lunedì 6 aprile 2020

TEMPANOS VII (duemiladiciannove)

"Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io 
fossimo presi per incantamento, 
e messi in un vasel ch’ad ogni vento 
per mare andasse al voler vostro e mio, 
sì che fortuna od altro tempo rio
 non ci potesse dare impedimento,  
anzi, vivendo sempre in un talento, 
di stare insieme crescesse ’l disio."

Dante Alighieri 

Matalebreras (Spagna), 14 febbraio 2019 - ore 11:50

11 febbraio 2019, ore 19:58. Cinque fave, tutte notevolmente "brillate", si trovano al “pier 21” del porto di Civitavecchia. Aspettano una nave, fa un freddo porco, il mare è grosso, eppure ridono tutti come imbecilli.
Perché?
Eh già, perché? Se fossi un neofita del racconto, comincerei ricercando la motivazione intrinseca del viaggio in moto. Ma direi solo cazzate e finirei con lo scopiazzare aforismi e tesi psicologiche. Il viaggio è parte dell’uomo, che è zingaro per natura, che difficilmente riesce a starsene fermo in casa a guardare l’erba del giardino crescere. Guardate me: costretto a casa dagli effetti del Covid, impazzisco. C’è il sole, c’è una temperatura perfetta ma sono privato della libertà. Quindi, nessuna ragione in particolare.

11 febbraio 2019, Civitavecchia, pier 21
Per anni, da quando Oscar ha disertato, ho cercato compagnia e, badate, non perché non mi piaccia andare da solo. Da soli si sta bene, benissimo. Parti quando vuoi, ti fermi quando vuoi, vai alla velocità che ti pare. Ti fermi sullo sgrimolo di una strada, spegni la mukka, accendi una paglia, fotografi un albero, un muro, una casa. Un trattore che ara un campo, l’acqua di un fiume che scorre, una nuvola a forma di pesce, un piatto di zuppa di ceci. Altrimenti, che Jan Solo potrei essere?
Ma la condivisione di un percorso che conosci bene, l’onore di essere l'anfitrione di un amico o di una combriccola, il piacere di sentire il campano stretto di Angelo che disserta di filosofia con l’oste di una bettola sperduta nel cuore dell’Aragona, non ha prezzo. Non ha prezzo lo sguardo pungente di Brontolo, il mio fratellino Rino, l’affetto di Savino e quello trasmesso per via ereditario-sanguigna a uno dei suoi figli, Alberto.
Torniamo all’11 febbraio 2019 e a alle cinque fave brillate sul pier 21 del porto di Civitavecchia. Partono.
La meta è sempre quella mia di inizio anno: Castiglia y Leòn. Per la terza volta consecutiva, Palencia, per un incontro tra amici spagnoli, tutti rigorosamente sbirri.
E siccome la storia è sempre la stessa, evito i blah-blah-blah e le ridondanti ripetizioni e mi concentro sui personaggi. Per non offenderli, userò l’ordine alfabetico. Vamos.

Alberto riding his steel horse. Behind him, Daddy.
Alberto:
Figlio primogenito di Savino, si è subito distinto dal gene paterno laureandosi a pieni voti in ingegneria, trovando lavoro senza la raccomandazione del padre. A differenza di quest’ultimo, “Albi” va piuttosto forte ma non lo dà a vedere e ciò, probabilmente, per due ragioni principali: 1) Alberto non vuole mostrare al babbo che è un manico (a. per non farlo preoccupare; b. per non mostrarsi a lui superiore); 2) Alberto assume un atteggiamento protettivo nei confronti del babbo, che a sua volta è iperprotettivo nei suoi. Ne scaturisce una specie di scudo energetico impenetrabile che nessuna battuta riesce a scalfire.

