martedì 18 ottobre 2011

La maledizione di Mario

Lo so, con la moto non c'entra un cazzo. Ma una storia così la devo raccontare per forza...



Al tonfo secco della coppa dell’olio sul pietrone che sbucava dal fondo della  strada, sobbalzammo tutti sul sedile e ciò che ne seguì fu un’imprecazione irripetibile. A me rotolarono sul tappetino tutti i fogli della procura, che stavo cercando di riordinare prima di entrare in azione; a Francesco, là dietro, cadde il telefonino e il rumore che fece toccando il suolo non fece presagire niente di buono; all’autista, che di nome fa Antonio, non restò che inchiodare le ruote e girare verso di me un viso interrogativo e già paonazzo, ma la mortificazione che esprimeva non bastò a evitargli una cazziata memorabile. Non se la meritava, ma quando la giornata è storta avere qualcuno con cui incazzarsi è bellissimo. Il gatto che si fa le unghie sulla costola del divano. Bello essere gatto, altrettanto non essere padroni del divano…
Le ruote della Punto scricchiolavano tra un sasso e l’altro di quello sterro e ogni sobbalzo era buono per cazziarlo ancora di più.  Il numero civico era quello e corrispondeva a una casupola costruita in mezzo a una piccola giungla di ulivi e vitigni e quando, svoltata una semicurva, intravedemmo nell’oscurità del mattino le mura chiare di un manufatto, Antonio spense i fari e arrestò dolcemente la macchina. Aprimmo le portiere all’unisono, facendo prima attenzione a disattivare la luce della plafoniera e ad aver abbassato il volume della radio al minimo. Solo se ci avessi appoggiato le orecchie saresti riuscito a sentire la selettiva delle pattuglie e una voce roca che dalla sala operativa diceva a uno dove stare, a un altro dove andare, se la targa era rubata.
Controllammo le pistole e le torce, chiamammo gli altri per informarli che stavamo per entrare e poi ci avvicinammo alla casupola.
Latrato di un cane in lontananza
Pensi che il cuore, quando ti risale in gola veloce e ti tappa le vie respiratorie, sia solo un organo cavo pulsante piazzato lì per farti perdere la concentrazione o per coprire i rumori che fa il tuo nemico mentre si avvicina a te per sgozzarti e farti lo scalpo. 
La realtà è più semplice: è la paura.
Arriva puntuale, ogni volta: la prima è stata terribile e volevo scappare lontano. 
Dalla seconda in poi è sempre uguale.
Circondare la casupola, invece, è stato inusuale. Pensavo che avrei usato la radio per coprire il retro, ma l’obiettivo misurava sì e no quattro metri per tre: avrei potuto circondarla da solo. Doveva esserci un errore e già la concentrazione era persa.
Bàmbàmbàm! Apri, Polizia!
Mentre lo dicevo perlustrai un’ultima volta ciò che avevo attorno e notai che il portichetto era in perfetto ordine. Il cotto a terra era spazzato e due cassapanche in plastica facevano da companatico a un baule dell’anteguerra. Dopo ci avrei guardato dentro.
Avevo il mandato, che in Italia si chiama decreto, ne avevo tutto il diritto e, anzi, era un mio preciso dovere.
Cercavo documenti falsi, targhe false, punzoni per i telai, armi.
Si accese una lucetta fioca, trenta candele o forse meno, e solo allora vidi che la porta era di ferro e aveva le grate, ma tra una sbarra e l’altra c’era solo una stoffina sintetica.
Si aprì e l’obiettivo era lì. Un cane, un setter da caccia, uscì e ci fece le feste; lui si mise da parte e mi invitò a entrare.
Devo perquisire, ho un decreto…
Faccia pure, è tutto qua…
Pavimento approssimativo, pulito, tavolo, una sedia, branda, coperta, tazza del cesso dietro una porticina, piccolo armadio, tre mensole, un crocifisso, un quadretto, anzi due, piccolo acquaio, fornellino, pentolina, un piatto, una scodella, un bicchiere, un cucchiaio, una forchetta e un coltello, un vasetto di sugo pronto pieno a metà, spugnetta, sapone e stufa a legna spenta.
Fuori, sul tetto di una cinquecento d’epoca, sulla capottina nera, avevo visto la prima brina di quest’anno.
