lunedì 24 giugno 2013

Fratellino Oskarino, in Sardegna col Giessino


Antico adagio isolano

Il momento del commiato (sigaretta in prestito). Comincio da qui...
Rifare il viaggio a ritroso, iniziare il racconto dalla fine, non è solo semplice: è anche più bello, perché quando due brothers si salutano, dall'intensità dell'abbraccio prima del congedo si capisce quanto siano stati bene insieme.
Il punto in cui mukke e uomini si salutano è poco più di un cerchietto sulla cartina: si chiama Massama, nei pressi di Cossoine, un piccolo centro del basso sassarese, dove una minuscola stazione di servizio sulla SS292dir eroga benzine e bevande ai viandanti accaldati. E' qui che l'autoscatto della Sony blocca il momento: due enormi fave, invecchiate e ingrassate, dietro una fiammante mukka oversize, col pieno di benza e con due gomme accaldatissime. Siamo nel Meilogu, la regione di mezzo, dove gli antichi nuraghe davano protezione ai fieri sardi dall'età del Bronzo in poi.  
La giornata era cominciata qualche ora prima, a Oristano: qui, nell'alcova del centro storico che Oskar e Ariela si sono procurati nel dorato esilio insulare, ci eravamo svegliati stanchi dei bagordi serali, ma desiderosi di prendere la strada (e mangiarla) il più presto possibile.
Per bagordo serale è da intendersi non certo l'abbandono di due amici a follie tipo alcol e droga, ma  una semplice e agognatissima rimpatriata, dopo mesi di lontananza, davanti a un boccale di birra ice e a tantissime risate. Devo dire che qui mancava solo Julian...

Non fatevi illusioni, ragazzi gai: a me non mi avete ancora convinto!!!
Juliaaaaaaaaaannnnnnn? Donde estaaaaaaaaaaaaaaaaaaaas???
Prima di ripartire, però, dovevamo a tutti i costi salutare Ariela, già al lavoro da un pezzo, nella prima periferia di Abbasanta, dove in un'afosissima veranda abbiamo incontrato un raro e longevo esemplare di ferro motociclistico noto per la sua estrema longevità: una Sportser fiammante, appena uscita dalla catena di montaggio di Milwaukee. Un oggettino niente male: al prossimo incidente grave, se sopravvivo, me ne compro uno coi soldi dell'assicurazione...

Gioia per gli occhi di Davide...
Mentre Ariela ci salutava con un fazzoletto (bugia: chi la conosce sa quanto ciò sia impossibile), Oskarito decide di sfiammare sulla SS131 ancora per un po', salendo fino a Macomer, dove saccheggiamo i rispettivi bancomat e dove riempiamo di broda i serbatoi delle mukke: insieme facciamo una settantina di litri di unleaded, roba che se ci beccano quelli della Stradale ci contestano il contrabbando di carburante. 
Lungo la 131 si vede che il fratellino ha finalmente trovato la moto perfetta...

Fratellino Oskarino in sella al nuovo Giessino...
Bello come il sole, calza due Belstaff che hanno visto il mondo dalla loro prospettiva, calzoni della Tucano accorciabili, un giubbotto accusato di genocidio dalla corte suprema degli insetti e un fiammante elmo bavarese. Vadavialcul, va là...
Macomer è solo una sosta tecnica e appena imbocchiamo la 129bis per Bosa si cominciano a vedere i panorami degni di Ιχνουσσα

Prospettive: io vedo lui e davanti c'è un Honda SH che alla curva andrà drittissimo...
Da Macomer a Bosa ci sono 22 chilometri precisi e sono davvero belli, perché passi dalle alture della catena del Marghine alla vista mozzafiato di un mare che sembra oceano, per il colore che ha, per la vastità delle sue spiagge e per l'assenza assoluta di terra all'orizzonte. Entriamo nella Planargia e passiamo gli abitati di Sindia e Tinnura, dove imbocchiamo la SS292. Praticamente corriamo sulla versione asfaltata della ferrovia Macomer-Bosa, una linea a scartamento ridotto che mostra al turista la maestosità di uno dei luoghi più belli del pianeta.

