ce ne sono tanti. Però qui è veramente deserto, lunare. L'aria, tersa, sembra quella dei 4mila più che dei duemila e rotti. Scattiamo qualche foto e cominciamo a interrogarci se, prima o poi, troveremo qualcuno che cucini qualcosa per noi...
In posa con la Transilvania dietro le spalle e l'Oltenia davanti |
Bancarelle... |
Immensità. Ops! Mi è caduta la mappa! |
Il video è tratto dal canale Youtube della stessa coppia di olandesi che hanno percorso la Transfăgărășan qualche mese prima di noi e che potete conoscere sul loro sito: www.lifeisjoy.nl.
Arrivare al passo non significa affatto essere arrivati o aver finito. Appena ripartiti, infatti, ci siamo trovati in un altro scenario, con la strada che scendeva di nuovo e di nuovo poi risaliva, con un susseguirsi di tornanti praticamente sospesi nel vuoto, senza una lama di guardrail. E infatti, ogni anno, si corre su queste curve una tappa del campionato romeno di Hill Climb, con partenza Novaci e arrivo a Rânca.
Così, praticamente ubriacati dal continuum di curve e saliscendi, siamo arrivati a Rânca, un vero e proprio resort sciistico nato, pare, solo alcuni anni fa. Dai suoi 1600 metri di altezza, ai piedi del Păpuşa Peak, si raggiungono tutte le più alte cime dei Parang, per la gioia (pare) di sciatori e snowboarders, escursionisti e amanti della mountain bike.
Si tratta di un villaggio in fortissima espansione, segno che la Romania sta crescendo ed è alla ricerca della sua Cortina: decine i case in costruzione, polizia forestale dappertutto, ciclisti e motociclisti in arrivo da Novaci. Ci sono pure le webcam!!!
Decidiamo di fermarci a mangiare e la scelta, visto anche il profumino, non si rivela affatto sbagliata.
La Pensiunea Craiul Mountilor |
La pensiunea Craiul Mountilor è praticamente l'ultima del paese, andando verso Novaci: altre erano aperte, ma dal camino di questa casetta arrivava un tale profumino che anche la moto si è fermata e, da sola, si è parcheggiata in retromarcia.
Ci siamo sistemati, interagendo a suoni gutturali col simpaticissimo proprietario, sulla terrazza dove, al nostro arrivo, un caldo solicello estivo ci ha scaldato le membra.
Poi, all'improvviso, l'azzurro si è velato di un bianco freddissimo e allora ci siamo pentiti di non aver chiesto di mangiare all'interno: comunque, a me è stato servito uno dei più buoni cordon bleu mai mangiati in vita mia.
In Romania, bene ribadirlo, si mangia davvero bene e i prezzi sono quanto di più onesto (per non dire basso) si possa trovare in occidente. I cordon bleu, in particolare, sono una vera e propria specialità locale e infatti hanno anche un nome diverso, che non sono purtroppo riuscito a trovare: la differenza con quelli originali è che si tratta, in sostanza, di un petto di pollo farcito con formaggio locale e prosciutto, arrotolato come un wrap e fritto nell'olio di semi di girasole. Crosta croccantissima, pollo e ripieno assolutamente indimenticabili.
Per bere, manco a dirlo, birra, stavolta Timisoreana. Una vera delizia.
Oddio. Tornerei là solo per questo. |
Anche se avremo modo di scoprirlo solo più tardi, abbiamo fatto benissimo a nutrirci come si deve: ancora non possiamo nemmeno lontanamente immaginare cosa ci aspetta al confine con la Serbia, che dovremo - almeno nei programmi - valicare tra qualche ora quando arriveremo a Orşova con direzione Negotin.
Siamo però consapevoli che mancano ancora circa 220 chilometri e che non troveremo autostrade sul nostro tragitto, il che significa dalle 4 alle 6 ore di viaggio: se considerate che a tavola ci siamo seduti alle tre del pomeriggio, si fa presto a fare i conti e quello che vogliamo evitare è viaggiare di notte.
Ahahahahahah!
Comunque, ripartiamo. Abbiamo ricaricato le pile alla macchinetta fotografica e siamo di nuovo pronti a immortalare paesaggi e incontri particolari.
paesaggi... |
Incontri... (1) |
Incontri ... (2) |
Scendiamo fino a quota mare e dopo una serie quasi infinita di curve arriviamo a Novaci, piccolo centro della contea di Gorj e mentre rabbico l'olio alla mukka, Angela si decide a visitare la casa del popolo.