Angelo, finalmente in gabbia...
Angelo:
appartiene al genere dei primati della famiglia degli ominidi nota come “orango”. Agli atti del fascicolo che lo riguarda, ci sono foto compromettenti perché è solito dormire completamente nudo, anche in presenza di altri maschi, dai quali si difende in virtù della sua non comune stazza, aggressività e capacità offensiva. Contrariamente a quanto accade per l’homo sapiens, Angelo ha solo due fasi del sonno: 1) si addormenta, 2) si sveglia. La prima fase si caratterizza per la sua brevità, pari a circa due millisecondi. La seconda, invece, per la sua estrema lunghezza, nell’ordine delle due ore. La congiunzione delle due fasi è contraddistinta dall’emissione di un suono stridente, profondo e roco, sulla cui eziologia gli esperti si dividono. Alcuni ritengono che la produzione di tale suono sia dovuta al restringimento delle vie respiratorie, ma i più l’attribuiscono alla fase onirica, nella quale l’ominide, non distinguendo appunto il sogno dalla realtà, insegue femmine (il pensiero fisso insieme al cibo) ed evidentemente ci si accoppia. È auspicabile che ciò accada col cuscino. In tal senso si rimanda al finale della canzone “Il Gorilla” di Fabrizio de Andrè. L'uomo, che conosco dal 1994, è uno sbirro vecchio stampo.
Ah: soffre il mal di mare.

Rino al meridiano Zero, di Greenwich ma non a Greenwich
Rino.
Il mio primo capopattuglia, finalmente, è qui, con me (ci siamo conosciuti il 20 dicembre 1996). Motociclista di lungo corso, è capace di spararsi mille e più chilometri in 10 ore per venire in giro con me (Montalenghe-Sasso Marconi-Civitavecchia). Gli mancano giusto 5 centimetri di altezza (che compensa altrove) per essere perfetto in sella al suo Giesse. Esattamente come Angelo non spiccica una parola di spagnolo ma, a differenza di quest’ultimo, si impegna molto. Anzi, come direbbe una maestrina, si applica molto. Il suo pregio principale è che non si lamenta mai (di me), gli va bene sempre tutto (con me). Siamo collaudati, ci basta un’occhiata o un gesto. Hai fame? Hai sete? Vuoi fumare? Ecco, con lui potrei veramente fare il viaggio della vita.

Papà Savino fischietta mentre parcheggia il camper. 
Savino:
Conosco Savino dal 1990 (quindi, quest'anno sono trenta). Era un brigadiere dei Carabinieri, all’epoca. Poi, con la cocciutaggine che lo contraddistingue, è diventato ufficiale e ora, mentre scrivo, combatte alla testa dei suoi uomini contro il Covid-19. Lo facciamo tutti, ma lui ha la responsabilità del comando e anche se adesso potrei sbizzarrire la mia fantasia su come protegge Alberto o Alessandro (figlio n. 2) o su come si destreggia in moto, dico che mi sarebbe piaciuto tanto lavorare con lui. Quello che so, professionalmente, lo devo in larga parte alla sua meticolosa preparazione, che mi ha trasmesso quando facevo il giornalista e quando ero alle prime armi come sbirro. Gli voglio bene come ad un fratello, sentimento che provo per tutta la combriccola (e sia chiaro). Qui lo vedete intento a parcheggiare il suo camper in un punto imprecisato tra Barcellona e Saragozza (in realtà il posto si chiama Fraga). Ha appena tolto le ruotine.

The cow on pasture
La mukka e il fantasma di Davide...
Poi ci sono io. Qui mi ero un po' avvantaggiato e me ne stavo dietro l'obiettivo ad aspettare il gruppo per fotografarli tutti. In effetti, fare l'anfitrione è un lavoro durissimo. Conosco queste strade molto bene, perché le ho percorse un'infinità di volte e, così mi sono allungato parecchio alla ricerca dello sfondo perfetto (per loro). 
Manca, al gruppo, un certo Davide Barin, vecchia conoscenza della moto, anche se in moto insieme non ci siamo mai andati. Ci ha dato buca, non per colpa sua, all'ultimo momento. Peccato.
Alla fine, questi siamo noi. Sempre da dietro!!!