Courtesy of Wikipedia...
Passiamo veloci (ma non troppo) da Magomadas e Tresnuraghes, dove rivedo volentierissimo la facciata del B&B "Su Canape", dove lo scorso agosto ho sostato una notte alla quale è seguito un lungo rientro verso la Gallura... Se ci andate, dormiteci. Si dorme bene, si spende poco e si fa una bella colazia, che in polacco vuol dire cena e che nello slang a me caro (l'etrusco) indica invece il breakfast.
Infine, Bosa.

Bosa: ripropongo la foto dello scorso anno
Bosa è un luogo moooolto turistico. Bello, senza dubbio, ma un po' trappolino. L'arrivo alla Marina è lemme lemme e facciamo in tempo a vedere un MD500 della Finanza levarsi in volo da dietro i bastioni del porto che un tempo era l'Isola Rossa e che ora è collegato alla terraferma da un bastione carrabile. Ci fermiamo al bar "Marina Beach", a pochi passi dal porto, dove Oskarino, disidratato, ordina una Heineken e io una coca con ghiaccio. Fa davvero un caldo torrido: la fame comincia a farsi sentire ma è ancora presto per mettersi a tavola. Poi vogliamo fare un bagno e allora il piano prende la strada di Alghero. Qui, pare, ci sarebbe un ristorante nel mercato del pesce che cucina il pescato invenduto a prezzi accettabili. Così, mi faccio un po' sfottere dalle cameriere che ironizzano sul tatuaggio dell'omino empty head mentre tre tardone francesi si scrofanano una chilata di pasta allo scoglio e alla fine prendiamo gli arnesi del mestiere e partiamo alla volta di Alguer.
Fare i 51 chilometri che dividono Bosa da Alghero in questa direzione è senza dubbio più bello: anche  se la SP49/SP105 è quasi tutta discesa e stiamo in corsia monte, il paesaggio è mozzafiato e la vista di Alghero, in lontananza, riempie la testa di serenità. La vedi laggiù, placida, oltre le falesie.
Cazzo, una bellezza: c'è solo da stare attenti agli avvallamenti improvvisi dell'asfalto, che ti fanno sfregare il telaio sotto il peso dei bagagli, e alle lumache a due, tre e quattro ruote, che scelgono i posti più impensabili per uscire o immettersi da improbabili piazzole (le apette sbucano praticamente da dietro ogni fico d'india...).
Poi, improvvisamente, Oskar cede ai lamenti del suo stomaco. Fame.

La spiaggia della Poglina e, più avanti, Alghero
Mancava una manciata di chilometri ad Alghero ed ecco che sotto di noi si apre la vista alla spiaggia della Poglina, più nota come spiaggia della Speranza. L'hanno ribattezzata così perché alcuni marinai hanno costruito una chiesetta nei pressi di questa bella distesa di sabbia, lunga più o meno mezzo chilometro. Mangiamo un piatto di spaghetti allo scoglio, scoliamo un paio di bicchieri di rosato serviti da una cameriera spagnola di Siviglia (che ancora si chiede come sia finita in Italia...) e poi ci tuffiamo in mare.
Beh: la pasta era buona, ma l'accoglienza non è stata delle migliori. Alle due del pomeriggio non puoi dire a due avventori che il bagno è riservato al bar/ristorante, che non puoi andare in costume al ristorante e che devi sbrigarti perché altrimenti non mangi. Il tutto, prima ancora che gli stessi avventori abbiano il tempo di chiedere se possano mangiare.
Eccheccazzo...
Così, niente Alghero e niente foto: il tempo scarseggiava già e inoltre,  mentre ci si predisponeva all'immersione, ci siamo accorti che dietro di noi c'erano tre affamati e gaiosi tedeschi, che avevano iniziato a squadrare le nostre rotondità, specie quelle meno rotonde, col chiaro intento di assicurare alla propria lussuria un lembo di ciccia italica.
Fanculen.
Un istante dopo il bagno, già asciutti, scattiamo questa foto sulle alture di Villanova Monteleone, dopo aver percorso qualche tornante della SP Villanova Mare che sarebbe stato decisamente più emozionante se qualcuno avesse tagliato l'erba. Per qualche chilometro ci è sembrato di viaggiare in una pista ricavata in un campo trasandato...