Il cimitero di Novaci |
Leggendo qua e là, sapendo che in Romania ci sono alcuni tra i cimiteri più particolari del mondo, come ad esempio quello di Săpânţa, abbiamo scoperto che morire, qui, è un vero lusso. Nelle città più grandi ci sono liste d'attese che durano tantissimo e proliferano le soluzioni private. In effetti, strada facendo, abbiamo visto più pompe funebri che bar... (leggi qui)
A Săpânţa, un epitaffio recita:
«La grappa è un veleno puro / che
porta pianto e tormento / Anche a me li ha portati / La morte mi ha
messo sotto i piedi.
Coloro che amano la buona grappa / Come
me patiranno / Perché io la grappa ho amato / Con lei in mano sono
morto.
(Qui giace Dumitru Holdis, vissuto 45
anni, morto di morte forzate nel 1958)»
Peccato non averle viste...
Il cimitero di Săpânţa (Foto I Viaggi di Valeria) |
La strada du Novaci diventa più scorrevole in prossimità di Târgu Jiu, città di dimensioni più considerevoli e da cui imbocchiamo la 67 fino a Motru e da qui, sempre sulla 67, arriviamo a Drobeta-Turnu Severin, dove l'ingresso della città è sovrastato da una gigantesca e inquietante raffineria. Ci fermiamo per mangiare un gelato e per cercare di capire se per la frontiera con la Serbia è tutto a posto: ad un benzinaio all'ingresso in città (questo qui) un ragazzo che ha vissuto una decina d'anni a Livorno ci dice che la frontiera è regolarmente aperta e ci augura buona fortuna, visto che andiamo in Yugoslavia.
Mentre mangio il gelato guardo la moto e penso a quanto sia eroicamente sporca...
Bella, sporca e cattiva. Ma non è ancora niente... |
Così, lemmi lemmi, andiamo verso il valico costeggiando la riva sinistra del Danubio andando incontro alla gigantesca diga che porta il nome della città e sulla cui sommità, lunga 1.287 metri (contro i 448 della base) corre la strada di confine. Arriviamo dalla polizia di confine romena e tutto fila liscio: nessuno ci dice niente. Mentre andiamo dall'altra parte notiamo una lunga fila di auto ferme sulla terra di nessuno, inspiegabilmente in sosta, ma la nostra attenzione è carpita dalla montagna di spazzatura che c'è sul Danubio e che preme contro il gigante di cemento.
Altro che terra dei fuochi... |
Arrivati dall'altra parte, scopriamo che ci sono due gigantesche draghe che si occupano di prelevare tutta quella rumenta e, speriamo, di sistemarla da qualche parte per il suo smaltimento: sbrighiamo poi le formalità sul versante serbo e, dopo un'ultima fotografia all'Iron Gate Dam, sfrecciamo a tutta birra verso Kladovo. Ormai si sta facendo tardi e vorremmo coprire gli 80 km che separano Kladovo da Negotin in un'oretta e mezzo.
La forza del Danubio sulle Iron Gates... |
Bene no?
No!!!
A Kladovo lasciamo la 25-1, la strada che corre sul lato destro del Danubio e che sarebbe la gemella di quella che con Oscar e Ariela avevamo fatto sulla sponda sinistra per cercare di raggiungere Craiova e che trovammo interrotta, e imbocchiamo la 25 ma, al villaggio di Milutinovac la strada non c'è più...
Pazzesco. La strada non c'è più... |
Pensiamo a uno scherzo, cerchiamo una deviazione e se guardate bene nella foto, in basso a destra c'è un gruppo di persone: stavano aspettando una barchina (ma piccola eh!!!), a bordo della quale c'era un'anziana signora. Tra loro un ragazzo (guy) e un uomo (man) dalle sembianze nordeuropee.
Gas: Excuse me, do you speak English?
Guy: Certainly. Can I help you?
Gas:We should go to Negotin ...
Guy: You have to go Negotin?
ahahahahahahahah! The bike can climb into the boat? Ahahahahahah!
Good luck !!!
Gas: ...
Man: You have to go back, at least until Donji Milanovac, on 25-1...
Gas: ...
Angela: ...
Per farvi capire la situazione, guardate il servizio di Sky...
Capite??? Qui era passato un vero uragano e ora noi dovevamo riuscire a fare un'altra deviazione di centinaia di chilometri per avvicinarci a Sarajevo e, soprattutto, a Spalato dove, meno di 48 ore dopo, avremmo dovuto imbarcarci per Ancona. In più. il dubbio che anche quella strada fosse chiusa mi fa scendere un altro brivido freddo tra schiena e paraschiena.
