mercoledì 12 ottobre 2011

I tre giorni dei Condor: giorno numero due


10 ottobre 2011 - Non è un cazzo vero che il buongiorno si vede dal mattino. Perché se fosse così avremmo dovuto fare un immediato dietro front e rimandare tutto a data da destinarsi. L'appuntamento di Calenzano ci vede avvicinarsi al rendez-vous con gli occhi puntati su Monte Morello, sovrastato da una poco attraente striscia di nubi stratiformi, composta da un basso e denso cuscino piuttosto scuro che si estende per chilometri, verso est. I contrafforti dell'Appennino Tosco-Emiliano, invece, sono tersi all'inverosimile e sostando nel traffico nei pressi dell'Indicatore ho l'impressione di riuscire a scorgere la croce del Corno. Impossibile, lo so.
E poi c'è il mio mal di stomaco, che mi fa malemalemale: senso di mattone, sull'epigastro.
La colazione è il pasto più importante della giornata e ho sempre onorato questo luogo comune: ricaricarci dal digiuno notturno meriterebbe di certo una bella mangiata a tavola, con salato, dolce, succo di frutta e caffè. Ma, ora, non ci riesco più e devo accontentarmi, insieme ai miei compagni di viaggio, di un cremino e un cappuccio.
Ok, siamo ai nastri di partenza. Il secondo giorno del Condor è dedicato solo a noi e alla nostra inesauribile voglia di macinare strada. Sono anche un po' emozionato, perché oggi li porto alla scoperta dei miei itinerari nascosti... Il gruppo è costituito, oltre dal sottoscritto, da Giggi Trina, Max Berton e da XXX, tutti su GS 1200, tutti esperti e tutti allineati. Pennellare le Croci di Calenzano non è facile ma, a parte una piccola sbavatura di traiettoria, valichiamo i 475 metri della collina e scendiamo dal Cornocchio verso Barberino di Mugello e il primo rifornimento. La tappa successiva è Mangona, dove l'intero Mugello è sotto di noi.

Il Mugello da Mangona. Da questo punto il mio sguardo è veterano... 
Il verde comincia ad ingiallirsi e le punta delle dita, abituate alla calura dell'estate che è andata lunga come Max alla curva di Mezzacosta delle Croci, cominciano a pizzicare per l'aria scesa di venti gradi nel giro di pochi giorni. Certo, niente in confronto al giorno prima, ma una zaffatina di scaldamanopole ce la possiamo anche concedere no? Le nubi stratificate cominciano lentamente a dissolversi e l'odore di natura che esplode dal bosco e dai campi è imbarazzante. I tre minchioni si allineano sul ciglio della strada e contemplano l'ampiezza del creato. Chissà che pensieri hanno nella mente: non si sente alcun rumore, nemmeno quello più insistente da queste parti: il fruscio di fondo dell'A1, arteria pulsante di camion nel mezzo alla vegetazione...

In attesa del plotone di esecuzione. il XXX è sparito.
Il riavvio dei motori fa sentire in colpa me e i miei compagni di marcia, segno che non siamo proprio degli stronzi: abbiamo voglia, come tutto il genere umano, di aria pulita. E allora, penso, oggi voglio proprio fargliela assaggiare, l'aria pulita: la Foresta delle Cottede. Spiego, da perfetta guida quale io sono, tutti i segreti di questo appennino e sui quali mi sono già dilungato in altri post, dopodiché ripartiamo e dopo aver raggiunto Montepiano ci congiungiamo alla 325, imboccandola verso Castiglione dei Pepoli. Fatto qualche chilometro, poco dopo essere entrati nel Papato, svoltiamo a destra verso il Monte Tavianella e attraversiamo la strada magica delle Cottede fino al Santuario di Boccadirio, dove costringo i pellegrini che mi porto appresso ad una sosta rigeneratrice dell'anima peccaminosa che si portano dentro.
E' in questo modo che, quando ripartiamo, ottengo una disciplina ferrea anche sulle traiettorie. In fondo, per come era cominciata la giornata, accendere un cero era il minimo che potessimo fare.
Ovviamente, tanto per fare incazzare Il Principale, ci mettiamo a disquisire di bellezza finendo nella fornicazione e nella lussuria.
E ci credo, poi, che va tutto storto...
Da lì al bacino del Brasimone è tutta una goduria (a proposito di fornicazione e lussuria): la strada che da Castiglione dei Pepoli porta quassù sarebbe perfetta per una gara in salita. Racconto alla comitiva della centrale nucleare che sorge sulla riva sud del lago, mai entrata in funzione e oggi sede del centro ricerche ENEA e li invito a una sosta fisiologica appena usciti dal piccolo abitato. Scappa fortissimo!