Comunque: dopo una traversata parecchio burrascosa, nel corso della quale siamo riusciti a sedare almeno Angelo (con Savino è stato impossibile a causa dell'inefficacia dei tranquillanti), siamo arrivati al porto di Barcellona attorno alle 18 del 12 febbraio. Prendiamo alloggio al mio solito posto (Sunotel) e ci sfondiamo subito con una clamorosa paella de mariscos al 7Portes, uno splendido locale di Barceloneta, al quale arriviamo già carichi di tapas (ma sì, croquetas, patatas bravas e jamon) e spritz vari... Come al solito, a nanna presto e poi, l'indomani, partiamo nella nebbia per raggiungere Saragozza. Normalmente io faccio tutta una tirata fino a Palencia (e sarebbero più o meno 800 chilometri), ma stavolta vogliamo prendercela calma...
Utilizziamo l'autostrada solo per uscire dall'area metropolitana di Barcellona e più o meno ne saltiamo fuori a Huesca, già nel territorio dell'Aragona, nel comune di Fraga, dove mangiamo (benissimo) in una specie di osteria per camionisti, La Cobil (dove per fortuna lo chef Rubio non è ancora arrivato) e poi costeggiamo il Rio Segre e infine l'Ebro fino a Caspe. Qui i paesaggi su uno dei fiumi più importanti della Spagna, sono davvero incredibili e, tra l'altro, andando così piano ce la siamo davvero gustata. 
Grazie Savino, anche per la bella bottiglia che ci siamo scolati insieme. Vi risparmio il filmato che proprio il colonnello mi ha fatto mentre espleto una necessità fisiologica.

Barcellona sarebbe dall'altra parte ma... (foto di Alberto)
io fotografavo la scia...
Tapas y spritz in Barceloneta
Dove eravamo qui, non me lo ricordo più...
Father & son...
L'allegra combriccola a Fraga

E poi, Saragozza. 
Bisognerebbe scriverle subito, le cose, perché poi si dimenticano. Una cosa però non me la sono scordata. Dovete sapere che Savino è una persona moooolto curiosa. Così, appena arriviamo a Saragozza, dopo aver parcheggiato le belve in garage, prendiamo alloggio all'hotel Don Jaime 54, scendiamo in strada e facciamo quattro passi per fare l'ora di cena... e qui, il colonnello inizia con le domande!!!
Pronti?
domanda n. 1 (avvicinandosi a un negozio di souvenir)
Savino: Lorenzo, che souvenir vendono qua?
Lorenzo: x@#§*&%$£!!!!!
domanda n. 2 (passeggiando in plaza La Seo, a fianco della cattedrale del Salvador de Zaragoza)
Savino: Lorenzo, quanti abitanti fa Saragozza?
Lorenzo: mmmmmmhh... su due piedi non lo so... Proverò su uno!!!
domanda n. 3 (avvicinandosi a un ristorante)
Savino: Lorenzo, cosa si mangia qui?
Lorenzo: x@#§*&%$£!!!!! (2)
Scherzi a parte, abbiamo passato una serata fantastica in una città bellissima. Passeggiare in centro, tra il Palazzo dell’Aljaferia e la Cattedrale del Salvador e, da qui, alla basilica della Nuestra Senora del Pilar, davvero, non ha prezzo. 