Il gruppo di persone ha fatto di tutto per tranquillizzarci, ma la questione è veramente seria.
Così, decidiamo di tornare alla frontiera e di chiedere alle Autorità: prima chiediamo a una signora a un piccolo bar prima della frontiera con la Romania ma la barriera linguistica era veramente insormontabile. Ci sembra di capire che la strada per Donjii Milanovac è stata riaperta
Poiché era impossibile avvicinarsi al valico, nel frattempo pieno di auto in colonna, abbiamo poi chiesto a un drappello di poliziotti e uno di loro, in inglese, ci ha confermato che la strada era aperta ma che era piena di fango.
E noi, duri come il muro, ci incamminiamo.
Vi giuro: è stata comunque un'esperienza: mentre soldati e protezione civile scavavano, noi abbiamo percorso un centinaio di chilometri nella calamità, intravedendo alla nostra destra le pareti impervie delle Porte di Ferro che si inabissavano sul Danubio, incrociando colonne di soccorsi e anche molta disperazione. Quando arriviamo al distributore di questo sperduto avamposto sul fiume (clicca qui) scopriamo che l'unico hotel della cittadina, il Lepenski Vir, è interamente occupato da militari e da un ospedale da campo. Chiediamo al benzinaio e lui ci aiuta: chiama in soccorso un suo amico e ci sistema nel suo piccolo alloggio. Stanchissimi, non abbiamo fatto domande e ci siamo trovati in un affittacamere con bagno in comune.Oddio.
Vi giuro: è stata comunque un'esperienza: mentre soldati e protezione civile scavavano, noi abbiamo percorso un centinaio di chilometri nella calamità, intravedendo alla nostra destra le pareti impervie delle Porte di Ferro che si inabissavano sul Danubio, incrociando colonne di soccorsi e anche molta disperazione. Quando arriviamo al distributore di questo sperduto avamposto sul fiume (clicca qui) scopriamo che l'unico hotel della cittadina, il Lepenski Vir, è interamente occupato da militari e da un ospedale da campo. Chiediamo al benzinaio e lui ci aiuta: chiama in soccorso un suo amico e ci sistema nel suo piccolo alloggio. Stanchissimi, non abbiamo fatto domande e ci siamo trovati in un affittacamere con bagno in comune.Oddio.
Wow. Che teli... |
Eh si... Che teli... |
Lorenzo Borselli © Tutti i diritti riservati
Fantastico come sempre...
RispondiEliminaGrazie!
EliminaCiao Montalbano, ho visto le foto sempre più belle, paesaggi stupendi a parte le curve senza alcuna protezione,
RispondiEliminaUn abbraccio
Franco
La voglia di copiarvi è tanta.
RispondiEliminaUff..... coi rullini si viveva - e si vive - benissimo.
RispondiEliminaSemplicemente non si fotografa a c***o. Come si tende fare invece col digitale salvo poi buttare via un sacco di roba inutile. Viva i rullini abbasso il digitale, tié ! ;-)
Ieri pomeriggio ero con mio nipotino di quasi 9 anni, Carlo.
RispondiEliminaQualche mese fa ha ricevuto in regalo una compattina digitale. Ieri avevo con me la Nikon FM2 che di solito utilizzo per le foto in bn. Lui sa che è una macchina a pellicola, mi ha già vista caricarla, sa che le foto non si possono vedere subito e sa che si mette a fuoco manualmente.
E soprattutto sa che con quella non si fotografa troppo, perché le pose sono solo 36.
Ieri mi ha chiesto di insegnargli a mettere a fuoco.
Finita la breve spiegazione con prova e scatto suo, mi ha fatto tantissime domande sui numeri che vedeva sull'apparecchio e sull'obiettivo.
Tra una domanda e l'altro ho cercato di spiegargli che è importante decidere cosa si vuole fotografare prima di scattare. Che ogni foto è una decisione alla quale ci si deve avvicinare il più possibile.
Lui, che molto più di qualsiasi persona della nostra generazione è nato ed è legato alle immagini, persino quando ascolta musica, si è stupito quando gli ho spiegato il significato della parola "foto-grafia".
E tra una domanda e l'altra mi ha espresso una considerazione che mi ha stupita: "A me piace di più questa. Perché fa 'clac' e poi bisogna sempre ricaricare".
Sarà solo il fascino della meccanica per un nativo digitale, oppure è il segno di un ritorno all'autenticità dell'immagine?