Il bacino di Brasimone. Sullo sfondo la centrale nucleare
La pisciatina in compagnia, insidiata da un forte vento, e alcune telefonate di servizio poco piacevoli per il sottoscritto potevano anche rovinarmi la giornata, ma quando arriviamo al Passo Zanchetto, i miei occhi si rigenerano. Sono le 11 e 11, un'ora cabalistica. Trattengo il respiro e percorro un paio di curve fino a quando la gigantesca vallata che unisce Limentra, Reno e Dardagna non mi si para davanti.
Quassù dicono "soccia".
Soccia!
Quando passo da qui, non mi sento mai solo. Sotto l'asfalto c'è una strada antica di millenni, che genti diverse, provenienti dai luoghi più remoti nello spazio e anche nel tempo e dirette verso le mete più disparate, hanno sempre percorso valicando l'Appennino. Siamo nel comune di Camugnano e fin da prima del millecento qui passava una diramazione della grande via di comunicazione dell'epoca: era una strada transappenninica che univa Bologna a Pisa, passando da Porretta, Pistoia e infine da Lucca. Qui c'era una diramazione che collegava Riola a Camugnano (se vuoi approfondire, clicca qui) e lo Zanchetto è una specie di punto strategico, da cui passavano eserciti, mercanti, crociati, pellegrini e avventurieri: gente come noi, insomma! Da qui puoi vedere la linea del crinale della Val di Bisenzio, la foce dell'Acquerino, e tutto il massiccio del Corno. Vista l'ora, mi emoziono.

La vista dal bivio dello Zanchetto
In genere, quando comincio a battere questa strada, siamo in primavera e il mio blog è già pieno di foto prese da qui. La neve imbianca la parete est del Corno alle Scale molto più a lungo delle altre vette e anche quando il Cimone è ormai un immenso verdone di mirtilli, il Gigante ha ancora lunghissime macchie di neve che scendono verso la Segavecchia.

pensiero stupendo...
Perché vedere il profilo di questa montagna mi rassicura?
Badate che è così da sempre. E' una sensazione così antica, in me, che se scavo nel mio passato ho quasi la sensazione di farne parte, di averla scalata in tempi preistorici, di averla difesa dalle razzie dei Longobardi, di aver partecipato allo sfondamento la linea gotica. Parlo così appassionatamente di lei che, quando mi giro per alternare un cenno storico a un'indicazione geografica noto: Gigi che si scaccola, Max che dorme e il XXX che telefona per fissare la settimana bianca.
Faccio manovra e inizio la discesa verso Suviana.
Sapevo che il lago era stato svuotato, ma non mi immaginavo che vederlo in quelle condizioni potesse ferirmi così tanto...