Pericolosissimo selfie in movimento. Qui siamo dalle parti di Caspe
Zaragoza, plaza de la Nuestra Señora del Pilar 
L'impressionante Basilica vista dal Puente de Santiago
Angelo mukkoso
Il gruppo vacanze "Piemonte"
Smaltita la cena e ottemperate le funzioni fisiologiche, non ci resta che ripartire. La prima parte del viaggio è estremamente pallosa, perché, appena usciti da Saragozza, dobbiamo fare un lungo tratto di autostrada AP68 fino all'uscita di Magallòn (uscita 19, esattamente come quella di Calenzano in A1) e da qui prendiamo la N122 verso Tarazona e il Moncayo.
Ahhhh, il Moncayo...
Per me è una calamita. Sarà perché la prima volta che ci sono passato avevo la Varadero, sarà perché è la montagna più alta della Spagna (2.313 metri), sarà perché quando cominci a salire esci dalla nebbia e dal freddo pungente... 
Non lo so. 
Io, qui, comincio a respirare e c'è un punto esatto nel quale ho proprio la sensazione (all'andata) che il viaggio inizi e la sensazione, tornando indietro, che finisca. Eppure, andando, sono già al terzo o al quarto giorno di viaggio e, rientrando, ne mancano ancora due o tre.
Comunque, dalle parti di Matalebreras, dove la N122 incrocia la SO380, c'è un punto fisso, un cartello che segna quella sensazione di cui vi dicevo. Come sempre, ci scappa la foto e, stavolta, ho la macchina buona!
Un giorno o l'altro, imboccherò quella strada e andrò a vedere dove finisce...

Il Moncayo
La SO380
Un ciccionissimo Gas e il suo fratellino...
Mangiamo nei pressi di Soria, in un pueblo chiamato La Vid. Troviamo il posto uscendo dalla N122, che a tratti è già autopista, zigzagando da un cantiere all'altro: a una delle uscite ci fidiamo del GPS e dopo aver percorso un brevissimo tratto di sterro, scopriamo un monastero incredibile: siamo al cospetto di un complesso rinascimentale, ovviamente chiuso al pubblico (non abbiamo capito perché), al cui interno c'è una biblioteca che contiene più di 60mila libri, pergamene, manoscritti scientifici, letterari e storici, e persino un'edizione su pergamena del Corano risalente al 1134. proprio davanti a questo splendore, c'è l'hotel ristorante El Lagar de Isilla, specializzato in cacciagione, con un'enoteca de puta madre, con un parcheggio spettacolare e una vista sul monastero che ci lascia senza parole.
Domanda n. 4
Savino: Lorenzo, cosa si mangia qui?
Lorenzo: x@#§*&%$£!!!!! (2)

Il Montastero di Santa Maria de la Vid
Il Monastero di Santa Maria de la Vid
Il ristorante e le mukke all'ormeggio
Proprio mentre Savino mi chiedeva informazioni private sulla zia del cuoco, Luz mi chiama: è con Alvaro, il fratello baffuto di Genaro, e ci aspetta davanti a una birra ghiacciata.
Quindi, rimesse in moto le mukke, imbocchiamo la N234 e continuiamo verso Palencia. Ci incontreremo con Luz nei pressi di Tortoles de Esgueva, un villaggio che incontri percorrendo la CL619 dopo Aranda de Duero, città, anche questa, che mi riporta indietro di dieci e più anni, ai primi pellegrinaggi iberici.
Incontrare una persona che non vedi da tanto tempo, se le vuoi bene, è già di per sé bello. Ma se per incontrare un'amica o un amico ti spari duemila chilometri, allora la sensazione è stupenda.

Luz, Gaz y Alvaroz
Sbrigate le formalità birresche (solo una cervecita descansante), stanchi, ci rimettiamo in marcia verso Palencia, guidati da Luz e Alvaro, con la sua splendida Goldwing e alle 18:30 del giorno di San Valentino, spengo il mio boxer in testa alla calle Mayor di Palencia e abbraccio Chupy...

My shadow en Villaconancio
Altro pericolosissimo selfie nei pressi di Villaconancio
Baciato il Chupy (con la lingua), ci ritiriamo in albergo per circa 25 secondi: anche se abbiamo saltato le formalità per l'iscrizione alla concentrazione (ah non ve l'ho detto??? Siamo qua per i Tempanos VII) , dobbiamo tornare subito in moto. Anche il Chupy, che nel frattempo si è riunito al companero "Perico", smonta dal servizio e guida tutto il gruppo fino a Becerril de Campos, dove in  una chiesa romanica dedicata a San Pedro, in rovina completa dalla fine dell'800, è stato realizzato un incredibile museo della scienza. Bellissimo. Il più interessato di tutti è Angelo, testimone del fatto che anche gli ominidi sono prossimi a un salto evolutivo...