Un delinquente povero così non poteva essere un delinquente. Lo era stato, forse, ma ora anche se fosse stato un delinquente, faceva il suo dovere: sopravviveva.
Coprii la pistola rimettendoci sopra il giubbino windstopper, tolsi i guanti e scambiai un’occhiata coi colleghi.  Era tutto a posto.
Mario avrebbe voluto leggere il decreto, ma si era operato alle cateratte (con la mutua…) e mi pregò di farlo al suo posto.
Aveva una caterva di precedenti, ma era tutta roba vecchissima. Era uno dei ricettatori di auto più in gamba che la mala avesse avuto dalle nostre parti. Aveva guidato Ferrari, Lancia, Aston Martin. Aveva dormito negli alberghi più belli, avuto le donne più belle, vestito elegante.
Aveva tagliato, spezzottato, taroccato, rivenduto.
Si era sposato, diceva il suo dossier, con una donna morta dieci anni fa per un malaccio. Aveva una figlia di 26 anni.
La sua vecchia vita era passata e gli aveva lasciato solo quella casupola, nemmeno sua, per cui pagava in nero quattrocento euro.
Non ti fa freddo?
Ci muoio.
Ecco: serviva Mario a ricacciarmi il cuore nel torace.
Compilai i verbali alla velocità della luce, aiutandomi però con la torcia, perché la lampada non bastava. L’odore di umido era impressionante, ma la dignità di Mario mi spiazzava. Era un delinquente, e allora perché sentivo quel disagio immenso? Forse perché lo era stato in un lontanissimo passato?
Era sbarbato, pulito. Aveva indossato un paio di pantaloni di velluto a coste, scarpe consumatissime ma lucide, una camicia a scacchi rossa col colletto liso, coperta da una felpa e da un giubbotto.
Niente alibi, quello che aveva fatto era risaputo.
Poi morì mia moglie e io sono rimasto solo. Sto qui come un bischero, da solo, solo con questa creatura. Sono alla buccia.
Il setter, lo notai solo allora, non gli si era staccato di dosso nemmeno un momento. Aveva la bocca aperta e ansimava con gli occhi chiusi, la lingua penzoloni da una parte, a godersi la grattatina di Mario sotto il collo.
Guardai il suo portafoglio, dove venti euro davano l’impressione di essere lì per caso. Nuovi di zecca, forse regalati da qualcuno, forse il resto di una bolletta della corrente.
L’unica traccia di modernità era un Nokia 1100, ma un telefonino ce l’hanno tutti, oggi.
E quando gli chiesi per la seconda volta dove fosse sua figlia, Mario prese un lungo respiro e si mise a sedere: il gomito sinistro sul tavolo e la mano che gli teneva insieme mascella e mandibola, digrignate quasi a far esplodere incisivi e molari.
La mia figliola convive con un ragazzo in paese e non la vedo da quando è morta la sua mamma.
Aumentò la pressione sul morso e gli occhi avvamparono di rosso, facendo sgorgare un fiume di lacrime.
Quella merdaiola…
Fu quella l’unica parola a cui non trovai posto, all’alba della freddissima giornata autunnale in cui l'ombra del pericoloso Mario subì l’irruzione di tre sgherri della legge.
Ma per come la pronunciò, per come scandì ogni singola vocale e consonante di quella brutta parola, l’epiteto nato per offendere si ammantò di amore, dell’amore di cui solo un padre sofferente e penitente, ma rassegnato ad aver perso la propria unica figlia, può essere capace.
Uscimmo a mani vuote, perché non c’era nulla da sequestrare.
Andammo in silenzio al supermercato, giù in paese, e comprammo una stufa elettrica potente, un sacco di scatolette, una bottiglia di olio d’oliva e un fiasco di vino.
Al tonfo secco della coppa dell’olio sul pietrone che sbucava dal fondo della  strada, sobbalzammo tutti sul sedile, ma non seguì alcuna imprecazione irripetibile.
Per forza, cazzo, guidavo io...
Scaricammo la cimosa della nostra coscienza di cittadini integerrimi, che aveva forma di un radiatore elettrico e di un sacco della coop con pochi viveri.
Guardai nella cassapanca dell'anteguerra, così come mi ero riproposto di fare e vidi che dentro c'era una vecchia sella.
Tornammo da dove eravamo venuti. 
Così fece Mario, condannato a vivere per forza.