Il bacino di Suviana
Le acque sono bassissime, tanto che quando parcheggiamo lungo la spalletta di monte della diga, lo sputacchio che spedisco verso il basso si disperde e si vaporizza nell'aria. Vorrei provare a tirarci dentro un sasso, ma non ne trovo neanche uno. Mi rassegno e penso che comincio ad avere fame. Pazienza, c'è lo chalet del Lago, dove fanno una crescentina fritta da far resuscitare i morti.
Peccato che è lunedì.
Tiriamo dunque dritti fino a Ponte della Venturina, dove conduco il gruppo attraverso la piccola strada poderale che collega Badi al bacino di Pavana, anche questo parecchio bassino di livello, ultimo lago della giornata. A Ponte della Venturina riempiamo la bisaccia di panini al prosciutto e poi dirigiamo verso Pracchia.
Si, stiamo parecchio bene. Disquisiamo sul futuro del paese, dissertiamo di macroeconomia e decidiamo quali soluzioni adottare per evitare che il buco nell'ozono dell'Artico si ricrei anche il prossimo anno.
Soprattutto, ci chiediamo per quale motivo esistano insetti imenotteri come la vespa che, per quanto interessanti, oltre che pungere rompono parecchio i coglioni a chi vorrebbe godersi un timido sole di mezzogiorno mentre mangia una ciabatta al prosciutto e sorseggia una coca-cola.
Che palle!
Sfiliamo l'Abetone, tristissima e sigillata, e raggiungiamo Pievepelago da dove, ormai carichi e caldi, iniziamo a dare gas verso il mitico Passo delle Radici.
Arrivare fin qui senza aver preso un caffè è stata davvero dura, anche se la strada è un capolavoro di ingegneria della piega. Al passo si arriva percorrendo la ex SS324, che collega la Garfagnana con la valle del Secchia: il traffico è letteralmente nullo e arriviamo al rifugio Lunardi senza incontrare anima viva.
Meglio. Perché se mi beccavano qui, sarebbero stati dolori.
Il terzetto cetra in sosta al San Pellegrino. Il merda è sparito.
A San Pellegrino facciamo una bella foto di rito, destinata a segnare un caposaldo nelle rispettive amicizie motere di ognuno di noi. Intanto si è parlato anche di altri cazzi, oltre che di bielle e punterie; abbiamo iniziato anche ad accennare a qualcosa di Pinguinos 2012 e, visto che siamo telepatici, proprio nel mentre chi ti telefona?
Ovviamente lui: il re italico del Pinguino Iberico: Oskar!!!
Rientrare non è mai facile. Le giornate si accorciano a vista d'occhio e salta tutto l'impianto turistico che  avrei voluto far provare ai miei motoamici: scendere verso la Garfagnana, raggiungere la Pradarena e rientrare da Piandelagotti.
Non c'è tempo e allora, senza più estrarre la macchina fotografica, rientriamo a Pievepelago e prendiamo la Fondovalle modenese fino a Riolunato, dove prendiamo per Sestola, Fanano e Vidiciatico.
La mitica strada rossa, che parte dalla valle del Leo e finisce al valico Masera, si chiama strada Porrettana: il fondo è sconnesso, dal ponte sul fiume Dardagna in poi, ma è così accattivante e parabolica da sembrare un luna park.
Adrenalina pura!
Man mano che fai i tornanti le sinapsi rilasciano epinefrina e... fight or flight.
Combatti o fuggi...
Arrivati alla Masera ci ricompattiamo e, grazie al fascino latino di Max facciamo colpo su due ragazze di Vidiciatico, pericolosamente vicine all'ottantina. Insieme fanno 160 anni: immaginate che esperienza?
Con loro passiamo dal cosa ci trovate a venire quassù in moto? alla differenza tra tortellini e tagliatelle, alla voglia, di una di loro, di mangiarsi una bigoncia di ribollita...
E' stata un'esperienza terribile, soprattutto per Berton.
A Porretta Terme, invece, mangiamo un gelato buonissimo e infine, i quattro caveirao sfrecciano lungo la SS64 fino a Pistoia, dove saluto la curva e imbocco una strada diversa.
Girare la chiave nel quadro per accendere è cosa ben diversa da farlo per spegnere.
Quando il motore si ferma una parte di movimento muore. Si interrompe un moto della  moto che ha avuto vita propria: vita fatta fatta di spazio e di tempo.
Metto la bestia sul cavalletto centrale e mi metto a fissarla per un po'... Sono stanco, sì, ma voglio restituire vita a quello spazio e a quel tempo.
Tra poco è già domani...

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4 commenti:

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  2. Beh, è stata una giornata interessante, ma anche quella che seguirà non è da meno... Grazie a te...

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  3. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

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  4. ritmo ritmo sempre gran bel ritmo in molti dei tuoi scritti e così, anche chi non è lì con te, sente la strada sfilargli attorno..
    Io poi, che.. tutti (o quasi) quei posti, a bordo asfalto x boschi, o dall'alto per cime e crinali, li ho fatti a piedi.. rivivo le mie sensazioni di quella geografia fisica ma anche e SOPRATTUTTO del cuore!!
    attendo la terza puntata! ;)

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