L'antica chiesa di San Pedro, restituita a nuovo splendore
L'interno del monumento estelar
archi e pianeti
Archi e pianeti



UggaBugga
L'indomani, io, Angelo e Rino facciamo un salto a Valladolid. Al palazzo comunale lavora uno dei miei fratelli, Paco, che si occupa della sicurezza del sindaco. Parcheggiamo proprio dietro a Plaza Mayor, sempre piena di gente che corre indaffarata da un vicolo all'altro. Entriamo nella sede del gobierno local e ci sentiamo importanti... Il tempo di incontrare Miguel, vecchio amico che non sarà dei nostri alla concentrazione (con Angelo che spazza le tapas di un bar) e poi, al rientro a Palencia, incontro finalmente anche Josè, Angelillo e, pian piano, il resto della banda bassotti: compreso Genaro (che, in effetti, di quella banda è innamorato)... 
E poi il grandissimo Pili, Mariano, Lobo, Rimbo, Dani, Nata, di nuovo Paco e Blanca, Luis Pablo, Ivan e tutti gli altri... 
MA QUANTI AMICI HO??? 

Cacchio, siamo tutti alti uguali!!! 
Grazia, Graziella e...
Yo y mi hermano Josè
quanta bella gente!
quanta bella gente! (2)
Uno de los chupitos...
quanta bella gente! (2)
El grande Angelillo
El Cristo de Otero
El Cristo de Otero e, sotto, il nipote di Botero
16 febbraio 2019, è il momento clou. Chupy e Perico, che qui rappresentano l'IPA locale (International Police Association IPA Palencia) lavorano un anno intero per rendere tutto perfetto e, credetemi, ci riescono sempre. Alle 10 siamo al quartier generale della Polizia Locale, dove le sessanta moto si riuniscono. Qui arriva anche il mitico Joseburg, altra vecchia gloria del Lado Oscuro, che si spara la gita col suo scooterone (un mito assoluto, oltre che un amico insostituibile). Finalmente.
Il tempo di una foto di gruppo e siamo pronti a partire per i 300 e passa chilometri che ci portano sulla Ruta de Los Pantanos, con inizio delle curve ad Aguilar de Campoo, dove facciamo la solita colazione a base di tortillas e birrette, prima di attaccare la salita.