Copyright © Lorenzo Borselli tutti i diritti riservati

12 commenti:

  1. pensa se trovavi , invece di un singolo, una famigliola nelle medesime condizioni, ci lasciavi lo stipendio, menomale che vi hanno tagliato i soldi della benzina, altrimenti faresti minimo un arresto al mese....a rimessa !!!tolte le battute....ma icchecentra con le moto??? i sassi sulla strada?? comunque di qualunque cosa tu "narri" è sempre un piacere leggerti!! mackPaper da Duckburg

    RispondiElimina
  2. Ecco, ci voleva proprio Mario. Grazie per avercelo raccontato.

    RispondiElimina
  3. Cazzo!
    ...e poi ti spiego!
    Paolo Jkt

    RispondiElimina
  4. la solidarietà commuove sempre: è scomparsa talmente tanto dal ns vivere che ieri mi son stupita di un bel giovane che, al distributore, ha aiutato un signore a districarsi tra la macchinetta mangia-soldi e la pompa di gasolio.
    Stupita per così poco: per l'energia e la partecipazione con cui un semplice gesto (che dovrebbe essere normale) si è compiuto.
    Quando poi a esser i protagonisti di una storia di"umanità (=partecipazione) sono i "buoni" e i "cattivi" (alla maniera di Leone), a me si stringe la gola di emozione.
    e per dulcis in fundo mi vien da ipotizzare che Mario sia stato un "ladro gentiluomo"; beh.. ben più incantevole dei tanti "onesti ignoranti" con cui facciam colazione al bar la mattina.

    RispondiElimina
  5. Sono gesti che sanno un po' d'antico, lo so... Tuttavia credo che ogni tempo abbia avuto i suoi miserabili...

    RispondiElimina
  6. "Condannato a vivere per forza"...una prigione dalla quale è difficile scappare...

    RispondiElimina
  7. Prima ancora di leggere questo pezzo - un bel pezzo, davvero - me lo aveva già raccontato Jacket mentre andavamo in macchina a Siena, stamattina. "E' Lorenzo, è lui, è fatto così." ho commentato io. "E' lui, si, niente altro da dire." ha chiosato Jacket. Ovviamente, i nostri erano tutti commenti positivi. Sei così, Lore. Lo sai bene tu che, nel "mestiere delle armi", è fondamentale che ci siano il cuore e l'acciaio. E' una bella storia di umanità e di polizia. Due cose che, quando i poliziotti sono fatti in un certo modo, convivono tranquillamente, anzi, si permeano l'una dell'altra.

    RispondiElimina
  8. Peccato che ci sono anche poliziotti capaci solo di fare questo mestiere per affermare il proprio potere... Che frustrati...

    RispondiElimina
  9. Mi piacerebbe che la Vilda potesse leggere queste tue pagine per capire quanto poco equa ed obiettiva è stata nel dare voti, una ventina di anni fa...

    RispondiElimina
  10. Allora sei MatteoMatteo!!! Bello vederti qui! Intanto, grazie... La Vilda credo abbia pagato carissimo il suo Mido di fare la differenza tra lei e mia mamma la sai no? Non posso serbarle più rancore, gliel'hanno scaraventato addosso il figlio e la nuora... Ciao MatGraz!

    RispondiElimina

Dì pure quello che vuoi. Pensa, quello che vuoi. Solo, non essere offensivo...