Fratellini di latta
Riprendiamo la via della collina proseguendo sulla SS292
Con gli abitanti di Villanova Monteleone non scherzi: è gente di mare che un tempo lontano riparò sui costoni dell'interno per difendersi dalle invasioni moresche perché, una volta, i Mori rompevano parecchio le palle a questa pacifica isola, che dovette ingegnarsi non poco per sopravvivere.
I vicoli di Villanova sono gentili e burberi, ma altezzosi. Forse perché qualcuno dice che Fellini vi abbia girato  parecchie scene del suo film "La Bibbia", ma io non ricordo (né trovo) alcuna pellicola di questo genere girata dal Maestro... mah...
Di certo, è tutta gente per bene: ci rifermiamo a comprare le paglie e ne approfittiamo per un caffè da Baldinu, proprio davanti a un affittacamere dove ho dormito qualche anno prima e che ora mi sembra non esserci più.
Sparito.
E mentre rifletto sulle coincidenze, mi accorgo che due signore pagano una coca a un venditore di colore, che si alza e va a ringraziarle, con gesti dell'una e dell'altra parte che sanno di gentilezza e non d'ipocrito dovere.
Così, con la testa serena e rilassata, proseguiamo sulla SS292 verso il lago del Temo, sovrastato da una rocca  vulcanica e che ricorda tantissimo la Pietra di Bismantova, e dal comune di Monteleone Rocca Doria, centro che - udite, udite! - vanta una popolazione di ben 125 abitanti.
Il paese è montuoso e geologicamente è formato da rocce eruttive del terziario, da trachiti e tufi trachitici, tutti perfettamente scalabili e dai quali mi piacerebbe francamente calarmi in corda doppia...

La SP88, che dalla casa cantoniera "Reinamare", che non si vede, conduce all'abitato di Monteleone
Il percorso continua ed è un vero luna park: la SS292 continua verso Pozzomaggiore e, purtroppo, verso la SS131 Carlo Felice, dove i ragazzi scioglieranno la coppia.

Strada Statale 292 Nord Occidentale Sarda
I paesaggi, qui, sono da sogno: se fermi il motore e ti metti ad aspettare (serve davvero molta pazienza), vedrai sbucare i cavalli selvatici dal mitico manto verde, i "caddos birdes" dai misteriosi poteri magici. Si narra che il re di Monteleone fosse riuscito a catturarne uno e che per averlo, i potenti del medioevo fossero disposti a tutto: come i sardi, sono impossibili da domare e nessuno è mai stato cavalcato. Quando ciò avverrà, sarà il momento del Re Pastore.

He wish he could fly...
Ecco: detta anche 'sta storiella, torniamo all'inizio del racconto, che è la fine della giornata, a Massama, nei pressi di Cossoine.
Le goccioline scivolano veloci sul collo di due bottiglie. Fa un caldo tremendo ma l'abbraccio non affatica. 
Dopo ci sono solo i tappi nelle orecchie e una bella sfiammata verso nord. Vado da lei.
Salludusu a tuttusu...

Copyright © Lorenzo Borselli tutti i diritti riservati



















3 commenti:

  1. complimenti per il bellissimo racconto!!!

    cominciavo a sentire la mancanza dei tuoi versi...!!!

    RispondiElimina
  2. Ma il soprannome GAS deriva dal fatto che emetti tante flatulenze?

    RispondiElimina
  3. PS: cerca su google STORIELLEDIMOTOCILETTE

    RispondiElimina

Dì pure quello che vuoi. Pensa, quello che vuoi. Solo, non essere offensivo...