Piccolo gruppo alla caserma del Chupy
Grande gruppo alla caserma del Chupy
Rino sulla ruta de los Pantanos...
Luogo spettacolare...
Il grande Joseburg
Insomma, un giubileo di amicizia, che si conclude con una grandissima festa alla quale, noi italiani (ovviamente), non riusciamo mai a partecipare con l'intensità che invece sarebbe necessaria. Già io comincio ad aver sonno alle 9 e mezza... già non reggo l'alcol... già sono stanchissimo per il viaggio che abbiamo alle spalle... In più ci mettete Savino e Angelo, che cominciano a barcollare dalla stanchezza già alle 6 del pomeriggio, il gioco è fatto...
Comunque.
Il saluto finale, come sempre, inizia all'incirca alle 23. Inizio a dire a tutti che sono stanco, che sono un po' alticcio, che devo partire presto... Con questa tattica, più o meno alle due del mattino, quando il resto della truppa è al quarto o quinto gintonic, riesco ad andare a nanna.
Loro fanno festa e noi dormiamo. Distrutti, ma felici.
Un giorno o l'altro, scoprirò cos'hanno gli spagnoli nel sangue.
La domenica, in genere, l'ultimo che vedo è Lobo. Parte di buon mattino, come noi, ma lui punta alle Asturie, mentre noi facciamo rotta verso la Catalogna, in direzione di Tortosa.
Perché a Tortosa, c'è Julian e per arrivarci sfidiamo il sole, che ci sta in faccia tutto il giorno lungo la strada che ci riporta fino a Soria. Da qui, all'improvviso, si devia a destra verso Calatayud sulla N234, prendendo poi la A2 fino a La Almunia de Doña Godina e, da qui, verso Fuentetodos (dove nacque il Goya), poi Cariñena, BelchiteAlcañiz, Gandesa e, infine, Tortosa.
E' una strada commovente, perché man mano che la costa si avvicina, il sole ti passa alle spalle e, alla fine, sparisce. Poco prima di Gandesa, la famosa "Bizza di Savino": l'ufficiale pianta i piedi per terra e dice di non voler continuare. Per fortuna, Alberto sa come fare e poco dopo il nostro arrivo all'hotel di Tortosa (El Parador), father & son arrivano, stanchi, come noi, affamati, come noi, felici, come noi.
Con Angelo e Rino abbiamo anche la possibilità della sosta di rito al ceppo che c'è sulla N240, al km 757, nei pressi di Calaceite. All'andata, eravamo passati sotto la linea immaginaria tra Bujaraloz e Peñalba, sulla AP2. Ora che scrivo, mi ricordo che proprio al bivio per Calaceite, poco prima del Meridiano Zero, in uno dei momenti di follia gassista (colpa di una strada assolutamente F-A-N-T-A-S-T-I-C-A), siamo incappati in un posto di controllo della Guardia Civil. Non so come ho fatto, ma ho cominciato a parlare come una macchinetta ancora prima di togliermi il casco, fermandomi prima ancora che ci dessero l'alt (e ce l'avrebbero dato, contateci). 
E come eravamo arrivati, siamo ripartiti...

Verso Calatayud, N234. Ancora nei pressi del Moncayo
Father & Son. La moto di Albe è bellissima...
Qui siamo verso La Almunia de Doña Godina
Ci siamo. Quando spegni la moto a Tortosa, è davvero arrivato il momento di considerare finito il viaggio. Certo: la cena con Julian è una delle ragioni più importanti del viaggio in sé. 
Después de todo, mi querido hermanito, ¿qué razón sería ir hasta Tortosa si no estuvieras allí?


Compagni a Calaceite
Tortosa: la Catedral de Santa Maria
Il crepuscolo sull'Eb
Hermanos a la luz de la luna...
Faccio in tempo a salutare anche i genitori di Julian e poi, dopo una bella cena a base di prosciutto e crocchette da Manolito, dopo un sonno ristoratore (e la doccia? Vogliamo parlare della doccia fantastica del Parador???), dopo una mattinata di compere al mercato centrale, dopo la colazione rito alla Fleca e la tradizionale foto di commiato (mattinata intensa), partiamo.
Glisso sulle promesse da marinaio del mio lontano e malinconico fratello Julian. vengovengovengovengo...
La strada verso Barcellona, come sempre, è quella più lunga e tortuosa possibile: torniamo indietro sulla C12 fino a Mora, costeggiando l’Ebro, dal suo letto profondo, su rive lussureggianti che si alternano tra impervie e ordinate, come solo i vigneti tra le rocce possono essere. Ci facciamo foto e pensiamo alla grandezza di quel fiume e poi, a Reus, la strada comincia a curveggiare in sinuose e lunghe paraboliche, mostrando, una volta in alto, la spianata di Tarragona. (figure retoriche già utilizzate per Tempanos V).
Ma poco prima di Reus, l’amante delle pieghe deve svoltare a sinistra e sbizzarrirsi per gli imbarazzanti 38 chilometri che separano Les Borges del Camp fino a Ulldemolins, dove inizia il vero luna park dell’itinerario: mangiamo a Cornudella de Montsant, al ristorante El Bassot e poi riprendiamo l'autostrada per la botta finale... In una sosta mi chiamano dall'Hotel di Tortosa: manca la chiave della mia stanza. Eppure, io sono sicuro di averla restituita e anche Angelo... Anzi, Angelo è MOLTO più sicuro di me... 
Che fine avrà fatto, la chiave?

