martedì 4 ottobre 2011

Il colpo di frusta



Il pianto di Francesca è cominciato prima.
Guida una Matiz usata, della mamma, e viaggia insieme al fratello di 17 anni. Guida verso Trespiano, dove un cimitero grandissimo accoglie i morti della città. Sembra una grande piantagione, se guardi la spianata dalla mezza costa di Ceppeto, poco sopra Cercina, nel bosco fitto di Monte Morello.
Avevo già visto nello specchietto che piangeva, mentre eravamo incolonnati nel traffico del pomeriggio, lungo la Bolognese.
Credevo stesse litigando col suo fidanzato ed era un pianto così disperato che quasi mi sono sentito in colpa d'aver spiato l’intimità dell’abitacolo nel riflesso del retrovisore.
Pensavo che quella sarebbe stata una gran bella giornata per puntare il muso della moto verso il Mugello, ma sono in macchina, incolonnato nel traffico del pomeriggio.
Riguardo lo specchietto e non posso fare a meno di spiare nuovamente quel pianto dirotto: il mio umore non è poi tanto diverso, in fondo.
Alzo il volume dello stereo e guardo il cielo pensando a quanto mi fumerei volentieri una bella sigaretta... Penso all'odore che emanerebbe al momento di sfilarla dal pacchetto, al rumore della carta quando la fiamma la incendia, al gioco del fumo nell'abitacolo della mia minuscola Panda gialla.
Conto fino a tre e cancello la sigaretta dai miei pensieri.
Poi, mentre Vasco canta, un colpo violento spinge la Pandina gialla e il collo mi si ripiega avanti e indietro come quello della pupazzina dei pinguini di Madagascar. Ripiega anche le cervella perché, per una manciata di secondi, non capisco cosa accada...
Sai che novità...
Fortuna ha voluto che non tenessi il piede sul freno e così l’impatto si scarica sulla massa sospesa che può procedere verso la tangente. E sul mio collo.
Non c’è nulla che rimanga al suo posto e perfino l’accendisigari schizza in aria come il tappo dello champagne mentre a terra si rovesciano gli album delle foto di una vita, che ho sul sedile più o meno da settandadue ore.
Realizzo che sono stato tamponato e butto l’occhio nello specchio, stavolta non per spiare: dal cofano della Matiz sbuca una colonnina di vapore bianco dietro il quale sbuica il solito viso, rigato da un pianto ancor più dirotto.
Uno strazio vero e proprio. Parcheggio a destra e scendo.
Dio quanto è giovane, e quanto è giovane il ragazzo che le siede accanto!
Hanno la cintura, tutti e due, si assomigliano tantissimo e lui lo dice subito, che è suo fratello…
Il nonno, il nonno…
Badate che un pianto vero io lo riconosco. Le lacrime non sono finte, vengono giù come un torrente in piena, gli occhi sono gonfi e il viso è vermiglio sulle guance.
Si calma con la mia tranquillità, col mio tono di voce un po’ sommesso, perché non sono arrabbiato.
Non sono arrabbiato per niente. Un po’ stanchino, semmai.
Di sicuro non ho voglia di scendere per fare la solita sceneggiata del dramma, del danno irreparabile, del colpo di frusta coi postumi per arrivare a un giorno chissà quando, in cui un postino suona alla porta (quale?) e ti consegna un’assicurata con un assegnino da mille euro.
Bella soddisfazione.
La Pandina gialla non si è fatta nulla. E anche il mio collo sopravviverà.
Francesca stava  andando al funerale del nonno, verso Trespiano, dove il viavai di carri e salme si perpetua da secoli.
Mentre me lo dice il carro passa e la voce si rompe di nuovo.
Dico a lei e al fratello di salire, che al funerale li accompagnerà la Pandina gialla.
Sposto gli album delle foto, raccolgo quelle che si sono sparse.  Ne salta fuori una del lago Taupo, in Nuova Zelanda, con me che guardo le acque seduto sulla panchina.
Me le ricordo bene le acque in cui mi specchiavo. Ricordo ogni singolo pensiero e rammento una strana inquietudine, angosciosa, il cui perché mi fu chiaro al ritorno da quel bellissimo viaggio.
Rimetto a posto foto e ricordo e le faccio spazio dietro.
Si va in silenzio, idealmente in corteo al carro del nonno che va a Trespiano.
Ed è come se al funerale di un nonno che non ho nemmeno mai visto ci andassi come un parente, davvero addolorato.
Arriviamo nel piazzale e il babbo di Francesca, quando mi vede, mi riconosce, perché ci conosciamo davvero.
Nulla accade per caso e anche i piccoli incidenti ti lasciano dentro un momento di calore.
Oltre che, naturalmente, un colpo di frusta.

Copyright © Lorenzo Borselli tutti i diritti riservati

8 commenti:

  1. I tuoi racconti sono come zucchero per diabetici..... Non resisti.. Li devi leggere tutti di un fiato. Bravo lorenzo.

    RispondiElimina
  2. ...rimanendo in tema ..sei come un cioccolatino per un goloso come
    me..finisco sempre la scatola aspettando che qualcuno (TU) mi regali
    un'altra scatola!!

    RispondiElimina
  3. un colpo di cuore, lo intitolerei!
    bellissimo!

    RispondiElimina
  4. E' la terza volta che provo a postare!
    mi mancano le parole mameno male che le hai tu.
    Vorrei leggerle raccolte in un libro.
    p.s. a me non mi hanno mai detto che sono un cioccolatino.
    Paolo Jkt

    RispondiElimina
  5. ......o un tartufon!
    p.j.

    RispondiElimina

Dì pure quello che vuoi. Pensa, quello che vuoi. Solo, non essere offensivo...