Il mercato centrale di Tortosa (esterno)
Il mercato centrale di Tortosa (interno)
La sontuosa e ipercalorica colazione a La Fleca
La foto di rito alla òficina Gaton
Il gruppo saluta la valle dell'Ebro
...che è poi questa...
la strada di Ulldemulins
la strada di Ulldemulins Son & Father in action
la strada di Ulldemulins Son & Father in action (2)
la strada di Ulldemulins Rino & Angelo in action
la strada di Ulldemulins: io statico
Sigaretta...
Cornudella de Montsants, ristorante El Bassot: un mito
Altro rito...
è fatta. siamo al porto di nuovo...
A proposito: se avete letto con attenzione... Ma la chiave? E' qui, al porto, che Angelo scopre di averla in tasca e propone di inviare un videomessaggio all'Hotel nel quale spiega l'accaduto. Il suo spagnolo è commovente... 




Epilogo.

All'arrivo al porto di Civitavecchia, il gruppo inizia a disperdersi. Savino e Alberto si fermano a dormire nei pressi. Il viaggio è stato tranquillo, nonostante il tentativo di Savino di portare jella reiterando a tutti, dai mozzi al comandante, la fatale domanda "c'è mare?", mentre Angelo, che si spara con noi la strada fino a Firenze, devia verso Prato all'interconnessione A1/A11. 
Io e Rino, invece, finiamo la corsa a casa mia, dove Angela e i ragazzi ci aspettano. 
E' freddo, siamo stanchi, ma, come sempre quando finisco un viaggio, sono veramente contento. Del viaggio in sé, del sentimento che io ho rinsaldato e che altri hanno stretto.
E qui spiego la ragione dell'incipit stilnovista di Dante. 
Anche se il Sommo Poeta non aveva la moto, la sua voglia di viaggiare era tanta. E voleva farlo con gli amici, coi suoi amici più cari; voleva un vascello favoloso e ognuno di noi ce l'ha: si chiama motocicletta e quella che avete appena letto, è una storia di moto.
Il ritorno, è solo un pensiero.

Casa, 20 febbraio 2019


Alconaba, Soria, 17 febbraio 2019, ore 12:28. Il Ritorno, è solo un pensiero.
© Lorenzo Borselli - tutti i diritti riservati



2 commenti:

  1. Avendo partecipato all'impresa, posso solo dire che è stato un viaggio bellissimo, di quelli che ti si imprimono nell'anima.
    È stato impegnativo, certo, non è cosa da neofiti.. ci vuole una certa corteccia per partire d'inverno e attraversare mezza penisola iberica..in moto.. e Lorenzo lo fa tutti gli anni.. ma forse è proprio questo il bello e ci siamo divertiti come mai prima.
    Ci siamo fatti forza nei momenti difficili e abbiamo riso e scherzato insieme nei momenti belli.. Ci siamo resi conto, ad un punto, che il viaggio ci ha uniti, come forse non avremmo pensato neanche noi, prima di partire.. si creano legami indissolubili durante viaggi come questo, noi ne siamo la prova. Ne abbiamo anche fatte di cotte e di crude, ma tutte non si possono raccontare..
    Alla fine è stata quasi un'esperienza mistica.. una di quelle cose che ti porterai dentro per sempre.
    Grazie Lorenzo per aver raccontato questa meravigliosa esperienza.
    Con l'attesa di condividere nuovi meravigliosi km insieme,
    Alberto

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  2. Sì Albe, mi sono divertito molto. Moltissimo. Scrivere del viaggio a più di un anno avrà comportato anche dimenticarsi un sacco di cose ma, allo stesso tempo, è stato come riviverlo. Per questo tengo questo diario. Per fissare le cose e tenerle un po' nella memoria. Del resto: a) sono un cinquantenne; b) ho la tendenza al sovrappeso; c) fumatore; d) motociclista. E' pacifico che la mia aspettativa di vita sia molto bassa...

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Dì pure quello che vuoi. Pensa, quello che vuoi. Solo, non essere offensivo...